Nascita, infanzia e fanciullezza

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Nascita, infanzia e fanciullezza

Il romanzo è narrato in prima persona dal protagonista Max Schulz. La prospettiva del racconto è unica, l’io- narrante, infatti, riferisce le vicende della sua vita e giudica gli eventi e gli altri personaggi seguendo esclusivamente il suo modo di pensare e, come accade solitamente allo Schelm, ciò che egli vede o racconta, non si rivela sempre attendibile. Talvolta la voce narrante si sofferma per chiarire, rivolgendosi direttamente al lettore, alcune situazioni che possono sembrare ambigue, oppure per giustificare frasi sibilline o azioni dubbie.

“Der Roman wird zussamengehalten von der Personen des Ich- Erzählers Max Schulz alias Itzig Finkelstein, dessen ausschließliche Perspektive das Buch presentiert. Neben dieser extrem eingeschränkten Sicht wird nur an ganz wenigen Stellen des Romans auch eine Außensicht auf den Protagonisten und das Geschehen deutlich, die aber kaum eine obiektiviertere Einschätzung des dreihundert Seiten langen Erzählmonologs ermöglicht. Der Leser ist den Bekentnissen des Mörders uneingeschränkt ausgeliefert. Für Verunsicherung sorgt zudem die gänzliche Unkenntnis darüber, warum der Ich- Erzähler seine mörderische Geschichte, die er fast dreißig Jahre als tiefes Geheimnis bewahrt hat, mit dem vorliegenden Text der Öffentlichkeit übergibt. Keine Herausgeberfiktion, kein Manuskriptfund, keinerlei editorisches Druherum (unter noch zu nennenden Einschränkungen) »erklärt« dem Leser den Anlaß oder die näheren Umstände dieser doch ebenso sensationelle wie prekären Lebenbeichte. […] Der Leser bleibt nicht ein Aufnehemender, sondern wird von Anfang an zu einem aktiv Teilnehmenden und Fragenden. Der sich treuherzig gebende Ton beispielweise, den der Erzähler von Beginn an anschlägt und »cum grano salis « bis zum Ende durchhält, könnte der Leser dieser »confessions monstreuse« in einer trügerischen Sicherheit wiegen, störten nicht sogleich die eingebauten Widerhaken.”[1]

Il lettore, non appena si accosta a questo romanzo, è messo di fronte ad una situazione insolita: per la prima volta nella storia della letteratura tedesca del dopoguerra, l’Olocausto è raccontato dal punto di vista di un carnefice. Ma l’aspetto ancora più sconvolgente è che questo personaggio è un cinico opportunista, che talvolta usa un linguaggio scurrile o poco appropriato per raccontare tristi vicende, che rasentano l’impossibile per la loro cruda atrocità. Edgar Hilsenrath giustifica il cinismo del suo personaggio affermando che, essendo il libro raccontato dal punto di vista del carnefice, non avrebbe potuto fare diversamente.

“[…] Dieser Ausspruch stammt ja von einem Massenmörder, also warum soll er nicht zynisch klingen? Ich habe nicht die Absicht einen Massenmörder menschlich sprechen zu lassen, obwohl auch das manchmal der Fall ist, was ja wiederum zynisch ist.”[2]

Fin dalle prime parole del protagonista il lettore è messo di fronte ad un dato di fatto: Max Schulz vuole dare una precisa immagine di sé, inserendosi all’interno di una determinata cerchia di persone che la Rassenideologie nazista definiva “ariane”.

“Ich bin Max Schulz, unehelicher, wenn auch  rein arischer Sohn der Minna Schulz… zur Zeit meiner Geburt Dienstmädchen im Hause des jüdischen Pelzhändler Abramowitz. An meiner rein arischen Herkunft ist nicht zu zweifeln, da der Stammbaum meiner Mutter, also der Minna Schulz, zwar nicht bis zur Schlacht im Teutoburger Walde, aber immerhin bis zu Friedrich dem Großen verfolgt werden kann” [3]

Questa certezza è tuttavia messa subito in dubbio dalla successiva affermazione. Egli non può dire con precisione chi sia suo padre, poiché la madre, nota prostituta di Wieshalle, frequenta abitualmente cinque uomini, ognuno dei quali potrebbe essere il padre. Per non intaccare la sua “arianità”, egli è costretto a precisare che ognuno dei cinque possibili padri è di pura razza ariana e questo comporta un’accurata indagine nel passato di ognuno di loro.

"Ich habe di Stammbäume meiner fünf Väter sorgfältig prüfen lassen, und ich versichere Ihnen, daß die arische Herkunft der fünf einwandfrei festgestellt wurde. Was den Hausdiener Adalbert Hennemann anbetrifft… da kann ich sogar mit Stolz sagen, daß einer seiner Vorfahren den Spitznamen »Hagen der Schlüsselträger« trug, sein Herr und Gebieter als Zeichen seines großen Vertrauens einen bestimmten Schlüssel anvertraute… nämlich den Schlüssel des Keuschheitsgürtel, der später am Hofe des großen Königs berühmt wurde und Geschichte machen sollte.” [4]

L’identificazione di Max è intaccata da un altro particolare, che ha un ruolo fondamentale lungo tutto il corso del romanzo: egli ha l’aspetto tipico della caricatura con la quale i nazisti raffiguravano gli ebrei sullo “Stürmer”, mentre il suo migliore amico Itzig Finkelstein rappresenta l’immagine ideale del tedesco ariano:

“Mein Freund Itzig Finkelstein war blond und blauäugig, hatte eine gerade Nase, feingeschwungene Lippen und gute Zähne. Ich dagegen, Max Schulz, unehelicher, wenn auch rein arischer Sohn der Minna, hatte schwarze Haare, Froschaugen, eine Hakennase, wulstige Lippen und schlächte Zähne. Daß wir beide oft verwechselt wurden, werden sie sich ja leicht vorstellen können.” [5]

Friedrich Torberg nel saggio critico intitolato Ein Freispruch der keiner ist esprime il proprio giudizio su questo anomalo contrasto:

“Wenn ein jüdischer Autor eine Konfrontation zwischen Nazi und Juden zum Thema eines Romans macht, dann habe ich den Anspruch darauf, daß er seinem Vorhaben nicht gewachsen wäre, hat mich während der ganzen Exposition begleitet, während der ganzen Entwicklungsgeschichte der Knabenfreundschaft zwischen dem kleinen Itzig und dem kleinen Max. […] Ich hatte sogar Mühe, mich mit der dichterischen Freiheit, auf die nun wiederum Hilsenrath Anspruch hat, abzufinden und zu akzeptieren, daß der kleine Max wie die »Stürmer«- Karikatur eines Judenbuben aussieht, indessen der kleine Itzig zur Traumfigur eines blonden, blauäugigen Ariers heranwächst. Hingegen leuchtete mir ohne weiteres ein, daß Klein- Max, als Lehrling im Salon Finkelstein beschäftigt, bald auch im Elternhaus seines Freundes lieb Kind ist, ihn manchmal in die Synagoge begleitet, am kulinarisch gesegneten Ritual des jüdischen Feiertage teilnimmt und sich insgesamt jene intern- jüdischen Kenntnisse aneignet, die ihm späterhin so infam zunutze kommen werden.” [6]

Subito dopo l’importante precisazione sulla propria origine, Max presenta Itzig Finkelstein, il suo migliore amico, nato poco dopo di lui, più precisamente due minuti e ventidue secondi dopo che l’ostetrica Gretchen Fettwanst lo aveva brutalmente estratto dal grembo materno. [7]

Otto giorni dopo la nascita di Max accade un fatto insolito che lo mette di fronte alla cruda realtà del mondo degli adulti, nel quale si è trovato involontariamente a vivere. La madre, Minna Schulz, dopo aver assistito alla circoncisione del piccolo Itzig Finkelstein, minuziosamente descritta anche nel suo profondo significato religioso [8] si precipita a casa, decisa a circoncidere anche suo figlio. Questo atto, che sembra quasi un presagio futuro, spaventa a tal punto il neonato che, terrorizzato, balza fuori dalla culla:

“Ich, Max Schulz, acht Tage alt, sprang dem Fleischer plötzlich mit einem Aufschrei an den Hals, bis kräftig zu, obwohl ich noch keine Zähnchen hatte, ließ mich auf den Fußboden fallen, kroch in Windseile zum Fenster, zog mich am Fensterbrett hinauf, erblickte zum ersten Mal in meinem Leben… die Straße… eine ganz gewöhnliche Straße […], erblickte auch den Himmel… aschgrau und schwarz… wolkenverhängt–betupft–verschmiert–überzogen… sah kreisende runde Vögel… aber keine Englein, gar keine Englein.” [9]

Attraverso questo gesto istintivo, il piccolo Max Schulz mostra il proprio rifiuto alla circoncisione e quindi a quel segno di riconoscimento che avrebbe intaccato per sempre la sua identità ariana. Secondo le credenze degli antisemiti, un ebreo era riconoscibile proprio attraverso la circoncisione. L’atto sacrale, che sanciva un patto di eterna unione con Dio, per i nazisti era invece il segno di riconoscimento che avrebbe condotto milioni di uomini a morte sicura. [10]

 Max osserva il mondo dal basso verso l’alto: come il picaro, egli è costretto a guardare la realtà che lo circonda da una posizione sfavorevole. La cantina simboleggia, infatti, il suo Außenseitertum a causa del quale è obbligato a vivere ai margini della società, che può scrutare e giudicare solamente dalla sua infima posizione di emarginato sociale. Max sarà confinato a questo stato di emarginazione umana e sociale e costretto a vivere in cantina, fino a quando dovrà portarsi sulle spalle il peso della sua vera identità, ma quando Max Schulz diventerà l’ebreo Itzig Finkelstein anche la sua posizione potrà finalmente cambiare e la visione del mondo acquisterà per lui un campo visivo più ampio di quello offerto dalla piccola finestra di una sporca e lugubre cantina.  Durante la sua prima visione del mondo Max, rivolgendo gli occhi al cielo grigio come la cenere, nota con sommo dispiacere che non ci sono angeli. Questa mancanza si ricollega ad una tematica ricorrente nell’opera di Hilsenrath: la fede. I personaggi di Hilsenrath sono le vittime indifese di un Dio crudele, che, per qualche motivo incomprensibile, li ha abbandonati lasciandoli ad un destino ancora più atroce. Questo rapporto ambiguo con Dio è chiaramente espresso dal passo biblico che l’autore inserisce come motto all’inizio del suo primo, crudo romanzo Nacht e a causa del quale è stato accusato di cinica inumanità:

“Ich habe dich einen kleinen Augenblick verlassen, aber mit großer Barmherzigkeit will ich dich sammeln. (Jesaja 54, 7)” [11]

Questa sentenza riassume tutto il rapporto degli ebrei di Hilsenrath con il Dio che li ha abbandonati proprio nel momento in cui avevano bisogno del Suo aiuto [12] , ma esprime soprattutto il pensiero dell’autore in materia di fede. In un breve scritto intitolato Ich bin von Natur aus ein Einzelgänger und singe nicht gern im Chor, Hilsenrath dichiara apertamente di non credere in nessuna divinità e quindi di non essere un ebreo osservante, inoltre ritiene la religione, in particolare quella ebraica, troppo complicata, piena di pretese e sacrifici. Immaginandosi a colloquio con Dio, mette in dubbio la Sua esistenza e infine conclude dicendo di credere solamente in se stesso e nelle sue capacità. Soltanto la forza e le capacità personali gli permettono di sopravvivere, affrontando la dura esistenza e superando le difficoltà d’ogni giorno:

“[…] Ich möchte daran glauben, daß es eine göttliche Gerechtigkeit gibt, aber sobald mich mit diesem Gedanken vertraut zu machen versuche, fallen mir die Kinder von Auschwitz ein und Millionen andere, die gequält, gefoltert und ermordet wurden. Aber es ist nicht nur der Krieg und der Holocaust. […] Und wenn es nur ein Märchen ist, die Sache mit dem lieben Gott und dem Paradies, wenn Er nun wirklich nicht ist es nichts gibt nach dem Tode, stimmt es dann nicht, daß die Unschuldigen nicht selig werden und die Schuldigen  nichts zu fürchten haben, denn für sie gibt es weder Vergebung noch Strafe. […] Wenn es keinen Gott gibt, könnte ich jedes Verbrechen begehen. Dostojewski hat etwas Ähnliches gesagt. Und warum sollte ich nicht aussprechen? Also gibt es Ihn nicht. Niemand sieht mich. Niemand hört mich. Mich erwartet weder Belohnung noch Strafe. Ich könnte ein neuer Hitler sein oder ein neuer Stalin oder der Würger von Boston. Es ist völlig egal. Einzig und allein meine Entscheidung zählt: den richtigen Weg zu wählen oder den falschen. […] Ein wichtiges Anliegen ist, an mich selbst zu glauben, denn ich sage mir: Wer an sich selbst glaubt, braucht andere nicht zu fürchten.” [13]

L’ancor breve esistenza del protagonista si complica ulteriormente quando Abramowitz, stanco delle ricorrenti visite che la domestica Minna Schulz riceve da parte dei cinque padri di suo figlio, decide di cacciarla da casa e così madre e neonato si trasferiscono a casa del barbiere Anton Slavitzki, noto Kinderschänder. La loro nuova abitazione si trova di fronte al famoso salone del barbiere ebreo Chaim Finkelstein, all’angolo tra la Goethe- e la Schillerstraße. [14] Minna abbandona i suoi cinque pretendenti per un uomo dalle famose “doti” fisiche e amatorie e il lavandino del negozio di Slavitzki, dove l’uomo è solito urinare, diventa la nuova culla del piccolo, sfortunato Max. Durante la prima notte nella loro nuova, sporca dimora, Max subisce violenza fisica da parte di Slavitzki. Questo avvenimento molto significativo segnerà tutte le scelte future di Max e provocherà in lui danni psicologici irreparabili:

“Als Slavitzki schließlich einsah, daß er verspielt hatte, kannte seine Wut keine Grenzen. Er stürzte wie ein Wilder aus dem neuen Ehebett, nackt, mit gereckten Glied, Schaum auf den Lippen, Schweiß auf der flachen Stirn, verklebten Haar… und stillte Wut und Juckreiz an mir. Können Sie sich das Ausmaß des Verbrechens vorstellen? Ich Max Schulz, gerade sieben Woche alt, zukünftiger Massenmörder, zur Zeit aber unschuldig, lag wie ein Engel in meiner neuen Wiege, dem Waschbecken, in das Slavitzki aus Gewohnheit pinkelte, das jedoch ganz trocken war, denn meine Mutter hatte es ausgewischt, lag eingehüllt in warme Windeln… und einem deckbechen, schlief friedlich, träumte von meinen Kollegen, den Engeln, träumte und lächelte… wurde plötzlich aus dem Schlaf gerissen, hochgerissen… wollte die Engel um Hilfe rufen, konnte aber nicht schreien, riß entsetzt die Augen auf, pißte vor Angst in die Windeln, verschluckte mich, bekam Einstickungsanfälle, kotzte Muttermilch auf Slavitzkis Hand, streckte Händchen und Beinchen aus, wollte meine Unschuld verteidigen, sah das gewaltige Glied Slavitzkis, dachte, es wäre ein riesiger Bandwurm, murmelte Stoßgebete, obwohl ich das beten noch gar nicht gelernt hatte, wollte sterben, sehnte mich zurück in den dunkeln aber sicheren Schoß meiner Mutter… und landete plötzlich bäuchlings auf dem markerschütternden Schrei aus, bäumte mich auf, krallte mich in der Holzwolle des aufgeplatzten Friseursessels fest, reckte mein Köpfchen, das ganz rot angelaufen war, pißte wieder, ohne Absicht, wollte auch furzen, konnte aber nicht, weil die Öffnung verstopft war, fing zu zucken an, hörte die Englein singen, hörte ihr »Halleluja« sah schwebende Harfen und Panflöten, sah kletternde Füßchen auf Tonleitern, sah verschiedene Schlüssel, […] sah keine Engel, sah keine Harfen und Panflöten, hörte den lieben Gott lachen, wollte beten und konnte nicht mehr.” [15]

La lunga descrizione della violenza subita da Max sette settimane dopo la sua nascita, è molto importante per comprendere le scelte future che determineranno la sorte del protagonista. Max ci tiene a precisare il proprio stato d’innocenza “zukünftige Massenmörder, zur Zeit aber unschuldig”, quindi il lettore ne intuisce la possibile, terribile conseguenza: Max Schulz diventerà un carnefice proprio per sfuggire ad un perenne stato di vittimismo. La sua innocenza è ulteriormente sottolineata dal riferimento agli angeli, la cui mancanza era lamentata in precedenza; egli è talmente puro da sentirsi un angelo, purtroppo però il suo stato di sublime candore è prontamente intaccato dal peccaminoso atto di violenza che subisce da parte di Slavitzki. Il celeste canto degli angeli svanisce, lasciando il posto al riso beffardo di Dio. [16] Max è ferocemente catapultato nel mondo vizioso e perverso degli adulti, il suo unico desiderio è quello di far ritorno nell’idillio del grembo materno, ma è troppo tardi poiché in lui sono già presenti i sintomi di un’irreversibile Dachschaden. Questo passo tocca anche un tema ricorrente nei romanzi di Hilsenrath: il sesso. Nell’opera dello scrittore, il sesso ha generalmente due significati: da una parte detta legge e mette ordine, come nel caso dei cinque padri di Max, i quali fanno visita a Minna Schulz seguendo sempre una precisa disposizione basata sulle loro potenzialità fisiche, [17] dall’altra è messo in relazione con l’aggressione. Dalla violenta umiliazione fisica che l’infante deve subire da parte di un patrigno, sessualmente frustrato, si forma la distorta visione del mondo del carnefice Max Schulz:

“Bereits in Max’ Kindheit wird das Fundament für seine spätere »Karriere« gelegt. Er stammt aus obskuren Familienverhältnissen, fünf Männer kommen als Vater in Frage. Sein Stiefvater schließlich vergewaltigt und mißhandelt ihn, von Kindheit an wird Max unterdrückt und gequält. Daraus leitet Max ein allgemeines Weltprinzip ab: »Hat der liebe Gott nicht die Unschuld erfunden, damit sie zertreten wird… hier auf Erden? Und werden die Schwachen und Wehrlosen nicht von den Starken überrumpelt, niedergeknüppelt, vergewaltigt, verhöhnt, in den Arsch gefickt? Zu gewissen Zeiten sogar einfach beseitigt? Ist es nicht so?« Für Max stellt sich das Leben ganz einfach dar: es gibt zwei Seiten, auf der einen tritt man, auf der anderen wird man getreten. Ziel kann nur sein, auf die Seite der Mächtigen zu gelangen, und sei es nur aus Selbstschutzgründen.” [18]  

Un salto temporale, porta il lettore fino all’estate del 1914, perché secondo quanto riferisce il narratore fino a quel momento, a parte il grande sconvolgimento della Prima Guerra Mondiale, non è successo niente che valga la pena ricordare. Dalla cantina piena di ratti dell’abitazione di Slavitzki, dove la famiglia si è dovuta trasferire a causa della guerra, Max osserva con piacere gli avvenimenti bellici e dalla sua “bassa” posizione sembra tutto più divertente:

“[…] aus dem Blickwinkel des Kellerfensters… sah der Krieg lustig aus. Tagelang zogen lange Kolonnen vorbei. Marschmusik dröhnte mein Kinderzimmer. Ich konnte von meinem Kellerfenster schwere Geschütze von unten sehen, auch Menschen und Tiere begeisterte mich für Pferdehufe, freute mich, wenn sie vor dem Fenster tänzelten, war erstaunt über den Gleichschritt der Soldatenbeine, hatte ja nicht gewußt, daß es so viele Beine auf der Welt gab. Besonders gut gefilen mir di forschen Stiefel der Offiziere. Die waren blank und schwarz, knischten auf dem Straßenpflaster, kümmerten sich nicht um Glasscherben, lachten das Pflaster aus, hatten hochmütige Nasen, blinzelten mir zu und erfüllten mich mit geheimen Wünschen.” [19]

Gli stivali dei soldati, unica parte che può vedere dalla sua infima pozione, lo attirano particolarmente, poiché sembrano donare forza a chi li indossa. Questa fantasia infantile diverrà realtà quando Max indosserà prima la divisa delle SA e in seguito quella delle SS.

Max è un bambino molto vivace, la cui esagerata euforia è interpretata come naturale conseguenza dei suoi disturbi mentali:

“Als Junge schlug ich seltsame Purzelbäume. Ich konnte auch Radschlagen, verstand es, meine Glieder zu verrenken, machte Handstand, Kopfstand, Spagat, konnte an meiner großen Zehe lutschen, zog Grimassen, lachte oft ohne Grund, stotterte, warf Steinchen auf kleine Mädchen, trat Jungens die schwächer waren als ich, in den Hintern, schlug Fensterscheiben ein, kletterte auf Dächer, pinkelte von Dächern auf die Straße und so fort. Einmal sagte mein Stiefvater zu meiner Mutter: »Weißt du, Minna, ich glaube, bei dem Jungen ist ne Schraube locker.« […]  »Dein Schwanz war ganz einfach zu groß«, sagte meine Mutter, »und lang. Der stieß an seinen Hirnkasten an oder an sein Dach. Und was entstand: ein Dachschaden!«” [20]  

Il disturbo mentale di Max è un’arma di difesa, che egli potrà usare nei momenti di necessità. Esso non è solo un mezzo per isolarsi dal mondo che lo circonda, rinchiudendosi in una realtà fantastica fatta solamente di scherzi, giochi e risate, ma è anche la giustificazione di cui egli, in qualità di carnefice, potrà avvalersi nel momento in cui rischierà di essere giudicato per i crimini commessi. Il suo Dachschaden è come un “tamburo di latta”, che lo protegge dalle insidie del mondo e lo soccorre quando la minacciosa realtà esterna cerca di sopraffarlo.

L’evento più importante, ai fini della comprensione del personaggio e del romanzo, è l’amicizia di Max con l’ebreo Itzig Finkelstein. Un’amicizia che Slavitzki, fanatico antisemita, non vede certamente di buon occhio, anche perché Itzig è il figlio del suo acerrimo concorrente, il famoso barbiere Chaim Finkelstein, dal quale anche gli ariani preferiscono farsi radere, piuttosto che dover mettere piede nella sporca topaia di Slavitzki. L’amicizia dei due giovani è una sorta di interscambio culturale: Max insegna a Itzig come si fanno le capriole, come si catturano i topi, o com’è possibile che un verme continui a muoversi anche dopo che è stato decapitato [21] , Itzig, a sua volta, invita l’amico a casa o in sinagoga dandogli la possibilità di apprendere le preghiere ebraiche, lo yiddisch, la storia del suo popolo e tutti i significati dei riti e delle consuetudini ebraiche, che Max potrà abilmente sfruttare a suo vantaggio una volta immedesimatosi nel ruolo di un povero ebreo sopravvissuto miracolosamente all’inferno di Auschwitz.

“Ich, Max Schulz, rein arischer Sohn der Minna Schulz, lernte bei den Finkelsteins jiddisch, machte mich mit Hilfe meines Freundes Itzig mit den hebräischen Schriftzeichen vertraut, begleitete meinen Freund am Samstag in die kleine Synagoge in der Schillerstraße, betete manchmal mit, weil mir das Spaß machte, saß in der Synagoge still neben den Finkelstein, stand auch manchmal auf, wenn die Gemeinde aufstand, sang mit ihnen mit, wiegte meinen Körper im Rhythmus des Gebets, flüsterte inbrüstig: »Schemah Jisrael Adonai Elohenu Adonai Echat! – Höre, oh Israel: der Herr unser Gott, ist ein einziger Gott!« Wir sprachen oft von Jerusalem, Itzig und ich. Einmal sagte ich zu meinem Freund: »Weißt du… wenn wir erwachsen sind… dann fahren wir mal rüber. Das gucken wir uns an!«” [22]

L’inserimento di Max nella comunità ebraica, e in particolar modo nella vita di Itzig Finkelstein e della sua famiglia, sono il passo iniziale verso la trasformazione del carnefice, qui ancora vittima, e la sua totale identificazione nella sua nuova identità di ebreo. L’aspetto fisico dei due giovani è la realtà più insolita e assurda della loro amicizia. Max, essendo la caricatura di un ebreo, gioca nella squadra di calcio degli “ebrei” e gli altri ragazzi, per scherzo o perché stentano a riconoscerlo, attirano la sua attenzione chiamandolo Itzig:

“Daß wir beide oft verwechselt wurden, werden Sie sich ja leicht vorstellen können. Die Jungens von der gegnerischen Mannschaft riefen mich »Itzig«, sagten, ich hätte den Fußball verhexte, fragten mich, ob mein Vater, der Chaim Finkelstein, auch ins Waschbecken pinkelte wie der Stiefvater meines Freundes Max Schulz, ob er seiner Frau auch den Hintern versohle, und wenn nicht, warum nicht?” [23]

Secondo i pregiudizi antisemiti di Slavitzki, Max è stato stregato dalla famiglia del suo amico e, di conseguenza, l’ebreo si è impossessato dei suoi capelli biondi, degli occhi azzurri e del naso dritto, lasciando a lui, sfortunato, i capelli neri, gli occhi scuri, il naso e i denti storti, i piedi piatti e, soprattutto i suoi sfiguranti Froschaugen, caratteristica distintiva del protagonista cui verrà dato risalto in tutto il romanzo. All’età di dieci anni Itzig Finkelstein passa dalle scuole elementari al liceo, anche Max vorrebbe seguire le orme dell’amico, ma la madre cerca di impedirglielo poiché, a causa della sua malattia mentale, non avrebbe mai potuto farcela. Alla fine, Max frequenta il liceo insieme a Itzig, grazie all’aiuto del quale riesce addirittura a terminarlo brillantemente. Proprio come il picaro, anche Max vive alterne vicende e grazie all’istruzione si prospetta per lui una vita migliore. Anche un povero ragazzo, lievemente ritardato, figlio di una prostituta, che abita in una cantina piena di ratti, con un Kinderschänder può, per la prima volta nella sua sfortunata vita, alzarsi e scuotersi di dosso la sudicia esistenza che lo sta opprimendo fin dal giorno della sua nascita.

“Die Jahre im Gymnasium drückten mir, Max Schulz, Sohn einer Nutte, Stiefsohn eines Kinderschänders, Rattenquäler mit Dachschaden … einen neuen Stempel auf. Ich entwickelte mich, wurde ein studierter junger Herr, der Latein konnte und Griechisch und sogar Algebra, der über vieles Bescheid wußte, besonders über Geschichte und Mythologie. […] Allerdings war ich kein Vorzugsschüler, aber unter der Leitung und Anregung von Itzig Finkelstein, der ja neben mir auf der Schulbank saß, stopfte ich doch allerhand wissenswertes in meinen Bastardschädel. “ [24]

Max acquista, in questo modo, il rispetto degli altri ma soprattutto il rispetto di se stesso e grazie all’amico anche a lui è concessa la possibilità di diventare intelligente e perspicace, proprio come Itzig. La loro amicizia è caratterizzata da molteplici contrasti: l’aspetto fisico, l’intelligenza di Itzig e la deficienza di Max e, infine, l’arte della poesia. All’età di sedici anni, Itzig fonda un club per poeti al quale naturalmente aderisce anche Max, ma mentre le poesie di Itzig hanno forma e armonia perfette, sono intelligenti, serie ed eleganti, quelle di Max sono “formlos”, “disharmonisch”, “unvernünftig”, “absurd” e “pervers [25] . L’armonia della poesia di Itzig rispecchia quella della sua vita, allo stesso tempo la mancanza d’armonia e d’intelligenza, l’assurdità e la perversione delle composizioni di Max sono la chiara riproduzione della sua misera e infima esistenza. Nel 1923, a causa dell’inflazione, i due giovani, ormai abbastanza eruditi, lasciano lo studio e iniziano ad imparare il mestiere di barbiere da Chaim Finkelstein:

“Ich, Max Schulz, ging bei Chaim Finkelstein in die Lehre. […] Was mich betrifft, mich hatte der Friseurberuf schon immer interessiert. Gibt es denn etwas Edleres als den menschlichen Schädel? Und macht es nicht Spaß, das Edle zu formen, zugestalten, zuverschönen… weil man gerade bei dieser und ähnlicher Arbeit das Gefühl hat, es könnte auch Spaß machen, das Edle zu zerstrümmern? Man ist so nah dran. Mit den Händen. Da juckt es einen manchmal… so ganz komisch, wissen Sie. Das ist ein Kopf! Und der ist deinen Händen ausgeliefert!” [26]

Dalle parole di Max sembra che l’arte tonsoria conferisca, a chi la pratica, la capacità di forgiare le menti umane. La testa nelle mani del barbiere, rappresenta la mente dell’uomo plasmata dalle mani di un essere superiore. Diventare barbiere significa per Max acquisire sempre più rispetto e specialmente potere e quindi, esercita e segue gli insegnamenti di Chaim Finkelstein come se fossero una sacra dottrina e, come tale, gli vengono infusi. Una dottrina che si rispetti deve avere un libro sacro, e così l’opuscolo “Haarschnitt ohne Treppen” diventa una bibbia e il suo autore, Chaim Finkelstein, un sacerdote:

“Die Broschüre »Haarschnitt ohne Treppen« wurde meine Bibel und ihr Verfasser Chaim Finkelstein mein großes Vorbild, mein Lehrmeister. Chaim Finkelstein erklärte mir, daß der Mensch hunderttausend und zwei Haare auf dem Schädel habe, die Dickschädel sowohl als die Dünnschädel, jedoch gebe es gewisse Schädel, so sagte Chaim Finkelstein, die hätten mehr, das sei aber sehr seidigem Haar der Fall, denn was zu dünn sei und dennoch decken wolle, das müsse schon üppig wachsen, wogegen die Anzahl der Haare bei Kraushaar, also dickem, kräftigem Haar, meistens geringer sei, eine sonderbare Einrichtung des lieben Gottes, der alles richtig verteile, wenn er wolle. »Und wenn er nicht will?« fragte ich. »Dann eben nicht«, sagte Chaim Finkelstein. »Alles ist in Seiner Hand. Er haucht das Leben ein und bläst es wieder aus. Er ist ein “Großer Verdecker”, aber auch ein “Großer Aufdecker”.«” [27]

L’arte tonsoria è spiegata come una dottrina religiosa, il barbiere è un sacerdote che modella ciò che Dio ha dato all’uomo. Ancora una volta, anche se in un contesto ironico, Hilsenrath mette in scena la giustizia divina: Dio divide giustamente i capelli fra gli uomini, ma, viene precisato, solo se Egli lo desidera. Siccome è stato appurato che la giustizia divina è iniqua ci sono uomini fortunati e altri sfortunati, alcuni con chiome fluenti, altri completamente calvi, poiché tutto è nelle Sue mani, anche i capelli. Questo passo è molto provocatorio, Hilsenrath inserisce un argomento molto serio come la fede, in un contesto assurdo, velando la sua amara critica alle dottrine religiose attraverso il tono comico-grottesco delle parole dei suoi personaggi. Un altro aspetto da non dimenticare, legato al passo in questione, è l’importanza che per Max assume l’apprendimento di questa professione. Proprio come gli insegnamenti religiosi, anche il mestiere di barbiere, servirà al carnefice Max Schulz per costruirsi una nuova, rispettabile esistenza in Palestina, dopo la guerra e l’assassinio di migliaia di ebrei.

Il capitolo si conclude con un avvenimento enigmatico, che segna il passaggio del protagonista dalla fase di vittima innocente a quella di carnefice. Max, osservando la propria effigie nello specchietto della madre, non si riconosce, perché il riflesso nello specchio rimanda molteplici figure, ognuna delle quali rappresenta una diversa personalità di Max e differenti tappe evolutive che dovrà superare. [28] Con quest’immagine si conclude la prima parte dell’analisi del protagonista, ancora vittima. Nelle pagine successive inizierà la sua lenta, ma inesorabile trasformazione in carnefice.


[1] A. Graf, op. cit., pp. 138- 139.

[2] A.W. Mytze, op. cit., p. 18.

[3] E. Hilsenrath, Der Nazi & der Friseur, Literarischer Verlag Helmut Braun KG, Köln 1977, p. 7.

[4] Ibidem. Affinchè non vi siano dubbi sull’origine dei suoi padri Max si riallaccia addirittura a un ipotetica origine medievale. Bisogna sicuramente dire che al lettore non può sfuggire l’assurda comicità di questo passo. A tale proposito cfr. A. Graf, op.cit., p. 139.

[5] Ivi, p. 29.

[6] F. Torberg, Ein Freispruch der keiner ist, in A.A.V.V., Edgar Hilsenrath. Das Unerzählbare erzählen, op. cit. pp. 73-74.

[7] Cfr. E. Hilsenrath, Der Nazi & der Friseur, op. cit., pp. 8-9. Cfr. questo passo con quello della nascita di Oskar Matzerath in G. Grass, op. cit., pp. 33-35.

[8] Cfr. ivi, p. 10.

[9] Ivi, p. 13.

[10] Cfr. H. Hoven, Die Ästhetik des Geschlechtsverkehrs, oder Anmerkungen zum Thema: Sexualität im Werk Edgar Hilsenraths, in A.A.V.V., Edgar Hilsenrath. Das Unerzählbare erzählen, op. cit., p. 192. Subito dopo la guerra, come sarà possibile constatare anche nel romanzo, non sarà più solo la ciconcisione o lo yiddisch, a distinguere ebrei e non ebrei, ma anche il tatuaggio che veniva loro impresso durante la prigionia nei campi di concentramento.

[11] E. Hilsenrath, Nacht, op. cit., p. 6.

[12] Cfr. P. Stenberg, »Ich habe dich einen kleinen Augenblick verlassen« Edgar Hilsenrath und der abwesende Gott, in A.A.V.V., Edgar Hilsenrath. Das Unerzählbare erzählen, op. cit., pp. 178-190.

[13] E. Hilsenrath, Ich bin von Natur aus ein Einzelgänger und singe nicht gern im Chor, in A.A.V.V., Edgar Hilsenrath. Das Unerzählbare erzählen, op. cit., pp. 51-53. Il difficile rapporto con Dio e la validità della giustizia divina viene ripreso spesso nel corso del romanzo, esso sarà ampiamente affrontato durante il processo immaginario al carnefice Max Schulz.

[14] I cinque padri ariani di Max non vogliono oltrepassare il limite delle due strade che, portando il nome dei due illustri padri della letteratura tedesca, rappresentano l’anima tedesca di chi le abita. Essi decidono così di lasciare la loro amata Minna presso l’abitazione del barbiere Anton Slavitzki, all’angolo fra le due strade, dirimpetto al salone dell’ebreo Chaim Finkelstein. L’assurdità di questa situazione è accentuata dal fatto, ancora più insolito, che sia Finkelstein che Slavitzki non rappresentano certamente l’anima tedesca del paese: il primo è ebreo, anche se assimilato, il secondo è di dubbia origine polacca, nonostante i tentativi di affermare la propria arianità tramite un fanatico antisemitismo.

[15] E. Hilsenrath, Der Nazi & der Friseur, op. cit., pp. 20-21.

[16] A tale proposito rivedere la citazione tratta dal breve scritto di E. Hilsenrath, Ich bin von Natur aus ein Einzelgänger und singe nicht gern im Chor, op. cit., pp. 51-53.

[17] “Meine fünf Väter besuchten meine Mutter jeden Abend. Sie standen Schlange vor ihrer Zimmertür. Gewöhnlich ging der Stärkste, also der Fleischer, als erster zu ihr, dann kam der Schlossermeister an die Reihe, dann der Maurergehilfe, dann der Kutscher, dann der Hausdiener. Ja, der Hausdiener immer als letzter, weil er der Schwächste war, ein zierlicher kleiner Mann mit Piepstimme, denn nichts andere übrigblieb als seinen Schwanz im Samen meiner anderen vier Väter zu baden.” E. Hilsenrath, Der Nazi & der Friseur, op.cit., p. 14.

[18] C. Brecheisen, op. cit., p.172.

[19] E. Hilsenrath, Der Nazi & der Friseur, op.cit., p. 23.

[20] Ivi, p. 26.

[21] Cfr. ivi, pp. 26-27.

[22] Ivi, p. 28.

[23] Ivi, p. 29.

[24] Ivi, p. 32.

[25] Ivi, p. 33.

[26] Ivi, p. 35.

[27] Ivi, p. 36.

[28] Questo avvenimento sarà analizzato nel capitolo sesto.

 



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