Conclusione

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Conclusione

Con il presente lavoro si è cercato di mettere in luce la figura e l’opera di Edgar Hilsenrath, un autore sconosciuto al grande pubblico, che ha voluto rendere partecipi i lettori della sua odissea e ha sempre cercato di esprimere apertamente le proprie opinioni durante le interviste, nei brevi saggi/racconti e, soprattutto nei suoi lunghi romanzi, in cui mette a nudo la propria personalità.

L’analisi dell’opera di Hilsenrath, dunque, parte dell’esperienza vissuta dall’autore, della sua opera e del suo pensiero. Quest’ultimo, bisogna ricordare, è volto per lo più ad una denuncia della realtà che lo circonda, quindi i suoi romanzi hanno tutti una funzione critica nei confronti della società in generale, delle ideologie politiche e delle credenze religiose. Der Nazi & der Friseur esercita in pieno questa funzione e, attraverso il tono satirico- grottesco della narrazione, schernisce la realtà del nazionalsocialismo. La satira è l’arma usata dallo scrittore per manifestare le proprie opinioni e l’uso alquanto mordace di questo artificio lo ha reso un personaggio un po’ troppo scomodo nel panorama della letteratura tedesca del dopoguerra. Lo humour è per Hilsenrath anche un’arma di difesa, che lo aiuta a ripercorrere il suo passato e ad affrontarlo con un certo distacco, riuscendo così ad esorcizzare i fantasmi di quei ricordi che, come un macigno, pesano sulla sua coscienza. Grazie alla scrittura e naturalmente alla satira, Hilsenrath ha potuto rivivere l’orrore dell’Olocausto e superare lo stato depressivo di cui ha lungamente sofferto e che lo ha condotto ad un pellegrinaggio fisico e psicologico alla ricerca di un’identità perduta, riconducendolo all’unica patria per lui possibile: la lingua tedesca.

“[…] wenn die Welt selbst zur blutigen Groteske geworden ist, mutieren die Mittel literarischen Groteskstils gleichsam zu solchen realistischer Mimesis. Der Schritt Hilsenraths vom Hypernaturalismus seines Erstlingswerks zum Groteskstil des folgenden Romans ist so gesehen die paradoxe und zugleich notwendige Konsequenz einer im ganzen realistischen Schreibintention. Der Schritt zur >schwarzen Satire< ist es aber auch noch aus einem anderen Grund. Während der autobiographische Roman »Nacht« konsequent naturalistisch aus der Perspektive der Opfer erzählt wird, die als Opfer situationsabhängig auch zu Tätern werden, bestimmt den satirischen Groteskroman ausschließlich die Perspektive des Täters, der nie selbst zum Opfer wird. Einen Massenmörder, so rechtfertigte Hilsenrath den Zynismus vieler Dialoge, könne er nicht menschlich sprechen lassen; täte er dies, wäre es ebenfalls zynisch. […] Satire wird durchaus aufklärerisch als Entlarvung inhumaner Handlungsweise qua Sprachkritik eingesetzt: in der Sprache des Täters verfällt dessen monströse Weltsicht dem Verdikt.” [1]

Quest’opera può essere considerata, anche per il tono satirico- grottesco, uno Schelmenroman, poiché si attiene totalmente alle caratteristiche essenziali che un romanzo dovrebbe avere per essere ritenuto tale. Der Nazi & der Friseur è l’autobiografia fittizia di un picaro o Schelm (il carnefice Max Schulz), un personaggio che vive ai margini della società, giudicandola da una prospettiva unica, la sua, dal basso verso l’alto. Talvolta, la visione critica del mondo del picaro è poco attendibile e quindi il narratore è spesso costretto a giustificarsi con il lettore per le sue scelte opportunistiche, il suo cinismo e le opinioni sempre “impreziosite” da un linguaggio un po’ troppo scurrile. Lo Schelm è costantemente in viaggio per cercare di migliorare a tutti i costi la propria condizione sociale ed economica. I suoi spostamenti avvengono su due piani: orizzontale, attraverso lo spazio (Wieshalle ® Warthenau ® Berlin  ® a bordo della nave Exitus ® Israel) e verticale attraverso la scala sociale (figlio di una prostituta e di cinque presunti padri, figliastro ritardato di un Kinderschänder ­ giovane studente erudito, ­ apprendista presso il barbiere Chaim Finkelstein, ­ membro delle SA, ­ membro delle SS, ­ Massenmörder, ­ nuova identità ebraica: Schwarzhändler, ­ aiutante barbiere nel salone di Schmuel Schmulevitch, ­ Freiheitskämpfer, ­ padrone del salone, ereditato da Schmulevitch, “Der Herr von Welt”). Infine, la conclusione di uno Schelmenroman è, generalmente, enigmatica e aperta ad ogni possibile interpretazione: la morte di Max Schulz rimane avvolta dal mistero e Hilsenrath lascia il giudizio nelle mani del lettore.

Der Nazi & der Friseur è il secondo grande romanzo di un uomo semplice, che ha sofferto moltissimo ed è per questo dovuto crescere troppo in fretta, ma il dolore ha affinato la sua capacità di comprendere il prossimo e chi lo ha conosciuto lo apprezza per le sue grandi qualità umane e lo ringrazia per aver saputo ricreare in maniera insolita una realtà troppo spesso raccontata e sfruttata. Helmut Braun l’editore che lo ha lanciato nel mondo letterario tedesco lo ricorda con parole toccanti e sincere:

“Es hat einige Jahre gedauert, bis ich begriffen habe, daß seine Art sich zu kleiden, zu wohnen und sich zu ernähren, keine Frage von fehlendem oder vorhandenem Geld war. Er hat keine Ansprüche an Kleidung, Wohnung und Nahrung; sein Lebensgefühl, seine Zufriedenheit, sein Glück speisen sich aus anderen Quellen. Ich habe ihn zufrieden, stolz und glücklich erlebt. Zum Beispiel, als er gelesen hat, was Heinrich Böll in der »Zeit« über Max Schulz schrieb oder als er mir erzählte, was Andrzej Szczypiorski im »Spiegel« zu Jossel Wassermann publizierte. Staunend hört und liest Edgar Hilsenrath, was seine berühmten Kollegen zu seinen Büchern sagen, staunend sitzt er vor diesen Büchern, als könne er nicht begreifen, daß diese Texte von ihm sind. Ich habe erlebt, wie er begeistert und mit kindlicher Neugier auf das, was kommt, die Ölbergpredigt aus Der Nazi & der Friseur seinem Publikum vorgelesen hat, so, als lese er diesen Text zum ersten Mal, so als sei es der Text eines Autors, den er gar nicht kennt, auf den er aber sehr gespannt ist, und es war doch das hundertste Mal, daß er mit diesem Kapitel brillierte. Seinen Lebensstil hat er in zwanzig Jahren nicht verändert. Er kann es auch nicht, zu tief haben ihn die Lager in Transnistrien, die Asyle in New York geprägt. Vergessen kann er nicht, aber konnte schreiben, schreiben, schreiben.” [2]

Le parole di Heinrich Böll, che commentano Der Nazi & der Friseur chiudono anche l’analisi di questo grande scrittore e della sua opera:

“Ich habe kein fix und fertiges Urteil über dieses Buch, frage mich nicht nur, ob’s »gelungen« ist, sondern auch, ob es überhaupt »gelingen« konnte, dieses heikle, waghalsige Unternehmen, und denke, daß es angesichts der Waghalsigkeit nicht so ganz mißlungen ist, spricht für den Autor, seine Sprache, die wild wuchert und doch oft genug trifft, eine düstere und auch eine stille Poesie entfaltet. Diesen blutbesudelten »Hans im Glück« mit seiner Goldlast durch die Zeiten zu bringen, diesen grauslichen Max Schulz als Itzig Finkelstein in Israel durch seiner Hände - nicht seiner Mörderhände - Arbeit zu bescheidenem Wohlstand, zu seiner dicken Mira zu bringen, da will das »und wenn sie nicht gestorben sind«, nicht so recht heraus. Das Gruselspiel war ja kein Spiel, es ist durch Hilsenrath wirklich geworden, und es hat sie ja wohl doch gegeben - oder? - diese Nazis, die getan haben, wovon keiner gewußt, was keiner gewollt, und wenn man alles vergessen sollte: die Goldzähne und die, die sie einmal getragen haben, vergißt man nicht, wenn Schulz-Finkelstein da im Wald der sechs Millionen spazieren geht.” [3]


[1] Ivi, p. 224.

[2] H. Braun, op. cit., p. 46-47.

[3]   H. Böll, op. cit., p. 78-79.

 



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