Alexis de Tocqueville, Uno Sguardo Realista e Dubbioso sulla Sicilia / di Emanuele Gentile
Itinerari
Il viaggiatore proveniente dall’estero aveva due possibilità di accedere al nostro paese: le Alpi o il mare. Per quanto riguarda le Alpi, esse furono maggiormente utilizzate come
porta d’accesso all’Italia a partire dal secondo Settecento in quanto si
assistette ad un miglioramento delle tecniche di attraversamento dei ghiacciai.
Le rotte del mare partivano sempre da Marsiglia o Nizza per poi raggiungere
Genova o Livorno (meta era la Toscana), Civitavecchia (per iniziare il Grand
Tour dal Lazio) oppure Napoli (per il Sud d’Italia).
Le tappe più consuete: il modello inglese
Essendo i viaggiatori inglesi i più numerosi e assidui nel viaggio
in Italia, potremo considerare, a
titolo di esempio un loro itinerario ideale.
Un viaggiatore inglese sbarcava a Genova se arrivava via mare (da
Marsiglia o Nizza), o arrivava a Torino se seguiva la via di terra
attraversando il Moncenisio, il più frequentato tra i possibili ingressi
in Italia (ma altri accessi erano il
passo del S. Bernardo o del Sempione). La città di
partenza determinava il successivo percorso, attraverso la costa o l'interno.
Prima tappa non secondaria è Firenze da dove si passa o sosta con l'intento di
arrivare a Roma. La capitale è la città dove ci si ferma il tempo più lungo,
spesso progettando la partenza dalla madrepatria nel mese di settembre proprio alla scopo di giungervi in concomitanza del Natale, festa
religiosa molto affascinante per i suoi riti, e trattenendosi fino a Pasqua, o
per la festa di San Pietro, celebre per i fuochi di artificio che si sparavano
da Castel Sant'Angelo. Tra le feste pasquali e la fine di giugno si colloca
l'escursione a Napoli
e dintorni. Il
viaggio si conclude in Campania. Il rientro prevede
una sosta a Loreto, poi, attraverso Ferrara e Padova la tappa a Venezia,
consigliata nel mese di febbraio quando si svolgono le feste per il carnevale,
Vicenza, Verona, e infine l'uscita dall'Italia attraverso la
Francia, la Svizzera o l'Austria.
Una metafora del viaggio
in Italia
A Matthias Bruen, viaggiatore americano dell'anno
1823, l'itinerario italiano per
eccellenza ricorda il corso della vita umana e gli suggerisce una significativa metafora: «la pianura padana e la valle
dell'Arno sono lisce, floride e belle come la giovinezza; giungiamo a Roma per
acquisirvi l'occhio, l'esperienza e la riflessione che si addicono alla età
adulta. Dopo il trambusto si torna alle comodità congeniali all'età tarda, e cioè al sole all'aria e al rigoglio della natura di Napoli.
Alla fine Paestum ci appare come il tramonto che conclude il nostro stanco pellegrinaggio e pone termine alle nostre fatiche» (Brilli,
1987).
Percorso di andata
In via generale è possibile affermare che, qualunque fosse la provenienza
e il valico affrontato, il tratto padano che comprendeva Torino e Milano era
percorso piuttosto celermente (anche se talvolta con soste interessate
soprattutto a Parma Piacenza e Bologna), mentre diverso, positivo quando non entusiasta, era l'apprezzamento per Genova. Da qui si giungeva a
Firenze, attraverso la sosta a Lucca, ma ci si poteva arrivare anche da
Bologna. L'itinerario procedeva poi per Roma, o attraverso la via Francigena,
che toccava Siena, la
famigerata Radicofani e Viterbo, oppure attraverso Arezzo
Perugia, Terni e la valle del Tevere. A seconda di quale
delle due strade fosse stata scelta nel percorso di andata, si stabiliva in
genere l'altra nel percorso di ritorno. Da Roma si raggiungeva Napoli
attraverso le paludi pontine, Velletri, Terracina, Gaeta. Il punto più
meridionale del viaggio era Paestum. Rarissimi i viaggiatori nel Cilento e in Calabria, solo nel secondo Ottocento si raggiunge la
Sicilia.
Percorso di ritorno
A questo punto bisognava disegnare il tragitto di ritorno verso
la madrepatria. Da Roma,
attraverso Foligno, si faceva spesso una deviazione in direzione di Loreto,
proseguendo per Ancona e la costa adriatica fino a Ravenna, da dove ci si
ricongiungeva a Bologna. Da qui, prima di riprendere il tracciato tradizionale
all'inverso, si inseriva l'importante tappa di Venezia
e delle altre città venete.
Evoluzione delle preferenze
Nel lungo arco temporale che interessa il viaggio
in Italia, i puntelli ideologici e
culturali dei protagonisti sono in continua evoluzione. Questa mobilità si
riflette automaticamente nelle preferenze rispetto alle città italiane da
visitare. Perché mutino le destinazioni e gli interessi bisogna infatti che maturino altrettante mutazioni nel gusto e che
per esempio, oltre che il Rinascimento si vada a scoprire, dell'Italia, anche
il Medioevo. E' lecito perciò abbozzare un prospetto delle preferenze che tenga conto della evoluzione del gusto fra il Seicento e il
Settecento . Cesare De Seta ipotizza un simile prospetto, evidentemente valido
a titolo di orientamento, tramite un confronto
quantitativo fra le pagine di Misson (1688) e quelle di Lalande (1765) i cui Voyages sono, dell'uno e dell'altro secolo, i testi più rappresentativi e seguiti (De
Seta, 1982).
Seicento
Nel Seicento la città prediletta è Roma (non perderà mai il suo primato),
la seconda assoluta Venezia, entrambi destinate ad accrescere le loro fortune.
Terza, ma con distacco, Napoli, seguita da Bologna, la cui fortuna, al
contrario, sarà destinata a crollare. Solo a questo punto si colloca Firenze
che stenta ad affermarsi in un secolo dominato dal fascino della civiltà
barocca. I centri di più piccole dimensioni sono molto
defilati, fra di essi Pisa e Lucca già spiccano. Due le eccezioni di grande gradimento, quella di Loreto, per il suo santuario,
quella di Pozzuoli per le rovine antiche.
Settecento
Nel Settecento la geografia dell'Italia sembra più articolata e mobile:
si affermano le tappe intermedie e l'itinerario si estende fino e oltre Napoli.
Nel mutare di equilibri la capitale assume un peso
ancora maggiore e contemporaneamente si assiste alla parziale crisi di Venezia.
Il razionalismo e il rigorismo della cultura illuministica giocano il loro
ruolo intimidatorio di fronte agli splendori bizantini della città. Al secondo
posto assoluto passa Napoli, considerata ora l'unica grande capitale europea di Italia; Bologna è in netto peggioramento a causa anche
dello scaduto prestigio della università; si assiste all'inarrestabile boom
della colta e raffinata Firenze, e della illuminata Torino; assumono un certo
peso i piccoli centri e, in Toscana, le città di Siena, Pisa e Lucca. Defilate
ma presenti anche Livorno, Cortona, Arezzo. La temperie culturale dei lumi
trova il suo terreno di elezione a Pompei e nelle
pitture conservate a Portici. Le ragioni della nuova cultura man mano trasformano «l'ultima tappa del viaggio (Napoli) nel vertice
di un nuovo viaggio […].
Il tradizionale percorso del Grand Tour ha invertito i suoi punti caldi: non
più Venezia e Firenze, ma l'asse Roma-Napoli è l'itinerario privilegiato del viaggio in Italia nella seconda metà del
Settecento» (De Seta, 1982).
Il lusso di un viaggio molto lungo
Uno dei motivi di notorietà della guida seicentesca di Maximilien Misson
(1688) risiede nella appendice intitolata Memoria per
i viaggiatori . Il francese la appose al suo Voyage affrontando in essa gli argomenti più disparati e insieme, con il suo
sistema di simboli per qualificare le diverse caratteristiche dei luoghi
indicati, candidandosi a capostipite della idea moderna di guida. Misson
raccomanda, fra l'altro, di non lesinare né sul denaro né tanto meno sul tempo
da dedicare al viaggio. Ma dagli esordi, all'epoca
d'oro, alla serialità del Grand Tour diventato turismo, le condizioni materiali
cambiano sensibilmente. L'aureo distacco degli aristocratici viaggiatori augustei
e illuministi è cosa ben diversa da «certa malcelata
grettezza del viaggiatore post-napoleonico» (Brilli, 1987). Come la
raccomandazione di Misson di «non lambiccarsi troppo il cervello per fare
economie», risulta a quell'epoca quanto meno insolita,
anche il tempo comincia a monetizzarsi e i viaggiatori imparano a non
scialacquarlo in inutili ozi.
I tempi si riducono
Dalla seconda metà del Settecento, soprattutto, si assiste ad una lenta
erosione del tempo prima così generosamente dedicato al viaggio, il che è anche
segno che l'investimento economico dedicatovi comincia ad assottigliarsi (De
Seta, 1982). Tralasciando come inarrivabili le istruzioni di Bacon che
considerava periodo ideale di permanenza quello di tre anni (il periodo
necessario ad apprendere la lingua!), se Montaigne, nel 1581, dedicò all'Italia
oltre 10 mesi, Gibbon, nel 1764, soggiornò in Italia per ben nove mesi, Charles
Burney, nel 1770, dedicò sei mesi in tutto al suo tour diviso tra la penisola e la Francia, i due mesi complessivi dedicati da Dupré
al suo viaggio italiano del 1822, indicano chiaramente una inversione di
tendenza.
Contesto
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Alexis de Tocqueville, Uno Sguardo Realista e Dubbioso sulla Sicilia, di Emanuele Gentile
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