Lasciata la direzione del "Giornale
del Sud" nel 1981, all'inizio del 1982 Fava, disoccupato
dopo questa vicenda assieme ad alcuni dei "suoi"
ragazzi, li riunì per fare un nuovo giornale, questa
volta senza padroni, gestito da una cooperativa formata
dagli stessi redattori. La cooperativa si chiamerà
Radar e ha anche il progetto di un nuovo mensile, con Fava
direttore responsabile, dal titolo "I Siciliani".
"Dopo una serie di riunioni che si tennero
nella sede della cooperativa Alfa, di cui Fava era presidente
e che comprendeva attori e giornalisti, nella primavera
del 1982 si ebbe la riunione definitiva. Tutti i partecipanti
si dissero disponibili all'idea e alla proposta Fava: fondare
una cooperativa e lanciare sul mercato, anche nazionale,
un settimanale indipendente e di denuncia, che partisse
dalla Sicilia ma fosse anche espressione dell'intera nazione.
[ ] Gli intenti della cooperativa erano quelli di creare
un centro stampa che permettesse di ottenere, negli stessi
locali della redazione, un prodotto completo, dalla scrittura
alla stampa. [ ] Sede del nuovo giornale fu un unico
locale, ubicato a S. Agata Li Battiati, uno dei tanti paesini
dell'hinterland catanese, al pianterreno di un grande palazzo,
ed utilizzato per metà a redazione e per metà
a tipografia. La tipografia venne comprata con un credito
ottenuto dall'IRCAC (Istituto Regionale di Credito alle
Cooperative), a fronte di cambiali per 256.000.000 di lire
sottoscritte dai cinque consiglieri d'amministrazione della
cooperativa.[ ] Dopo l'arrivo delle macchine ["due
bellissime Roland di seconda mano, offset bicolori settanta/cento"],
la cosa più importante divenne quella di saperle
usare. Per un anno la redazione provò esperimenti
di ogni tipo. Per esempio fu stampato un giornale in lingua
inglese "Walkie Talkie", che nascondeva tendenze
filopalestinesi e anti-reaganiane, che veniva venduto ai
soldati americani della base militare di Sigonella. Un'esperienza
utile che servì soprattutto a provare i vari modelli
di impaginazione e grafica, puntando essenzialmente alla
valorizzazione e al taglio da dare ad ogni pezzo. Il modello
a cui ci si voleva rifare, sia come "veste" grafica
che come contenuti era il vecchio "L'Espresso"
di De Benedetti, un giornale di denuncia ma semplice e chiaro
nell'esposizione, accessibile a tutti.
Della grafica si occuparono specificatamente Claudio Fava
e Riccardo Orioles, che già se ne erano occupati
nel "Giornale del Sud". La distribuzione fu curata
da Miki Gambino, mentre Pippo Fava si occupò della
pubblicità.
Fu stipulato un contratto con la SOCOP, la società
che produce pubblicità per le cooperative, ma un
contratto di appena un centinaio di milioni l'anno si rivelò
ben poca cosa per una testata che aveva grandi pretese.
Si cercò allora anche pubblicità su scala
locale, ma raramente si stipularono contratti a lungo termine
[17].
Con questi mezzi - e con queste incognite
- inizia la storia della rivista, che si pone con piena
coscienza delle finalità squisitamente politiche.
Politico nel significato più puro
del termine, una sfida cioè, alle spalle della quale
non ci sono padroni ma semplicemente la volontà di
essere finalmente protagonisti del proprio destino. Profondamente
dentro i propri problemi con la capacità, la pazienza
e la fantasia di proporne le soluzioni. A Palermo come a
Napoli, a Catania, a Roma, a Bari. Orgogliosamente. Capovolgendo
il vecchio e infame paradigma che ha sempre posto la cultura
subalterna alla politica [18]
E' chiaro, dalle vicende che fin qui abbiamo
raccontato, che la conquista di questa dimensione politica
avviene tutta dentro la realtà difficile dell'informazione
in Sicilia. Giuseppe Fava non è mai stato un uomo
di sinistra né tantomeno un politico. Parte dalla
letteratura per arrivare alla cronaca - la passione per
le storie e per ciò che ci stava dietro - e dalla
cronaca va a finire alla politica.
L'intenzione che aveva quando aveva cominciato
a fare il "Giornale del Sud" era quella di dirigere
un bel giornale libero, autonomo, concorrenziale rispetto
a "La Sicilia", dopo l'intenzione fu diversa:
non più soltanto un buon giornale libero, ma un giornale
che diventasse lo strumento per parlare di come la città,
Catania, si era modificata, di come si erano modificate
la geografia siciliana e le regole del gioco. [ ] Un
giornale che può, in sostanza, sintetizzare il cambiamento
della Sicilia degli anni Ottanta, che non passa solo attraverso
il salto di qualità fatto dalla mafia, cioè
l'asse imprenditoriale mafiosa che si crea tra la Sicilia
occidentale e quella orientale, ma anche attraverso il crollo
del mito industriale, la definitiva devastazione ambientale
di tutta la Sicilia, la nuclearizzazione dell'isola come
discorso culturale di emarginazione dal resto della penisola.
Tutte cose che vanno raccontate in quel momento, che dieci
anni prima non esistevano e che dieci anni dopo saranno
già state ampiamente descritte. Quello è dunque
il momento in cui accadono quelle cose che noi stiamo vivendo,
e noi in qualità di giornalisti siciliani dobbiamo
necessariamente prenderne atto e comunicarlo agli altri,
ed abbiamo bisogno di uno strumento per farlo [19]
La novità, il significato del giornale,
fu di proporre, amplificati, gli argomenti scottanti presenti
nella realtà siciliana degli anni ottanta: la crescente
e troppo a lungo sottovalutata potenza delle famiglie mafiose
catanesi; il flusso di denaro pubblico nelle casse delle
Istituzioni regionali e in quelle di soggetti equivoci o
addirittura mafiosi; il pericolo, non solo di guerra, ma
anche di rafforzamento della presenza mafiosa, portati dalla
creazione delle basi nucleari NATO in Sicilia; la necessità
segnalata a suo tempo dal generale dalla Chiesa, di far
luce sulle fortune dei principali imprenditori catanesi;
le connessioni ben più che occasionali tra mafia
e politica [20].
Il tema centrale che occupava gran parte delle pagine del
giornale era la società civile coi suoi problemi.
Poi c'era lo sguardo rivolto particolarmente a Catania,
questa città che da trent'anni aveva nascostamente
consolidato una malavita estremamente potente, che Fava
chiamava mafia [21].
Il giornale comincia ad uscire proprio nel
momento in cui, dopo il delitto Dalla Chiesa, esplose il
caso Catania, il nuovo protagonismo dei clan catanesi (Nitto
Santapaola) nella cupola.
Alla fine del novembre 1982, le trattative
e i dibattiti per decidere se fare o non fare un nuovo giornale
terminarono. Nell'incombenza di nuove tragedie e di nuove
vittime, dopo l'uccisione del generale dalla Chiesa, diventava
improcrastinabile una tribuna dalla quale denunciare"
[22]
Note: [17] Cannavò, op.cit., p.155-157.
[18] Giuseppe Fava, Una sfida dal Sud, in
"I Siciliani" a. I,n.3, marzo 1983.
[19] Intervista a Claudio Fava, in G. Russo,
Editoria e ambiente: il caso della rivista "I Siciliani",
Facoltà di scienze politiche, Università degli
studi di Milano, tesi di laurea a.a. '88-'89.