Alexis de Tocqueville, Uno Sguardo Realista e Dubbioso sulla Sicilia / di Emanuele Gentile
Come avveniva il Grand Tour di Sicilia
Accedere alla Sicilia e
visitarla era davvero un’impresa al di fuori del comune. Il
viaggio in Sicilia era
affrontare tutto un altro mondo. Fino a Napoli si stava nel mondo civile,
ma quando si doveva andare in Sicilia
era come mettersi in gioco e riconsiderare sé stessi.
La Sicilia rappresentava il luogo di insediamento di
una civiltà millenaria e visitandola ci si interrogava sul proprio essere in
quanto risultato di una lunga sequela storica.
Giungere in Sicilia significava affrontare un viaggio
per mare su due direttrici. La prima direttrice era quella che collegava i
luoghi santi in Palestina all’Europa passando per Malta. Pertanto, si
attraccava a Siracusa o a qualsiasi approdo della Sicilia ionica. Un’altra
direttrice era quella di provenienza italiana, cioè Civitavecchia o Napoli. I luoghi di approdo
erano, quindi, Palermo oppure Messina. Queste ultime città costituivano gli
approdi classici/punti di partenza per visitare
la Sicilia. Chi partiva da Palermo
sviluppava un itinerario occidentale, mentre chi iniziava il viaggio da Messina
aveva come punto di partenza la costa orientale. Molto raramente si iniziava con una visita lungo la costa settentrionale
dell’isola in quanto secondo Riedesel era un luogo
privo di vestigia classiche.
L’itinerario classico
comprendeva visite a Siracusa, Catania, Alcamo, Selinunte,
Se gesta, Etna, Messina, Palermo, Agrigento, Monreale e qualche altra città.
L’interno non era granché
visitato, e per due motivi: non praticabile per sicurezza e trasporti; e perché privo di luoghi interessanti da visitare. Infatti,
solo raramente si raggiungeva Caltanisetta, Enna, il
Lago di Pergusa e Caltagirone. Secondo Famoso che riporta una citazione di Francesco Paloscia “Per tutto il Seicento, ma
non meno durante il Settecento, il brigantaggio costituisce una realtà endemica
e massiccia, nonostante le misure della breve quanto efficiente amministrazione
dei Savoia.” Inoltre, i bacini
archeologici degni di visita sono tutti sulla costa, mentre si parte da Catania
per visitare l’Etna, la principale attrazione naturale dell’isola.
Succedeva spesso che per evitare di visitare zone costiere prive di interesse, si utilizzassero delle imbarcazioni leggere
che seguendo lo svolgersi della costa trasferivano i viaggiatori rapidamente da
un luogo all’altro sempre della costa.
Il cavallo, o il mulo, era
il principale strumento per i percorsi terrestri, mentre la primavera era il
periodo indicato sia dal punto di vista climatico che dal punto di vista
paesaggistico per effettuare il viaggio.
Nonostante la scarsità di strade (per lo più itinerari terrestri) e difficoltà logistiche
di vario tipo, la Sicilia registra una discreta mobilità dovuta a due cause: il
commercio e le fiere. Questi due aspetti della vita economica dell’isola contribuirono, non di poco, a mantenere attivi i legami fra
le varie parti del territorio isolano. Da sottolineare il fatto che chi era addetto al sistema dei trasporti in Sicilia era
considerato una persona importante. A tal proposto Famoso ci ricorda la novella Cos’è il Re del Verga. In questa novella si attribuisce una
notevole importanza proprio a un lettighiere, compare
Cosimo. Naturalmente le innovazioni occorse nel XIX
secolo apporteranno modificazioni strutturali nel sistema dei trasporti in
Sicilia.
Ritornando al problema
delle strade, vi è da dire che la Sicilia fino al Seicento era una regione con
una bassissima pressione demografica e con centri urbani in continuo divenire.
In questa situazione non ci si poteva permettere di avere un sistema stradario strutturato,
esteso e radicato sul territorio. Solo nel Settecento con l’aumento della
popolazione ed un intenso programma di costruzioni stradali, la strada
“comincia ad essere concepita come un servizio che non risponde soltanto ad
esigenze economiche ma a quelle sociali, culturali, morali e civili dell’intera
isola.” Il
percorso più lungo era quello che collegava Palermo
con
Catania e Messina.
Si preferiva raggiungere Messina dall’interno in quanto l’orografia costiera non permetteva la costruzione di adeguate sedi stradali.
Pertanto, ci si addentrava nella provincia di Enna, si attraversava la piana e si giungeva a Catania e da qui Messina. Quest’ultima poteva essere raggiunta non transitando da
Catania, ma circumnavigando l’Etna da Bronte, Randazzo e Taormina.
I tempi di percorrenza era circa 4/5 giorni per raggiungere Catania da Palermo;
identico lasso di tempo per giungere a Siracusa sempre da Palermo passando da
Piazza Armerina e Lentini. Tre giorni erano
sufficienti per raggiungere Licata da Palermo passando per Corleone e Agrigento.
L’assistenza
ai viaggiatori era assicurata da una rete di fondaci dove si poteva dormire e trovare assistenza per sé e per i muli. Alcuni di tali fondaci erano forniti di stanze arredate con letti e
cassapanche per potere alloggiare quei viaggiatori di un certo rango che non
volevano dividere il proprio giaciglio con i muli…Gli alloggi costituirono,
come afferma Maczal (1996), la base principale per
giudicare il paese visitato. Questi si dividono” (anche in Sicilia) “sostanzialmente, in tre
categorie: locande, conventi, case private. In genere i viaggiatori si muovono
avendo delle referenze: sono lettere di presentazione per nobili, borghesi ed
ecclesiastici, massoni e non, che agevolano l’ospitalità in Sicilia. I viaggiatori circolano sotto la
protezione di campirei. Houel così li
descrive: “Erano uomini destinati in origine alla custodia delle messi e delle
vigne. Alla fine del secolo scorso, quando i briganti infestavano la Sicilia,
si pensò di utilizzare queste guardie per scortare i viaggiatori.
Nonostante tali pericoli
fossero cessati del tutto, si decise di conservarne l’uso ed, anzi, furono
provvisti di uniforme come ci tramanda Houel.
Contesto
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Alexis de Tocqueville, Uno Sguardo Realista e Dubbioso sulla Sicilia, di Emanuele Gentile
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