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Un ricordo di Neddu Arena

Sebastiano Arena, detto Neddu, era molte cose: anzitutto era un uomo onesto, cosa che puó sembrare ovvia e banale, ma che non lo é affatto...

di Ferdinando Leonzio - mercoledì 12 ottobre 2022 - 3451 letture

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Sebastiano (Neddu) Arena

Fu l’ultimo – e certamente il piú giovane – dei suoi sostenitori a chiedermi di adoperarmi perché a Neddu fosse intitolata una strada di Lentini. Ma cosa puó fare in merito lo storico, se non cercare di scuotere la polvere del tempo, prima che essa seppelisca per sempre il ricordo di un uomo, peraltro del tutto meritevole dell’auspicato riconoscimento? Un primo tentativo, di una quindicina di anni fa, non sortí alcun effetto, forse perché assai poco divulgato.

Ma chi era Neddu, come tutti, nell’ambiente delle sinistre di tutte le sfumature lo chiamavano, anche da sindaco?

Sebastiano Arena, detto Neddu, era molte cose: anzitutto era un uomo onesto, cosa che puó sembrare ovvia e banale, ma che non lo é affatto, come tutti possono capire; era un politico di razza e disinteressato, con un innato e incontenibile istinto rivoluzionario contro tutte le ingiustizie; era capace di pagare, per la sua tenace coerenza, anche prezzi personali assai elevati; era un oratore di altissimo livello, capace di riempire, ad ogni suo comizio, le due piazze centrali di Lentini.

Nutriva un appassionato amore per la cultura, che lo aveva fatto diventare da autodidatta [1] un intellettuale di notevole spessore, riuscendo anche ad essere poeta non banale. Ma soprattutto possedeva il carisma naturale di chi nasce leader, tale da suscitare passioni eccezionali e contrapposte: una passione fideistica nei suoi amici e collaboratori, capaci di seguirlo sempre e comunque, e un sordo rancore nei suoi detrattori, sempre anelanti di contrastarlo.

Neddu amava pronunciare sentenze ricche di saggezza che ricordavano quelle di un Socrate o di un Gorgia. La prima che gli sentii pronunciare – non ero ancora maggiorenne - fu: „Anarchico é il pensiero e con l’anarchia va il mondo“, la quale rivelava come la sua militanza comunista avesse sfumature anarchiche, del tutto coerenti col suo innato ribellismo.

Egli era il maggiore dei due figli del catanese Giovanni Arena, che avendo sposato la lentinese Mattea La Ferla, si era poi trasferito a Lentini. In seguito Giovanni fu assunto nelle Ferrovie dello Stato, dove entró in contatto con i numerosi elementi socialisti presenti nel sindacato dei ferrovieri, molti dei quali si erano opposti al fascismo da prima della Marcia su Roma. Giovanni aderiva alla corrente „intransigente rivoluzionaria“, che dal 1912 governava il PSI, sotto la guida del suo prestigioso segretario Costantino Lazzari.

Neddu nacque il 29 agosto 1915, pochi mesi dopo l’ingresso (24-5-1915) dell’Italia nella prima guerra mondiale, quando era ancora fresca la violenta polemica fra interventisti e neutralisti e i socialisti, fedeli all’internazionalismo proletario, erano rimasti soli all’opposizione di quella che il papa Benedetto XV definirà inutile strage.

Andato al potere, il fascismo si prese la sua meschina vendetta, usando l’arma del licenziamento in tronco contro migliaia di ferrovieri „sovversivi“. Uno dei primi provvedimenti del governo fascista fu, infatti, la nomina di un Commissario Straordinario per le Ferrovie dello Stato, il quale avvió nel 1923, e concluse in un paio d’anni, un’opera di epurazione che comportó il licenziamento, spesso con l’ipocrita motivazione „per scarso rendimento“, di migliaia di ferrovieri sovversivi [2].

Fra di essi Giovanni Arena [3], il quale fu perció costretto a trovarsi un altro lavoro: dapprima come autotrasportatore di agrumi e poi come artigiano orologiaio, mestiere da lui insegnato ad entrambi i figli.

Negli anni bui del ventennio, Giovanni non abiuró alla sua fede politica, ma come altri militanti rivoluzionari del PSI, aderí al partito comunista. Tanto piú che a Lentini, fin dal 10 agosto 1933 era stata costituita una sezione comunista clandestina, con segretario l’ebanista Delfo Nigro [4].

È facile arguire, da quanto sopra, come Neddu abbia appreso dal padre non solo la professione di orologiaio, ma anche l’amore per la giustizia sociale, l’adesione agli ideali rivoluzionari e segnatamente comunisti, il fermo e coerente antifascismo, aspirazioni tutte sostenute da una vivace intelligenza, non disgiunta da un’innata bontà d’animo.

Sarà lui stesso, negli anni ’60, a indirizzare a un gruppo di studenti, con cui spesso amava trattenersi, una delle sue frasi lapidarie che tanto affascinavano i suoi interlocutori: L’intelligenza non puó essere cattiva. Il tutto era irrorato dall’innato ribellismo, come egli stesso ammette nella seguente lirica in dialetto siciliano [5]:

Di facci e di prufilu ’n saracinu,
la frunti vuncchiazzusa e l’occhi latri,
lu nasu senza smenni: malantrinu!
Ritrattu naturali di me patri.

Parramunu tanticchia di vicinu
binirittu lu latti di me matri!
Ma sacciu addivintari... ’n assassinu
e cumminari sceni di tiatri!

Carattiri: ribelli di natura,
approvu la buntà senza raggiuni
e ditestu l’infamia e l’impustura.

Parrannumi di lotta suciali
mi jettu sempri contro li patruni
e fazzu scatinari ’n timpurali.

Mentre imparava sempre meglio il suo lavoro, la sua mente aperta si abbeverava a varie e numerose fonti culturali, tanto che nei primi anni ’60, quand’era ormai sindaco di Lentini, aveva già messo insieme una piú che rispettabile biblioteca, che ho avuto occasione di ammirare. Un giorno, in seguito ad un suo espresso invito, io e un altro giovane socialista, Pippo Centamore, come me universitario, ci recammo a casa sua, non ricordo piú il perché.

La moglie ci fece accomodare nello studio, dove – ci disse – Nello ci avrebbe presto raggiunto. Le grandi pareti della stanza, interamente coperte, fino al tetto, di grandi scaffali colmi di libri suscitarono in noi stupore e ammirazione. Quando arrivó, uno di noi gli chiese: - Ma tu tutti questi libri li hai letti? Ed egli, divenuto quasi malinconico, sospirando, cosí rispose: - Sí, ma vorrei aver letto tutti quelli che qui non ci sono!

Negli anni Trenta le sue letture preferite erano state quelle „proibite“, in particolare quelle che gli passava il suo amico Natale Vella, noto antifascista lentinese, di cinque anni più anziano di lui.

Nel 1937 la polizia fascista gli trovó in casa vari libri sovversivi, fra cui Il primo piano quinquennale di Giuseppe Stalin.

Queste letture, il suo istinto rivoluzionario e il fascino che la rivoluzione bolscevica e i suoi leader esercitavano su tutti gli antifascisti fecero approdare saldamente il giovane sulle sponde comuniste. Saldamente, ma non passivamente. Perché il suo fu sempre un comunismo permeato di scarsa propensione per la disciplina, anarcoide e libertario. E non fu mai un comunismo „da tavolino“, perché per Arena pensiero e azione erano intrinsecamente legati.

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Lentini - Villa Gorgia

Foto dal sito LentiniOnline - che ringraziamo

In effetti il 1937 per il ventiduenne orologiaio autodidatta fu un anno cruciale. Quell’anno, in una con Natale Vella, aveva architettato la costituzione di un’associazione antifascista, mascherata da società sportiva, nonché da filodrammatica, i cui aderenti, inizialmente diciotto, erano stati reclutati quasi tutti nella Villa Gorgia. Essi sarebbero stati, con le dovute cautele, gradualmente messi a conoscenza delle vere finalità dell’associazione [6].

Il gruppo si riuniva nella stessa Villa o nel retrobottega del negozio del giovane artigiano, ormai divenuto un vero e proprio punto di incontro di antifascisti.

Ma la polizia del regime non dormiva e il 27 settembre fermó Neddu [7] e poco dopo anche Natale Vella. L’inchiesta si allargó poi a macchia d’olio, coinvolgendo varie persone, come si leggerà un giorno alla pagina 87 di una prestigiosa raccolta organizzata dall’Archivio Centrale dello Stato [8]:

Con la motivazione di voler creare un’associazione giovanile sportiva, che doveva essere contemporaneamente una filodrammatica, l’Arena e Michele Pupillo intrattenevano i giovani con discorsi antifascisti e inneggianti alla Russia bolscevica.
Le riunioni avvenivano nei giardini pubblici e nel retrobottega del negozio dell’Arena. Del gruppo che si andava costituendo facevano parte anche Ferdinando Celza e Natale Vella, anch’essi confinati; Francesco Aliano, Carmelo Ansaldo, Andrea Floridia e Gaetano Giudice ammoniti; Filadelfo Santocono diffidato.

Allora ci vollero tre grossi camion per trasportare, dopo le formalità di rito tutti gli imputati a Siracusa, davanti ad immensa folla silente radunatasi davanti alla caserma, come apprendiamo da Vella in un suo prezioso contributo storico [9]:

Sí, questo fu il comizio piú silenzioso cui io ebbi ad assistere: silenzioso, ma con lo strazio e la maledizione dei parenti contro polizia e governanti.

Cosí Vella ricorda le condanne:

Arena Neddu: cinque anni di confino [10].
Vella: tre anni di confino.
Celza [11]: un anno di confino.
Pupillo: essendo minore, cinque anni in un correzionale.
Limaccio: perché minore, cinque anni di correzione.
Aliano Francesco, Giudice Gaetano [12], Anzaldo Carmelo [13], Mattanza Santo: anni due di ammonizione.

Arena trascorse il confino prima nelle isole Tremiti (FO), precisamente nello scoglio di S. Nicola, che aveva un piccolo attracco e alla cui cima si poteva risalire mediante una lunghissima scala a serpentina; poi a Polistena, un piccolo centro in provincia di Reggio Calabria, dove conobbe la sua futura moglie Amelia Greco, che sarà la sua compagna di vita.

Tornato a casa, sicuramente diventato piú accorto, tanto piú che il regime si era fatto piú arcigno in seguito all’alleanza con la Germania nazista e all’approssimarsi della guerra, é molto probabile che Neddu si sia dedicato al lavoro e alla famiglia e sicuramente alla sua formazione politico-culturale, visto che la lettura era la sua piú grande passione.

Ma l’antifascismo lentinese, numeroso e inossidabile, non si era mai piegato. Oltre quello piú esposto che aveva dovuto affrontare carcere, confino ed esilio, c’era quello piú silenzioso di coloro che non si erano mai voluti piegare al regime: erano i Paolo Di Giorgio, gli Ignazio Magrí, i Sebastiano Scatà e i tanti giovani cresciuti alla loro ombra. Tutto questo mondo sotterraneo cominció a brulicare di incontri, confidenze, suggerimenti, consigli, fin da quando si sparse la voce di un imminente sbarco degli Alleati in Sicilia. La notizia suscitó anche una serie di riunioni clandestine comuniste [14] (ma non solo), alle quali partecipavano gli Arena padre e figlio.

Quando gli Alleati, arrivati a Carlentini, erano ormai prossimi a entrare a Lentini (15-7-1943), fu questo gruppo dirigente – con gesto ricco di speranze, illusioni, romanticismo ed eroismo, a mandare „di corsa“ i giovanissimi Giulio Brunno, Ciccio Brancato e Ciccio Ciciulla a casa di Cirino Speranza a prendere la bandiera del partito, che quello aveva gelosamente custodito nel corso del Ventennio, perché fosse esposta dal grande balcone del municipio, assieme a quella italiana [15].

Da allora fu una continua esplosione di entusiasmo popolare. I comunisti invasero ed occuparono il „Dopolavoro“ di via Conte Alaimo, prontamente ribattezzato „Camera del Lavoro“ [16] e vi insediarono un Comitato sindacale di emergenza, capeggiato da Cirino Speranza [17]. I socialisti si riappropriarono della vecchia sede di via Italia del loro partito, costruita dai lavoratori prima del fascismo, mentre il loro leader Filadelfo Castro [18], irreperibile dal 1941 per sottrarsi alle angherie del regime, riappariva alla luce del sole.

Mentre i socialisti apparivano allora saldamente uniti attorno alla leadership di Castro [19], nel partito comunista convivevano due anime:

A) quella, maggioritaria, dei fondatori e dei vecchi militanti antifascisti, alla cui testa si era posto il prestigioso cooperatore Francesco Marino, (futuro deputato regionale (1947), fondatore della cooperativa Unione, e amatissimo dalla massa bracciantile [20]), disciplinatamente allineata alla nuova politica togliattiana di partecipazione alla ricostruzione democratica del Paese, ma non ancora del tutto libera dalle aspirazioni rivoluzionarie degli esordi.

B) un’altra, piú determinata e sognatrice, costituita prevalentemente da giovani che guardavano alle vittorie dell’Armata Rossa contro il nazismo, e a quanto avveniva nel Nord Italia, dove era in corso una cruenta ed eroica guerra di liberazione, che vedeva impegnati migliaia di partigiani.

Quest’ultima ala , o tendenza, si era coagulata, negli ultimi mesi del 1943, intorno al fascino rivoluzionario e all’innato carisma di Neddu Arena ed aveva preso il nome di „Movimento Comunista“. Tale raggruppamento si muoverà ora all’interno del partito, ora come gruppo autonomo, cosa che in un partito centralizzato come il PCI era del tutto inconsueta ed inammissibile, specie quando il Movimento Comunista arrivó ad avere sede propria [21] e propria organizzazione. Nessuno ormai ricorda i loro immensi cortei che, partendosi da Via Verdi, scendevano lungo Via Arrigo Testa e dilagavano in piazza, a volte scagliandosi contro i segni esteriori del passato regime, come, ad esempio, con l’occupazione simbolica della „Casa del Fascio“.

In questo clima effervescente e messianico, Neddu si affermava come leader di grande prestigio, sia per la sua intelligenza, sia per la sua cultura in continua espansione, sia per la sua oratoria dirompente [22], sia per la sua capacità di suscitare emozioni profonde nelle masse, di cui ben conosceva le drammatiche condizioni di vita, spesso ai limiti della sopravvivenza; ovviamente era ancora piú apprezzato dagli elementi a lui piú vicini, fra i quali militava un nutrito gruppo di evangelici battisti, la cui chiesa, durante il fascismo, era stata oggetto di particolari attenzioni del regime, tanto che l’OVRA [23] nel 1940 aveva disposto un’accurata indagine nei suoi confronti [24]. Fra essi spiccava la figura di un futuro pastore battista, il carismatico Filadelfo Maci [25].

La dialettica fra le due anime del comunismo lentinese, rappresentate rispettivamente dall’idealista Arena e dal pragmatico Marino, dal facondo tribuno e dall’instancabile cooperatore, era in fondo dovuta alla contrapposizione tra una visione catarchica della storia e un riformismo evoluzionistico, concretamente rappresentati, in buona sostanza, dal Movimento Comunista e dalla sezione comunista ufficiale [26]. Tale dialettica era destinata a trasformarsi in aperta polemica.

Lo si vide nel corso della prima assemblea pubblica [27] del PCI, tenutasi il 23 aprile 1944 nel locali del Teatro Napoleone di Via Roma, durante la quale la tensione salí alle stelle, tanto da indurre il direttivo sezionale, l’8 maggio successivo, ad espellere dal partito Giovanni Arena, suo figlio Nello e Alfio Oddo [28]. Il provvedimento fu ratificato dal Comitato Federale il 17 luglio 1944.

Una nuova assemblea sezionale, tenutasi nello stesso luglio, elesse un esecutivo composto da Delfo Nigro (segretario), Ignazio Magrí, Francesco Marino, Giovanni Pattavina e Cirino Speranza, tutti della maggioranza. La cosa non poteva essere digerita dagli areniani che, anche se momentaneamente privi dei loro capi, rappresentavano un’ala del partito molto consistente e agguerrita.

Le ennesime turbolenze che seguirono non potevano lasciare indifferente la Direzione Nazionale, che ben conosceva la storia e il valore dei comunisti lentinesi. Essa dunque invió sul posto un autorevole personaggio, con pieni poteri: Il messinese Umberto Fiore (1896-1978), sindacalista comunista che aveva conosciuto il confino, il carcere e l’esilio. Fiore si trattenne due giorni a Lentini, il tempo di rendersi conto della situazione nel locale PCI. Dopodiché elaboró la „Direttiva“ del 22 agosto 1944, che di fatto sanciva la riconciliazione tra le due frazioni e la riammissione degli espulsi.

La sezione sarebbe stata guidata da un Comitato Provvisorio, rappresentativo delle due anime comuniste [29]. Sede del partito sarebbe stata quella di Via Roma, mentre i locali già del Movimento Comunista avrebbero ospitato il movimento giovanile e quello femminile. Il 29 settembre 1944 Neddu fu riammesso nel partito e il 10 ottobre successivo fu eletto, al posto del Comitato Provvisorio, un nuovo direttivo sezionale. Il responso delle urne confermó il precedente rapporto di forze. La lista Marino-Speranza ottenne 253 voti, mentre quella Arena ne ottenne 209. Il 16 ottobre successivo venne chiamato alla segreteria ancora una volta la cristallina figura di Delfo Nigro [30].

La pacificazione interna del PCI, cosí faticosamente raggiunta, duró solo pochi mesi, per lasciare il posto a nuove tensioni fra l’anima „areniana“ giovanile e rivoluzionaria, e quella „mariniana“ che gestiva la sezione, ricca di vecchie glorie dell’antifascismo, ma che, almeno agli occhi dei rivali, appariva mummificata e inerte.

I rapporti fra le due anime del comunismo lentinese furono dunque altalenanti, sempre sospesi tra rotture e ricuciture, finché alla vigilia delle elezioni amministrative del 17 marzo 1945, le prime dopo la caduta del fascismo, la frattura divenne davvero molto grave.

Cirino Speranza - Filadelfo Castro

Avvenne che il Movimento Comunista raggiunse un accordo col socialista Delfo Castro, in base al quale nella lista del PSIUP [31], diretta concorrente di quella del PCI ufficiale, furono inseriti sei candidati del Movimento [32]. Il vecchio leder socialista già gongolava per la soddisfazione di spaccare in due i cugini-rivali comunisti, quando avvenne l’imprevedibile. Il bracciantato lentinese, che ormai si riconosceva sempre piú nel PCI e nel popolare leader Ciccio Marino, i quali egemonizzavano anche la Camera del Lavoro, rimase disorientato dalla clamorosa frattura e cominció ad attribuirla a rivalità di carattere personale. Inoltre gli organi centrali del PCI, consapevoli del fascino che Neddu esercitava sulle masse, corsero ai ripari e inviarono a Lentini ancora una volta Umberto Fiore, dirigente amato e rispettato da ambedue le fazioni comuniste.

Fiore tenne un appassionato discorso in un’affollata assemblea del Movimento Comunista, in cui seppe toccare le corde del sentimento, facendo appello alla necessità di tenere unito il partito e il proletariato lentinese, e riuscí nel suo scopo. Il Movimento Comunista, nonostante avesse sei suoi rappresentanti nella lista socialista, impartí perció la direttiva ai suoi sostenitori di votare la lista del PCI.

Castro, assai contrariato per quello che considerava un voltafaccia, a sua volta impartí la direttiva di cancellare dalla lista, già presentata, al momento del voto, il nome degli ultimi sei candidati, cioé dei comunisti areniani [33].

Avvenne allora qualcosa che oggi sarebbe inimmaginabile: i due elettorati, l’areniano e il socialista, eseguirono alla lettera le direttive dei loro leader e nessuno dei sei „areniani“ venne eletto.

Con l’elezione del Consiglio Comunale [34] si chiudeva il periodo „eroico“ seguito alla caduta del fascismo, in cui era nato e si era sviluppato il Movimento Comunista. Cominciava quello della politica con tutti i suoi riti. Si passava, si potrebbe dire, dalla poesia alla prosa. Ci si avviava cosí a un clima poco consono alla vita e alla formazione culturale di Neddu, che infatti per lungo tempo si appartó dalla politica attiva, anche se nel suo cuore l’antica passione non si spegnerà mai. Cominciava per lui un lungo periodo di riflessione e di approfondimenti culturali.

Ma Neddu non era soltanto un leader rivoluzionario che aveva dato voce alla disperazione che nel dopoguerra affliggeva tante famiglie lentinesi; o, come lo definivano i suoi rancorosi avversari, interni ed esterni, un „capopopolo“ che cavalcava il malcontento al solo scopo di realizzare le sue ambizioni di comando [35].

Neddu era anche un uomo che doveva affrontare ogni giorno problemi di lavoro e di famiglia: una famiglia che cresceva sempre piú. Egli ebbe sei figli: Aurora, Violetta, Giovanni [36], Cosetta [37] detta Silvana, Roberto e Cafiero [38].

Per fronteggiare le esigenze di un cosí corposo nucleo familiare non poteva bastare la sua attività di artigiano orologiaio. Di conseguenza, per integrare le sue entrate, Neddu aprirà un’edicola, che guardava sulla piazza, essendo allocata all’inizio di via XX settembre, mentre sul retro continuava il suo tradizionale lavoro di orologiaio, fra un’animata riunione e un appassionante dibattito...

Era quello un periodo di ritorno alla libertà, per cui ormai ciascuno poteva leggere ció che voleva. Questa libertà non poteva non comprendere anche i fumetti, italiani o stranieri, esposti all’esterno dell’edicola Arena, che facevano sognare i ragazzini che, col naso all’insú, guardavano estasiati le copertine dagli sfavillanti colori degli albi dei loro eroi.

Fumetti

L’esperimento, tuttavia, non dovette dare i risultati sperati, per cui duróperció assai poco.

Neddu comunque continuó la sua attività di orologiaio, ma trasferí il laboratorio, in altri locali, prima in via Garibaldi e poi in via Murganzio.

Anche la vita interna della sezione era destinata ad ulteriori mutamenti, ai quali Neddu sarà del tutto estraneo, rimanendone comunque attento osservatore.

Il gruppo dirigente comunista, uscito fuori dalla cospirazione antifascista, incerto ed esitante fra una sorta di attesa messianica dell’ora X (A da vení Baffone) e le esigenze delle nuove forme della lotta politica, composto prevalentemente di artigiani, venne praticamente estromesso dalla dirigenza della sezione dalle nuove leve e i suoi capi divennero semplicemente delle icone senza potere [39].

Al suo posto subentró un agguerrito manipolo di giovani dirigenti [40] che ricostruí il partito su basi essenzialmente bracciantili e si allineó agevolmente con la politica togliattiana del partito nuovo, cioé di un partito che di fatto accantonasse le velleità rivoluzionarie per costruire un’organizzazione politica di massa capace di penetrare nelle istituzioni democratiche, al fine di realizzare un progetto di riforme a favore delle classi subalterne.

Questo gruppo, che finí per controllare partito e sindacato, seppe anche conquistare il primato nella classe operaia lentinese, in precedenza fedele ai socialisti. Ció avvenne soprattutto in seguito alla decisione di Castro di aderire alla scissione di Palazzo Barberini (11-1-1947), trascinando con sé l’intera sezione socialista [41] nella nuova formazione socialdemocratica fondata da Giuseppe Saragat [42].

E alle lezioni comunali del 25 maggio 1952 i nuovi dirigenti presentarono una lista „Autonomia e Rinascita“, che conquistó per la prima volta il Comune al PCI [43].

Successivamente emerse, alla direzione della sezione comunista, un’area che potremmo definire „centrista“, in quanto riuscí a realizzare un giusto equilibrio tra le varie componenti [44]. Essa fu impersonata da due segretari: Nicoló Manganaro [45] e Angelo Peluso.

Neddu, come già ricordato, era rimasto a guardare, appartato nel suo laboratorio, mentre attorno a lui cresceva una nuova generazione di simpatizzanti [46] pronti a seguirlo in un suo eventuale ritorno alla ribalta politica.

L’occasione di un rientro trionfale in politica di Neddu Arena sembró presentarsi alla vigilia delle elezioni amministrative del 27-5-1956. In un partito in cui allora gli intellettuali praticamente non esistevano, i suoi seguaci spingevano per la candidatura a sindaco di Neddu, il quale sembrava avere tutti i requisiti necessari: era colto, popolare presso i lavoratori, onestissimo e disinteressato, fascinoso ed ottimo oratore. Tuttavia nello scenario comunista interno Neddu era considerato uomo di parte, la cui candidatura avrebbe spezzato il delicato equilibrio interno che i „centristi“ avevano finalmente realizzato, dopo anni di aspre polemiche, a cui Neddu non era stato certo estraneo.

Allarmati, essi ricorsero ad un espediente che avrebbe potuto salvare aspirazioni di parte e unità del partito: candidare un esponente comunista che godesse dell’appoggio della Federazione Provinciale e, soprattutto, che avesse a Lentini una popolarità pari a quella di Arena. Lo individuó in Otello Marilli, deputato e dirigente della Lega Nazionale delle Cooperative, anch’egli da qualche anno popolarissimo a Lentini, seppure caratterialmente assai diverso da Arena.

Quest’ultimo capí allora che non era ancora arrivato il momento per un suo rientro in grande stile sulla scena politica. Si candidó peró al Consiglio Comunale e partecipó alla campagna elettorale, risfoderando le sue ormai collaudate doti oratorie, i cui toni forse fecero arricciare il naso a qualche comunista d’apparato. La coalizione PCI-PSI, con la sua lista „Gorgia“, ottenne il 54 % dei voti e, grazie al premio di maggioranza, 31 seggi su 40 e Marilli divenne sindaco. Ma un anno dopo, onde potersi ricandidare alla Camera, egli si dimise lasciando il posto di sindaco (18-10-1957) al compagno di partito rag. Vitale Martello. Neddu era stato eletto trionfalmente e per tutta la legislatura fece il semplice consigliere di maggioranza, assumendo un ruolo piuttosto defilato in Consiglio Comunale. Ma crescente nel partito.

In effetti, alla vigilia del nuovo appuntamento elettorale amministrativo del 6 novembre 1960, il primo col sistema proporzionale, la corrente „areniana“ controllava le tre sezioni del partito, e di conseguenza il Comitato Cittadino, composto dai loro rappresentanti.

In questo quadro, senza rivali interni, la candidatura di Arena a capolista del PCI e dunque alla carica di sindaco della Città, in caso di vittoria dello schieramento di sinistra, allora composto da PCI, PSI e USCS [47], appariva scontata.

La campagna elettorale segnó in città un risveglio di interesse per la politica, i comizi furono seguiti da centinaia di persone, riapparvero i cortei e gli sventolii di bandiere e si risentirono gli inni proletari. Neddu diede l’ennesima prova del suo carisma e delle sue capacità oratorie [48], riempendo le due piazze centrali, Umberto e Duomo, ad ogni suo comizio e raccogliendo sul suo nome circa 5000 preferenze!

Sui 40 del C.C., il PCI ottenne 18 seggi, il PSI 4 e l’USCS 1. Il 25 novembre la maggioranza lo elesse sindaco e qualche giorno dopo egli si insedió al Comune, assieme alla sua Giunta [49].

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Arena sindaco

Fu allora probabilmente che Arena toccó l’apice della sua carriera politica. E fu allora che per lui cominció una nuova stagione, assai diversa dalle precedenti: non piú duelli oratori e aspirazioni ideali sostenute anche col sacrificio personale (carcere, confino); ora bisognava fare i conti con i regolamenti consiliari, coi „giochi di corridoio“, coi compromessi politici, con le aspirazioni personali, con le insidiose trame dei suoi oppositori interni e con gli attacchi delle opposizioni ufficiali, con le istanze degli impiegati, con le fognature rotte e con la mancanza d’acqua...

È facile immaginare come il romantico rivoluzionario, l’amato tribuno popolare, l’uomo che teneva circolo con la sua cultura eclettica [50] si dovesse trovare a disagio di fronte ai problemi amministrativi di ogni giorno, croce e delizia di tutti i sindaci.

La sua „corrente“ che aveva conquistato la maggioranza nelle tre sezioni del PCI, si era poi impegnata a fondo nella campagna elettorale e, successivamente, nel sostegno costante all’amministrazione capeggiata dal loro leader, mollando peró la presa sulla base assai politicizzata del PCI di allora. Ció finirà per allargare gli spazi dei suoi affatto teneri critici interni, i quali del resto, potevano contare anche su una presenza significativa all’interno del gruppo consiliare comunista [51].

Forse perché intuiva l’insidioso malumore che attorno a lui si andava coagulando, Neddu – che amava intrattenersi con giovani universitari – mentre passeggiavamo nella grande piazza, ormai deserta per l’ora assai tarda, additando il portone del municipio, una sera mi disse: Lo vedi com’é grande ed imponente quel portone? Eppure basterebbe un osso di oliva inserito in una fessura per impedirgli di chiudersi...

Forse le delibere, le riunioni di Giunta e di Consiglio, quelle – faticosissime e logorroiche - del partito, i „desiderata“ di questo e di quell’altro lo stavano logorando, piú di quanto gli era accaduto nella sua lunga lotta contro il fascismo...

In effetti nel corso di un anno andranno emergendo: A) le ambizioni dell’opposizione, desiderosa di accedere finalmente al potere cittadino, da sempre in mano alle sinistre; B) i malumori interni nella sezione del PSI, sempre piú compattamente [52] orientata verso il dilagante centro-sinistra nelle amministrazioni locali, anche per il fatto di essere composta prevalentemente di ex [53]; C) la scarsa propensione di Arena al compromesso; D) la critica, sempre piú serrata, degli „antiareniani“ verso l’Amministrazione Comunale e il suo leader.

Si giunse cosí alla presentazione di una mozione di sfiducia presentata dai 17 consiglieri dell’opposizione [54].

In sede di votazione sulla mozione, che venne approvata con 22/40 voti, si aggiunsero il consigliere del MSI e i quattro del PSI (i cui assessori si erano dimessi dalla Giunta), contro cui si indirizzarono gli strali del PCI. Neddu peró tenne a precisare: Nel dire socialisti intendete benissimo che io non alludo al Partito Socialista Italiano, né ai suoi militanti, ma a questa specie di socialisti che hanno dovuto leggere sottosopra i nostri libri e molto a sproposito stasera parlano di socialismo scientifico...

La mozione di sfiducia spianó la strada ad un’amministrazione di centro-sinistra (DC-PSI- Ind., con l’appoggio esterno del PSDI), presieduta dall’avv. Mario Ferrauto (PSI) [55] che, dopo meno di un anno, lascerà il posto ad una minoritaria di centro (DC- USCS- Ind., con l’appoggio esterno del PSDI), presieduta dall’avv. Alessandro Tribulato (DC) [56].

Quest’ultimo, con elegante gesto istituzionale, dopo l’insuccesso elettorale della DC nelle elezioni politiche del 28 aprile 1963, il 13 maggio successivo rassegnó le dimissioni [57].

In quell’occasione Nello Arena pronunció il suo ultimo discorso in Consiglio Comunale e probabilmente in assoluto:

Noi avevamo il solo torto di non sbandierare ai quattro venti ció che facevamo, lavorando in silenzio e in modestia. Ma i sabotaggi e i trabocchetti erano tanti e tali che ci indussero alle dimissioni. Ma non furono dimissioni volute dal popolo, ma dai traditori...

Non mancó il suo cavalleresco riconoscimento all’avv. Tribulato, che con dignità si accingeva ad uscire di scena:

Nella vita politica occorrono due virtú: l’onestà e il coraggio. Al signor sindaco stasera non sono mancate queste due virtú.

Essendo fallite, nel corso della legislatura, tutte le formule possibili (sinistra, centro-sinistra, centro) al Consiglio non restó altra strada che quella del suo scioglimento. La sua ultima seduta si tenne il 24 maggio 1963, proprio sotto la presidenza di Arena, nella sua qualità di consigliere piú anziano per voti. I 32 consiglieri presenti si astennero tutti dal voto per l’elezione di un nuovo sindaco, aprendo cosí la strada allo scioglimento del Consiglio Comunale e a una gestione commissariale [58].

Negli ultimi due anni, durante le sindacature dell’avv. Mario Ferrauto (PSI) e dell’avv. Alessandro Tribulato (DC), il PCI era stato stato all’opposizione, le sue tre sezioni erano state sciolte per impulso del brillante giovane segretario provinciale Manlio Guardo e il tesseramento azzerato [59] con lo scopo di riorganizzare il partito su basi nuove [60].

Il gruppo consiliare comunista si era di fatto spappolato in tre parti, che molto approssimativamente potremmo cosí classificare:

1 – Una componente di „sinistra“, facente capo ad Arena, di tre consiglieri.

2 – Il gruppo di „centro“, allineato alle posizioni ufficiali del partito, comprensivo di dieci consiglieri [61].

3 – A „destra“ stava un gruppo di quattro consiglieri [62], molto critici nei confronti di Arena e della sua politica [63].

Arena lasció la sindacatura e poi la politica attiva cosí come vi era entrato: in una condizione economica modesta e dignitosa nello stesso tempo [64]; egli cercó inizialmente di riprendere la sua attività professionale, che molto aveva risentito dell’intenso impegno politico e amministrativo.

Ma il tentativo non riuscí ed egli decise di trasferirsi a Roma [65] con tutta la numerosa famiglia, dove poté riprendere la sua attività, riparando orologi per conto di grandi laboratori oberati di lavoro e cercando di integrare in altri modi la sua attività [66].

I suoi amici politici col tempo, a poco a poco, si disperderanno: il gruppo piú consistente di essi si avvicinerà alle „tesi di Pechino“, cioé alle posizioni ideologiche della Cina nella sua polemica con l’URSS poststaliniana. Successivamente, sotto la nuova guida di Paolo Carani, un gruppo aderirà (1964) al PSIUP di Tullio Vecchietti [67].

Neddu, per quanto se ne sa, tornerà a Lentini una sola volta, per partecipare ai funerali del fratello minore che gli era premorto. In quell’occasione non ebbe (o non volle avere) alcun contatto con esponenti politici lentinesi. Non bisogna tuttavia credere che egli abbia di colpo cancellato il suo passato. Lo dimostra il fatto che egli amava tenersi informato delle vicende politiche di Lentini, tramite qualche fedelissimo che gli spediva la stampa locale.

L’ultima notizia che si ha di Arena si deve al racconto, raccolto da chi scrive queste note, dell’ispirato pastore battista Filadelfo Maci, suo sodale e amico negli anni ruggenti del dopoguerra. Maci, recatosi, alcuni anni dopo, a Roma per motivi del suo ufficio [68], volle andare a trovare il suo grande amico di un tempo. Lo ritrovó chino sui suoi orologi. All’apparire del visitatore, Neddu alzó istintivamente lo sguardo, lo riconobbe e non poté trattenere un grido di gioia: “Diffinu!”. I due si strinsero in un affettuoso abbraccio. L’ultimo.

Neddu Arena morí il 20 ottobre 1984. Con lui se ne andava un pezzo di storia, brulicante di vita, della Città di Lentini. Una storia che merita ampiamente di essere ricordata, anche perché un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente [69].

Ferdinando Leonzio


Per la serie „Un ricordo di...“ sono stati in precedenza pubblicati da questo giornale, dello stesso autore, i saggi storici dedicati a Vincenzo Bombaci, Giuseppe Manzitto, Giovanni Pattavina, Cirino Speranza e Alessandro Tribulato.

Le edizioni ZeroBook hanno pubblicato due volumi biografici: Delfo Castro, il socialdemocratico e Otello Marilli.


[1] Nello aveva comunque conseguito la licenza della Scuola di Avviamento Professionale di Lentini.

[2] Si veda in proposito il libro di Massimo Taborri, Ferrovieri contro il fascismo. Roma 1922-1944, Edizioni Chillemi, 2019.

[3] Ci pare opportuno qui ricordare un altro lentinese ferroviere socialista perseguitato dal regime: Gaetano Zarbano (1889-1958). Egli aveva abbracciato l’ideale socialista dopo l’assassinio di Matteotti (1924). Nel 1935 sarà accusato di propaganda socialista e per questo gli verrà inibito l’ingresso in Sicilia e a Lentini. Nel 1956 egli fu vicesindaco di Lentini (sindaco Marilli) e segretario della sezione del PSI di Lentini nel 1956-57.

[4] La notizia trovasi in Archivio Nigro, depositato in copia presso l’Istituto Gramsci di Palermo.

[5] l sonetto, sconosciuto ai piú, fu ritrovato fra le sue carte, dopo la sua morte. Esso rivela un’intima coerenza morale e una notevole capacità espressiva, rivelatrici della personalità del Nostro.

[6] La vicenda é raccontata in Rosario Mangiameli , Officine della nuova politica , pag. 146, CUEM, Catania, 2000.

[7] Anche i suoi familiari, che peró furono, subito dopo, rilasciati.

[8] Salvatore Carbone e Laura Grimaldi Un popolo al confino. La persecuzione fascista in Sicilia – prefazione di Sandro Pertini, Roma 1989.

[9] Natale Vella, memoriale Lentini dell’Antifascismo 1921-1943. Una fotocopia del prezioso manoscritto trovasi presso l’Istituto Gramsci di Palermo.

[10] Arena sconterà effettivamente, tra carcere e confino, 1 anno e 3 mesi, poiché fu rilasciato, con la condizionale, in occasione delle feste natalizie, il 27-12-1938.

[11] Ferdinando Celza, calzolaio socialista, sarà eletto consigliere comunale di Lentini (PSIUP) nel 1946 e farà parte, come assessore supplente, della prima (PSIUP) e della seconda (PSLI) giunta Castro.

[12] Gaetano Giudice, muratore, eletto consigliere comunale di Lentini per il PSI nel 1920, era stato uno dei 13 fondatori del locale partito comunista.

[13] Carmelo Ansaldo, calzolaio, nato nl 1905, era uno dei piú intimi sodali di Neddu. Sarà eletto consigliere comunale del PCI nel 1960.

[14] I comunisti si incontravano clandestinamente nelle grotte di sant’Aloi. Vi partecipavano, secondo la testimonianza di Giulio Brunno: Giovanni Arena, Paolo Di Giorgio, Ignazio Magrí, Delfo Nigro, Vincenzo Pulvirenti, Delfo Santocono, Cirino Speranza e lo stesso giovane Brunno, da cui, molti anni dopo, apprenderemo tali vicende nel corso di una lunga e interessante intervista.

[15] A prendere, per il PCI, i primi contatti con gli Alleati fu una delegazione composta dai suoi leader piú prestigiosi: Giovanni Arena, Francesco Marino, Delfo Nigro e Cirino Speranza.

[16] La scritta, tuttora immutata, della sede del sindacato CGIL di Lentini, é opera del pittore socialista Peppino Aliano.

[17] Su questo personaggio si veda l’articolo-saggio di Ferdinando Leonzio Un ricordo di Cirino Speranza, pubblicato su Girodivite dell’8-4-2021.

[18] Per una biografia politica di Castro si puó vedere il libro di Ferdinando Leonzio, Delfo Castro, il socialdemocratico, ZeroBook, 2020.

[19] Nel gennaio 1947 Castro riuscirà a far traslocare, tranne rare eccezioni, l’intera sezione socialista nel PSLI, il partito socialdemocratico nato dalla scissione di Saragat.

[20] I braccianti gridavano: Vulemu u pani, vulemu u vinu e... Cicciu Marinu (Vogliamo il pane, vogliamo il vino e...Ciccio Marino)!

[21] Inizialmente in Via Giuseppe Verdi e successivamente nel quartiere S. Paolo.

[22] Qualcuno dei suoi severi critici, che non gli mancarono mai, si avventuró a dire che la sua oratoria somigliava un po’ troppo a quella… di Mussolini. Anche se cosí fosse stato, non bisogna dimenticare che nessuno, fascista o antifascista, puó negare che Mussolini era un grande oratore. Teatrale, se si vuole, ma grande oratore.

[23] Organizzazione Volontaria per la Repressione Antifascista.

[24] Si veda in proposito: Mimmo Franzinelli , I tentacoli dell’OVRA, Bollati Boringhieri, Torino, 2000, pag. 370.

[25] Neddu comunque era saldamente laico e agnostico.

[26] La prima sede ufficiale del PCI fu in Via Roma n. 10, che sarà teatro di epiche vicende e di memorabili scontri, oratori e no. Prima di allora alcune riunioni si erano tenute nel laboratorio di orologeria di Giovanni e Sebastiano Arena, in Via XX settembre.

[27] Si dovevano eleggere gli organi direttivi della sezione, in sostituzione di quelli del periodo della clandestinità.

[28] Su questa vicenda si vedano gli Appunti sui 97 deliberati, ecc. di Delfo Nigro, depositati in copia presso l’Istituto Gramsci di Palermo.

[29] Esso sarebbe stato infatti cosí composto: Carmelo Ansaldo, Alfio Arcidiacono, Vincenzo Crisci, Paolo Di Giorgio, Giuseppe Fagone, Filadelfo Maci, Ignazio Magrí e Filadelfo Nigro.

[30] Su questo personaggio- chiave della storia del PCI di Lentini, ma relativamente poco conosciuto, a causa della sua prematura scomparsa, si rimanda al suo Archivio, depositato in copia presso l’Istituto Gramsci di Palermo e al volume di F. Leonzio, Lentini 1892-1956 : Vicende politiche, ZeroBook, 2018.

[31] Il PSI aveva assunto la denominazione di Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP) il 23-8-1943 in seguito alla fusione col Movimento di Unità Proletaria (MUP) di Lelio Basso e con un analogo raggruppamento romano facente capo a Giuliano Vassalli, Tullio Vecchietti e Mario Zagari.

[32] Essi erano Maria Berio, Filadelfo Caponetto, Giuseppe Di Giorgio, Antonio Fazio, Filadelfo Maci e Filadelfo Miuzzo.

[33] [La legge elettorale di allora consentiva all’elettore di votare solo il simbolo del partito scelto, dando cosí la preferenza a tutti e 24 i candidati di quella lista; oppure di votare il simbolo, ma cancellando i nomi di alcuni candidati e assegnando cosí il voto di preferenza solo a quelli rimasti. Gli elettori socialisti cancellarono i nomi dei sei areniani, nessuno dei quali fu perció eletto! Gli elettori areniani votarono compattamente la lista del PCI!

[34] Il Consiglio Comunale di Lentini, allora di 30 componenti, risultó composto di 18 socialisti (comprensivi di due rappresentanti del Partito d’Azione) e di 12 comunisti (comprensivi di un’indipendente, Elena Nipitella, primissima donna a sedere nel Consiglio Comunale di Lentini, e del noto barbiere Alfio Cannone, repubblicano).

[35] Nessuno comunque si azzarderà mai a mettere in dubbio la cristallina onestà di Arena.

[36] Era il nome del padre Giovanni Arena. Era allora un’usanza consolidata quella di imporre al primo nato maschio il nome del nonno paterno.

[37] Cosetta é la co-protagonista del celeberrimo romanzo di Victor Hugo I Miserabili. Lo scrittore francese aveva a Lentini molti ammiratori, tanto che la prima amministrazione socialista, quella presieduta da Castro nel 1920, gli aveva intitolato una via.

[38] Il riferimento era chiaramente a Carlo Cafiero (1846-1892). Il rivoluzionario pugliese, dopo un periodo di adesione alle idee marxiste (scrisse un compendio del libro 1° del Capitale di Marx e fu corrispondente di Friedrich Engels), si avvicinó alle idee anarchiche, diventando amico e sodale di Bakunin. La scelta di Neddu per tale nome la dice lunga sulle sue ascendenze politico-culturali, in cui Marx, Lenin e Bakunin convivevano tranquillamente.

[39] Il loro leader piú popolare, Francesco Marino, che nel 1947 sarà eletto deputato all’Assemblea Regionale Siciliana (ARS), nel 1950 sarà espulso dal PCI per aver sostenuto la riforma agraria proposta dal governo regionale democristiano.

[40] Giovanni Pupillo, Guido Grande, Mario Strano, Carmelo Baudo, Vitale Martello, Salvatore Martello, Ciccio Ciciulla, Fortunato Mastrogiacomo, Cirino Garrasi, Delfino Tomasello, Sebastiano Vinci.

[41] Pochissimi i socialisti lentinesi che non aderirono alla scissione socialdemocratica: Peppino Aliano, Pippo Di Mauro, ’Nzulu Garrasi, Andrea Magnano, Puddu Saccà, Sandro Tornello.

[42] Il nuovo partito si chiamerà inizialmente Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI). Il partito socialista contemporaneamente riprenderà la denominazione di PSI.

[43] Tuttavia per tutta la legislatura sarà sindaco il socialista prof. Peppino Ferrauto.

[44] La nuova dirigenza riconosceva la forte presa elettorale di cui Neddu godeva, ma anche le capacità politiche ed organizzative del precedente gruppo, di cui esponente di punta era Guido Grande.

[45] Manganaro, vecchio antifascista originario di Giampilieri, promosse la costituzione a Lentini, oltre quella, già esistente, intitolata a “Gramsci” di via Roma, di altre due sezioni comuniste: la “Lenin”, dislocata nel quartiere “Sopra fiera” e la “Lo Sardo” nel quartiere S. Paolo.

[46] Carmelo Ansaldo, Paolo Carani, Francesco Coppola, Salvatore Leonardi, Peppino Mendola, Salvatore Miceli, Giovanbattista Manganaro.

[47] L’Unione Siciliana Cristiano Sociale (USCS) era un movimento politico che si era formato attorno alla persona del Presidente della Regione Sicilia, Silvio Milazzo. L’USCS fu presente sulla scena politica dal 1958 al 1963. A Lentini ne era leader, e poi unico consigliere comunale, il noto pedagogo prof. Giuseppe Nanfitó.  Delle sue opere vogliamo ricordare: Ordinamenti scolastici nel mondo, Muglia, Catania, 1965 e Legislazione scolastica, Editrice italiana Artigrafiche,1966.

[48] Secondo un’attendibile testimonianza, Arena era appassionato di processi e arringhe, probabilmente perché era assai attratto dall’arte oratoria.

[49] Ne facevano parte, come assessori effettivi: Ignazio Magrí, Giovanbattista Manganaro (PCI), avv. Mario Ferrauto (vicesindaco), Sebastiano Centamore, Giovanni Bruccone (PSI), prof. Giuseppe Nanfitó (USCS); come assessori supplenti: Cirino Garrasi e Peppino Mendola (PCI).

[50] Egli non trascuró mai i suoi studi e le sue passioni. Una sera lesse ad alcune persone, fra cui chi scrive, un suo articolo sulla semicabarzite, una sostanza chimica che secondo alcuni era in grado di influire sull’inclinazione a delinquere. Egli contestava tale tesi, per il suo determinismo di tipo lombrosiano. Sosteneva, invece, che la tendenza a delinquere è causata piuttosto dall’ambiente sociale e umano in cui la personalità si è formata.

[51] Pare che nel corso di un animato dibattito serale nella sezione “centro” (“Gramsci”) Neddu abbia cosí apostrofato il robusto consigliere comunale comunista Vincenzo Crisci, suo avversario interno: Crisci, non abbiamo paura della tua circonferenza!

[52] Con la sola eccezione della Federazione Giovanile Socialista (FGS).

[53] La ricostituita (1955) sezione del PSI risultava in gran parte composta da ex socialdemocratici e da ex comunisti, tenuti assieme dal comune anticomunismo.

[54] I 14 della DC + l’1 del PSDI (Castro) + i due indipendenti Sebastiano Pignatello (ex PCI) e Rosario Amato (ex MSI).

[55] Ne facevano parte, come assessori effettivi: avv. Giovanni Sgalambro (vicesindaco), ing. Alfio Buccheri, avv. Salvatore Moncada (DC), Sebastiano Centamore e Giovanni Bruccone (PSI); assessori supplenti gli indipendenti Sebastiano Pignatello (ex PCI) e Rosario Amato (ex MSI).

[56] Ne facevano parte, come assessori effettivi: avv. Giovanni Sgalambro, prof. Mario Ciancio, geom. Antonino Casella, Mercurio Di Mari (DC), prof. Giuseppe Nanfitó (USCS), Giovanni Bruccone (ind. ex PSI); supplenti: Sebastiano Pignatello (ind. ex PCI) e Rosario Amato (ind. ex MSI).

[57] La DC, che a Lentini, alle ultime comunali del 6-11-1960 aveva ottenuto il 34,8 % (conquistando 14/40 seggi), alle politiche del 28-4-1963 scese al Senato al 23,6 % e alla Camera al 25,6 %.

[58] Sarà nominato Commissario Regionale il dott. Vincenzo Pisano.

[59] Questo provvedimento venne letto da molti osservatori come un preludio per l’esclusione delle due ali estreme che avevano finito per causare una drammatica crisi nel partito. Di fatto, comunque, esse rimarranno fuori del partito, tranne, ma in seguito, Arena.

[60] Negli anni successivi si affermerà nel PCI la leadership di Guido Grande, che sarà segretario della sezione, deputato regionale e segretario provinciale della CGIL.

[61] Fra essi il capogruppo Bruno Ossino, appassionato di filosofia, Ignazio Magrí (uno dei fondatori nel 1921), Cirino Garrasi (uno dei quadri piú promettenti, fedelissimo al partito), Alfio Raiti (l’unico in carica, ininterrottamente, dal 1946).

[62] Fra essi l’ex sindaco rag. Vitale Martello e il commerciante Vincenzo Crisci. I due, alle successive elezioni comunali del 1964, organizzeranno una lista civica denominata „Ruota Alata“. Successivamente, in tempi diversi, aderiranno al PSI.

[63] Il 18° era il consigliere Sebastiano Pignatello, ormai indipendente, che aveva da tempo lasciato il PCI.

[64] A questo proposito si racconta un aneddoto, di cui non ci é stato possibile verificare l’attendibilità, ma comunque assai sintomatico dell’opinione che si aveva di lui e della sua proverbiale onestà. Pare che, nel momento in cui divenne sindaco, un vecchio militante, con il dovuto tatto e rispetto e con la massima riservatezza, in considerazione del suo nuovo e impegnativo ruolo istituzionale, gli abbia offerto un vestito nuovo, da confezionarsi presso un sarto militante nel PCI.

[65] l suo laboratorio era nel quartiere Centocelle. Pare che a Roma abbia ripreso la tessera del PCI, per intervento del senatore Umberto Terracini, ex Presidente dell’Assemblea Costituente.

[66] Mettendo a frutto una sua vecchia passione, divenne “primo mandolino” dell’Opera di Roma.

[67] Il PSIUP del 1964 (da non confondere con quello del 1943-47) era nato dalla scissione della corrente di sinistra del PSI, in seguito all’ingresso di quest’ultimo nel governo „organico“ di centro-sinistra Moro-Nenni. A Lentini peró la sezione del PSIUP agli inizi sarà costituita prevalentemente dal gruppo degli ex areniani. Dopo lo scioglimento del PSIUP, qualcuno degli ex areniani aderirà a „Democrazia Proletaria“.

[68] Doveva registrare alcuni sermoni da trasmettere poi per radio.

[69] La frase in corsivo è del grande giornalista e storico Indro Montanelli


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