La funzione critica del romanzo

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Capitolo quinto: la funzione critica del romanzo

Lo Schelmenroman nasce con una precisa intenzione critica da parte dell’autore: attraverso le avventure del picaro o Schelm, che partecipa più o meno attivamente agli avvenimenti storici, lo scrittore esprime il proprio disappunto o la totale disapprovazione per quegli stessi eventi che il suo personaggio si trova a dover affrontare. Come è stato evidenziato nel capitolo dedicato allo Schelmenroman, quest’ultimo non potrebbe esistere senza il contesto storico in cui si colloca, allo stesso tempo la storia usa il romanzo quale mezzo per farsi conoscere. Lo Schelm e la storia, quindi, procedono di pari passo, scandendo ogni singolo fatto, il primo per criticare e talvolta deridere, la seconda per mostrare i propri contenuti a lettori ancora inesperti. Il linguaggio scurrile usato dal picaro, le immagini satirico- grottesche e talvolta anche il cinismo, sono tutti artifici messi in atto dall’autore per sfruttare al meglio la funzione critica dello Schelmenroman:

“Die für die Holocaust-Literatur außergewöhnlichen Erzählformen wirken häufig provokativ und wecken somit verstärkt das Interesse der Leser. Gleichzeitig können durch den satirischen Ton Berührungsängste, sich mit dem Grauen auseinandersetzen, abgebaut werden. Allerdings, erweist sich eine Satire über den Holocaust stets als Gratwanderung zwischen Provokation und Verletzung. So scheint es einzig für die Betroffenen legitim, in dieser Form zu erzählen, alle anderen liefen Gefahr, dem Verdacht der Verharmlosung ausgesetzt zu werden.” [1]

L’autobiografia fittizia che narra gli avventurosi, insoliti e quasi impossibili avvenimenti della vita del picaro, s’intreccia con la verità storica. Il connubio tra fantasia e realtà porta alla realizzazione di un romanzo inventato che, inevitabilmente, fa riflettere sugli avvenimenti veritieri narrati:

“Fakten allein genügen also nicht, um die Wahrheit zu erzählen. Auch die Fiktion bietet keine ausreichenden Möglichkeiten. Was bleibt, ist eine Mischung aus beiden, eine Balanceakt, der nicht ganz unproblematisch ist.” [2]

Il confondersi di finzione e realtà non è un aspetto esclusivo dello Schelmenroman, infatti, vale anche per la letteratura in generale. Ogni autore attinge fatti reali dalla storia propria o di qualcun altro e li rielabora dando così origine alla sua opera letteraria. I romanzi di Hilsenrath, in particolare, sono totalmente costruiti su questa commistione di elementi storico- autobiografici e immaginazione: Nacht e Bronskys Geständnis fondano per lo più autobiografismo e finzione; parlando del suo progetto letterario Bronsky spiega:

“Es handelt sich um eine Art Tatsachenroman, obwohl man die Tatsachen zuweilen verfremden muß, um besser zu begreifen.” [3]

mentre Der Nazi & der Friseur, Das Märchen vom letzten Gedanken e Jossel Wassermanns Heimkehr, sono il contributo fantastico alla storia:

“»Alles, was im Kopf eines Menschen passiert, ist wahr« sagte der Märchenerzähler, »obwohl es eine andere Wirklichkeit ist, als die wirkliche Wirklichkeit, die uns oft unwirklich erscheint.«” [4]

Attraverso i suoi romanzi Hilsenrath cerca di far comprendere l’importanza delle storie fantastiche e delle favole, in un mondo perverso che ha perso la facoltà di ridere e sognare. Come in un sogno egli mostra quindi il genocidio del popolo armeno, come in una favola il Meddah racconta a Thovma Khatisian la tragica fine dei suoi genitori e la definitiva scomparsa della sua gente e attraverso le ciniche battute del carnefice Max Schulz, l’autore cerca di sdrammatizzare la realtà dell’Olocausto, non perché voglia schernire il popolo ebraico e i sei milioni di vittime che sono state meno fortunate di lui, bensì per esorcizzare un passato troppo scomodo che come un pesante fardello lo accompagna ogni giorno della sua vita, ma anche per criticare coloro che hanno permesso la realizzazione di un simile, atroce, disumano massacro. Hilsenrath possiede un’innata e inconsueta capacità di unire satira e ironia all’orribile, crudele scempio del popolo ebraico e, nel caso specifico di Das Märchen vom letzten Gedanken, di quello armeno. Per questo motivo la letteratura critica insiste sull’aspetto satirico- grottesco della sua opera e lo definisce “Pierrot des Schreckens [5] o “Woody Allen aus Berlin [6] :

“Kann man in Legendenton, mit biblischer Rhetorik, wie ein Märchenonkel über den ersten Genozid dieses Jahrhunderts berichten? Über viehische Massaker Vernichtungs- Deportationen, Folterqualen, über eine staatliche gelenkte, systematische Schlächterei? Edgar Hilsenrath, Überlebender des zweiten Holocaust kann es.” [7]

Questo capitolo è incentrato proprio sulla funzione critica di Der Nazi & der Friseur: attraverso la satira e il tono cinico del protagonista, Hilsenrath cerca di smascherare le false ideologie del nazionalsocialismo, ma anche gli ideali illusori per cui il popolo ebraico combatte contro gli arabi e gli inglesi emulando in questo modo il nazismo. La similitudine tra nazismo e sionismo occupa la seconda parte del capitolo e si concentra in modo particolare sul raffronto tra il discorso di Hitler sull’Ölberg a Wieshalle, nella Germania nazista, e quello di Max Schulz alias Itzig Finkelstein nel salone di Schmulevitch nella Palestina del dopoguerra. Il primo paragrafo si interesserà alla critica del mondo borghese e il terzo a quella sulla giustizia umana e divina con uno specifico riferimento al Mordprozeß al carnefice Max Schulz.


[1] C. Brecheisen, op. cit. p. 228.

[2] Ivi, p. 220

[3] E. Hilsenrath, Bronskys Geständnis, op. cit., p. 57.

[4] E. Hilsenrath, das Märchen vom letzten Gedanken, op. cit., p. 138

[5] Anonimo, Pierrot des Schreckens, in “Der Spiegel”, 04.09.1989, p. 233.

[6] Anonimo, Woody Allen aus Berlin, in “Der Spiegel, 19.12.1983, p. 148.

[7] Anonimo, Pierrot des Schreckens, op. cit., p. 233.

 



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