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Le dimissioni volontarie a Lentini

L’affermarsi del personalismo nei partiti ha incrementato l’uso del compromesso, delle manovre di corridoio e della bassa politica a tutti i livelli istituzionali, anche locali...

di Ferdinando Leonzio - giovedì 3 novembre 2022 - 2346 letture

Do le dimissioni, sono dimittente (Totò in „Tototarzan“, 1950)


Recita l’art. 67 della Costituzione Italiana: Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.

Da esso deriva una delle libertà piú importanti dei parlamentari e, per estensione, degli eletti in tutti gli enti pubblici governati da una rappresentanza elettiva. Gli eletti, infatti, svolgono le loro funzioni liberamente, senza vincoli di legge nei confronti dei partiti che li hanno candidati, dei programmi che si sono impegnati a sostenere, dei cittadini che li hanno eletti, ma nell’interesse esclusivo della Nazione (o dell’ente territoriale) [1]. La norma, con tutta evidenza, ha inteso sottrarli ad ogni possibile forma di pressione o condizionamento, anche se proveniente dai loro stessi elettori, i quali, peraltro, sono del tutto sconosciuti, essendo il voto segreto [2].

Questa assoluta libertà d’azione ha finito però con l’incrementare il trasformismo, inteso come passaggio da uno schieramento all’altro senza il sostegno di motivazioni ideologiche o politiche, fenomeno presente nella politica italiana fin dagli anni ’70 del 1800, ma col tempo divenuto davvero inquietante.

L’affermarsi del personalismo nei partiti ha incrementato l’uso del compromesso, delle manovre di corridoio e della bassa politica a tutti i livelli istituzionali, anche locali. Si è diffuso cosí il concetto che il potere genera potere, sicché le carriere politiche sembrano spesso affidate non alle capacità e all’impegno personali, ma alla fedeltà al capo, premiata con la cooptazione ai vertici del partito e delle istituzioni.

Si è arrivati al punto – non so con quanta sincerità – di affermare, da parte di alcuni, che destra, centro e sinistra sono la stessa cosa, che le vecchie differenze sono ormai superate, ecc. ecc., pur di giustificare ogni sorta di passaggio. Una tale decadenza ha finito col logorare il rapporto tra militante e dirigente, tra elettore ed eletto, sempre piú libero quest’ultimo, di saltare, come un’ape, di fiore in fiore. L’abolizione della preferenza ha fatto il resto.

Il dilagare del trasformismo, della frenetica, disinvolta, e a volte sfacciata, migrazione da uno schieramento politico all’altro, ha spinto gruppi sempre piú numerosi di cittadini a schierarsi, in mancanza di dimissioni volontarie dalla carica da parte dei „migranti“, per la decadenza automatica dal mandato di coloro che, eletti sotto una bandiera, decidono di seguirne un’altra.

Orbene, sappiamo tutti che l’istituto delle dimissioni volontarie è generalmente poco ben visto dagli „interessati“ e quindi poco praticato, specialmente in politica, probabilmente per... non correre il rischio che esse possano essere accettate.

Ma quello della decadenza automatica potrebbe dar luogo a palesi ingiustizie. Occorre infatti considerare che la realtà sociale è mutevole e che i partiti e i politici, se vogliono sopravvivere, debbono adattarvisi. Ne consegue che non tutti i cambiamenti sono ingiustificati o riprovevoli. Non lo sono di certo quelli conseguenti a fusioni, a confluenze e a scissioni di gruppi politici affini, che di solito hanno un consistente retroterra ideale e politico. E non lo sono per lo più i passaggi individuali a forze politiche che hanno analoga matrice ideale e culturale del partito di provenienza, quando il cambiamento di maglietta non comporta il salto di schieramento, ad esempio da destra a sinistra o viceversa.

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Copertina di Alchimie, di Ferdinando Leonzio

Ovviamente dal fenomeno della „navigazione“ non è stata del tutto esente neppure la classe politica di Lentini. Io stesso in passato ho avuto modo di osservarne le evoluzioni e gli effetti, nel corso delle mie ricerche storiche. Ma è anche doveroso ricordare che non sono mancati episodi di coerenza politica e di rispetto delle regole democratiche.

Diciamo dunque che ci sono state luci ed ombre e che perciò non sono mancate delle situazioni encomiabili riguardanti personaggi che, pur non essendone obbligati né dalla legge né da altro, ritennero di dimettersi per correttezza istituzionale, per grande spirito democratico, per rispetto della volontà popolare.

Vogliamo per l’appunto qui fare un piccolo viaggio nel passato di Lentini, come può accadere anche nel magico mondo dei fumetti, per rievocare alcuni casi di dimissioni presentate quando gli interessati, potendo scegliere se dimettersi o mantenere il loro ruolo, decisero spontaneamente di dimettersi.

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Casa editrice Nerbini

I consiglieri comunisti nel 1921

PCI Alle elezioni amministrative dell’autunno 1920, per la prima volta il Partito Socialista Italiano, allora attestato su posizioni rivoluzionarie, conquistò la maggioranza assoluta al Comune di Lentini (24 seggi su 30), dove quindi si insediò una Giunta Comunale monocolore, capeggiata dal suo leader Delfo (Filadelfo) Castro, noto pittore di carretti siciliani. L’entusiasmo per il brillante risultato non era però destinato a durare a lungo, giacché nel corso del congresso nazionale di Livorno, l’estrema sinistra del partito, capeggiata da Amadeo Bordiga e da Antonio Gramsci, molto vicina ai bolscevichi russi e a Lenin, si scisse dal PSI e fondò il Partito Comunista d’Italia (21-1-1921).

La cosa ebbe ripercussioni anche nel gruppo dirigente socialista di Lentini, dove ai dissensi ideologici si mescolavano incomprensioni caratteriali. Le tensioni interne portarono infine alle dimissioni da assessori di Paolo Aliano, Filadelfo Santocono e Sebastiano Cavaleri (2-4-1921). Il 13 maggio successivo Santocono e Cavaleri si dimisero anche da consiglieri comunali, imitati da Ignazio Magrí che, nella stessa data, si dimise contemporaneamente da assessore e da consigliere.

Il 24 giugno 1921 si dimisero da consiglieri Paolo Aliano, Alfio Centamore, Francesco Martinez e Natale Vinci, e in seguito Gaetano Giudice (8-10-1921) e Francesco Carrà (16-10-1921) [3].

La maggior parte dei dimissionari, assieme ad altri che non erano consiglieri, costituirà il primo nucleo comunista di Lentini. Secondo una corretta prassi democratica, i dimissionari avrebbero ben potuto conservare la carica di consiglieri, in quanto, almeno teoricamente, essi rappresentavano quella parte di elettorato socialista che aveva seguito, a livello nazionale, la scissione comunista.

Ma erano altri tempi ed altri costumi, improntati a principi di assoluta coerenza e correttezza politica. Per cui essi preferirono rimettere il loro mandato, avendo lasciato il movimento socialista, sotto le cui insegne erano stati eletti.

Delfo Castro nel 1947

PSLI Le prime elezioni comunali del secondo dopoguerra, tenutesi a Lentini il 17 marzo 1946, avevano assegnato la vittoria al partito socialista, ancora guidato da Filadelfo Castro, che aveva cosí replicato il successo del 1920 e conquistato 18 dei 30 seggi del Consiglio Comunale, costituendo poi una giunta monocolore da lui stesso capeggiata.

I 12 seggi dell’opposizione, anche grazie al meccanismo elettorale, erano andati interamente al partito comunista, il cui esponente piú popolare era allora il cooperatore Francesco Marino, lasciando fuori dal Consiglio Comunale l’intera area del centro-destra. Ma quando, il 20 aprile 1947, si tennero le prime elezioni regionali in Sicilia, a Lentini i rapporti di forza tra le due sinistre si rovesciarono.

Il partito di Castro, il PSLI [4] (poi PSDI), ottenne il 25,7 %, mentre il „Blocco del Popolo“ (PCI + PSI) [5] conseguí il 42,9 % ed elesse all’ARS Ciccio (Francesco) Marino, che divenne cosí il primo deputato lentinese.

Il sindaco Castro e la sua Giunta, benché forti di una salda maggioranza consiliare, considerarono come il loro partito ormai rappresentasse appena un quarto dell’elettorato lentinese e decisero perciò di assecondare la nuova manifestazione della volontà popolare. Pur non essendovi giuridicamente tenuti, si dimisero e favorirono la costituzione di una Giunta bicolore PSLI-PCI, che rappresentava il 68,6 % dell’elettorato.

La guida dell’Amministrazione passò al capogruppo comunista, il ventisettenne Giovanni Pattavina, quale rappresentante del primo partito della Città.

Delfo Castro nel 1951

PSI Le tensioni fra i due alleati al Comune ripresero in prossimità delle elezioni politiche del 18 aprile 1948, essendo ormai il PSLI entrato nella coalizione governativa, mentre il PCI, escluso dal Governo nel giugno 1947, si era decisamente collocato all’opposizione. La polemica politica tra i due partiti crebbe tanto da indurre i consiglieri del PSLI a presentare (15-2-1948) una mozione di sfiducia contro l’amministrazione Pattavina. I risultati da loro conseguiti a Lentini [6] il successivo 18 aprile segnarono anche un’inversione di tendenza fra i due partiti presenti in C.C., con il Fronte Democratico Popolare (PCI, PSI e altri) [7] che si attestò al 36,2 % (- 6,7) e la lista di Unità Socialista (PSLI + UdS) [8] che ottenne il 29,1 % (+ 3,4).

Il 5 maggio 1948 Pattavina si dimise e il 6 luglio successivo Castro tornò alla guida del Comune, con un nuovo monocolore socialdemocratico. Tuttavia la collocazione, ormai stabile, della socialdemocrazia nell’area governativa e dunque la sua adesione alla politica centrista, man mano spingevano l’elettorato popolare, che prima si era riconosciuto in Castro, a spostarsi a sinistra.

Lo si vide con assoluta chiarezza in occasione della successiva chiamata alle urne, per le elezioni regionali del 3 giugno 1951.

Il Blocco del Popolo, a Lentini di fatto il PCI, ottenne il 56,1 %, conquistando per la prima volta la maggioranza assoluta, mentre il PSLI precipitò al 9,3 %, ultimo fra i partiti presenti nella scheda, iniziando cosí un lento ma inarrestabile declino [9].

Nonostante questo cataclisma elettorale, Castro e i suoi compagni avrebbero potuto legittimamente rimanere alla guida del Comune fino alla scadenza naturale della legislatura.

Ma il gruppo consiliare socialdemocratico, animato da senso civico e da grande rispetto della volontà popolare, essendo ormai impossibile, a causa delle forti lacerazioni politiche, una riedizione dell’alleanza PSLI-PCI, decise di dimettersi in blocco e di restituire cosí la parola agli elettori [10], ai quali Castro indirizzò un pubblico manifesto:

In aderenza ai risultati delle recenti elezioni regionali, i Consiglieri di maggioranza, fedeli al metodo democratico, hanno rassegnato le loro dimissioni, seguite dalle mie.

Lascio quindi spontaneamente la carica di sindaco di questo Comune, con la coscienza tranquilla di aver fatto del mio meglio per il riordinamento e miglioramento dei servizi pubblici, per la sistemazione degli uffici municipali e per l’assistenza ai poveri e ai bisognosi di Lentini, onde rendere meno stridente il contrasto tra coloro che sopportano le conseguenze dei tempi bruttissimi che attraversiamo e coloro che vivono negli agi. [...].

Alessandro Tribulato nel 1963

DC Il Consiglio Comunale di Lentini scaturito dalle elezioni amministrative del 6 novembre 1960, le prime svoltesi col sistema proporzionale puro, ebbe una vita piuttosto agitata. Esso infatti espresse tre diverse formule politiche e tre sindaci di diverso colore, sconvolse la vita interna di tutti i partiti in esso rappresentati, tre consiglieri lasciarono il loro gruppo di origine e non riuscí a portare a compimento il suo mandato.

Il primo sindaco della legislatura fu il comunista Sebastiano (Neddu) Arena, a capo di una coalizione di sinistra (PCI, PSI, USCS [11]), che durò poco piú un anno; ad essa seguí la sindacatura dell’avv. Mario Ferrauto (PSI), alla testa di una coalizione di centro-sinistra (DC, PSI, PSDI, Ind.), che segnò l’ingresso della DC, per la prima volta, nella “stanza di bottoni” [12] lentinese, ma visse meno di un anno.

L’ultimo tentativo fu quello dell’avv. Alessandro Tribulato, prestigioso esponente della locale DC [13], che riuscí a formare una coalizione centrista, alla quale partecipavano i 14 (su 40) consiglieri della DC, l’unico esponente dell’USCS, tre indipendenti [14] (in precedenza usciti dai rispettivi partiti) e l’unico consigliere del PSDI [15], che però dava solo l’appoggio esterno alla giunta Tribulato. Una giunta di minoranza dunque, sostenuta da soli 19 consiglieri su 40 [16].

Da allora il sindaco Tribulato si trovò impegnato a fronteggiare non solo le tradizionali problematiche di ogni amministrazione, ma anche un’opposizione agguerrita e affatto rassegnata a rimanere fuori dal potere comunale.

Inoltre fu proprio durante la sua sindacatura che emersero quelle che saranno per molti anni le due anime antagoniste della locale DC: quella, guidata dallo stesso Tribulato e dall’avv. Vincenzo Bombaci [17], aristocratica ed idealistica, legata alla tradizione e all’esperienza, e quella, popolaresca ed empirica, caratterizzata dall’innovazione e dall’attivismo, guidata dal giovane segretario della sezione Enzo Nicotra [18].

Tribulato, uomo assai colto e dai modi signorili, rimase comunque sempre fedele alla sua visione della politica, intesa esclusivamente come servizio istituzionale e perciò mal si acconciava alle “incursioni” del partito nelle scelte politico-amministrative. Il logoramento dei rapporti tra Amministrazione Comunale e sezione democristiana era ormai ad uno stadio avanzato, quando ebbe luogo Il primo confronto elettorale nella città, dopo l’elezione di Tribulato: le elezioni politiche del 28 aprile 1963.

La DC, che alle comunali del 1960 aveva avuto un ottimo risultato, dovette registrare un forte calo, essendo passata dal 34,8 % del ’60 al 25,6 % alla Camera [19], mentre emerse che i suoi oppositori, il PCI (49,7%) e il PSI (6,6 %), ormai rappresentavano la maggioranza dell’elettorato lentinese.

Tribulato, gentiluomo di formazione liberaldemocratica, colse il messaggio che le urne gli avevano inviato e, pur essendo la sua amministrazione senza valide alternative in Consiglio Comunale e dunque al riparo da ogni possibile rivolgimento, con un gesto di rara eleganza istituzionale e di rispetto delle regole non scritte della democrazia, il 13 maggio 1963 si presentò dimissionario in Consiglio Comunale.

In quell’occasione il suo predecessore ed avversario politico Arena non gli fece mancare il suo apprezzamento:

Nella vita politica occorrono due virtú: l’onestà e il coraggio. Al signor sindaco stasera non sono mancate queste due virtú [20].

Sebastiano Centamore nel 1976

PSI 1976 Le elezioni comunali del 15 giugno 1975 provocarono un vero terremoto nella scena politica lentinese e nella vita interna dei partiti [21].

In particolare il PCI subí una cocente sconfitta, passando dal 42,3 % delle precedenti comunali del 7 giugno 1970 al 29,9 % e da 18/40 consiglieri a 12; ma soprattutto esso perse la maggioranza relativa in Consiglio Comunale [22], la guida dell’Amministrazione e fu relegato all’opposizione, scatenando nel partito profondi rivolgimenti [23].

I voti perduti dal PCI erano andati quasi per intero al PSI, passato dal 5,9 % del 1970 al 18,8% e da 3 a 8 consiglieri.

Si trattava con tutta evidenza di un travaso di voti ex comunisti critici verso il loro partito, ma fermi nella loro collocazione a sinistra. In quella situazione numerica e politica, una riedizione della coalizione di sinistra appariva tuttavia quasi impossibile, sicché la sezione socialista, travolta dall’entusiasmo per l’eclatante risultato ottenuto, si orientò invece per una Giunta di centro-sinistra, con la DC e col PRI [24], che poteva contare sul sostegno di 22 consiglieri su 40.

La Giunta, capeggiata dal leader socialista Sebastiano Centamore, con vice il democristiano Pasquale Valenti, si insediò il 4-8-1975. Il sindaco Centamore in poco tempo si trovò però a dover fronteggiare una serie di difficoltà: la dura opposizione del PCI, sia in C. C. che in Città, il crescente malumore della DC, le lotte e i forti dissensi interni nel gruppo consiliare e nella sezione del PSI [25].

Tali difficoltà non riuscirono comunque a scoraggiare il sindaco, abituato alla lotta politica, anche dura.

La situazione precipitò, invece, l’anno dopo, quando si conobbe il responso delle urne nelle elezioni regionali del 20 giugno 1976, in cui lo stesso sindaco era candidato nella lista del PSI.

Il PSI lentinese, infatti, passò dai 3628 voti (18,8%) delle comunali dell’anno precedente a 1289 (6,4 %) , registrando cosí un tracollo di consensi [26], mentre il PCI riacciuffava la maggioranza assoluta (51,61 %). Centamore, benché avesse ancora una robusta maggioranza in Consiglio Comunale, seppe cogliere il messaggio scaturito dalle urne e, dimostrando rispetto per la volontà popolare, rassegnò le dimissioni, assieme alla sua Giunta.

Andrea Amore nel 1978

PSI Caduta l’amministrazione Centamore, prese consistenza l’ipotesi di tentare una giunta nel quadro della proposta nazionale di compromesso storico [27], subito recepita dalla sezione comunista lentinese. Si arrivò cosí alla formazione di una Giunta chiamata di larghe intese (DC, PCI, PSI, PSDI [28]), con sindaco il dott. Francesco Fisicaro (DC). Essa, tuttavia, logorata dalle rivalità fra i partiti e dal loro accentuato frazionismo interno, durò poco piú di un anno.

Si aprí poi una lunga crisi, durante la quale forti tensioni si verificarono nel PSI, mentre il PCI decise di sganciarsi dalla formula delle larghe intese. I partiti sembravano uniti su un solo punto: salvare la legislatura, la cui interruzione sarebbe stata esiziale per la soluzione dei problemi della città.

Toccò dunque alla DC, d’intesa col PSDI, intestarsi un’iniziativa di “interesse civico” costituendo, l’11 marzo 1978, una giunta minoritaria DC-PSDI, detta di servizio, con sindaco il socialdemocratico ing. Andrea Amore e con vice l’avv. Vincenzo Bombaci, democristiano, come tutti gli assessori.

Era in quel periodo di grande attualità la questione della costruzione dell’invaso del Biviere. Su questa importante tematica il sindaco e il suo partito manifestarono forti perplessità, a differenza di tutte le altre forze politiche e sociali.

Non volendo rinunciare alle sue opinioni, ma non ritenendo giusto essere sindaco con un consesso civico che la pensava in modo tanto diverso da lui, il sindaco Amore, per coerenza democratica, decise di dimettersi (27-7-1978), pur rimanendo fedele alla formula politica [29].

Sono, quelli sopra ricordati, alcuni episodi del recente passato, improntati a sensibilità civica e a coerenza politica e istituzionale, tutti basati sul principio che la politica deve essere al servizio della collettività.

Per quanto riguarda il futuro chi vivrà vedrà. Speriamo bene. In un’intervista al Corriere della Sera del 7 maggio 2001, l’allora novantenne Francesco De Martino, ex segretario del PSI e insigne latinista, ebbe a dire: Quello che mi addolora della vecchiaia è che non potrò mai sapere come andrà a finire.

Ferdinando Leonzio

[1] Tale principio apparve per la prima volta nella Costituzione francese del 1791.

[2] Il vincolo di mandato, e dunque la sua revocabilità, si ebbe nell’esperienza della Comune di Parigi (1871). Ciò fu visto favorevolmente da Karl Marx.

[3] L’intera vicenda è ricostruita nel saggio di Ferdinando Leonzio Appunti sulle origini del PCI di Lentini, pubblicato in Girodivite del 19-8-2017.

[4] Partito Socialista dei Lavoratori Italiani. Il PSLI era sorto nel gennaio 1947 in seguito alla scissione dal PSI della sua ala socialdemocratica, guidata da Giuseppe Saragat. Castro e la sezione socialista di Lentini vi avevano subito aderito.

[5] A Lentini il BdP era sostanzialmente costituito dal solo PCI, in quanto la sezione socialista era transitata quasi per intero nella socialdemocrazia.

[6] Nazionalmente il 18-4-1948 si ebbe la clamorosa vittoria della Democrazia Cristiana e la formazione di un nuovo governo De Gasperi cui parteciparono anche socialdemocratici, repubblicani e liberali, dando inizio all’esperienza centrista.

[7] A Lentini, di fatto, nel FDP era presente il solo PCI.

[8] Le liste di Unità Socialista (US) erano un cartello elettorale costituito tra il PSLI e l’UdS (Unione dei Socialisti), un altro raggruppamento politico di orientamento socialdemocratico. Ma a Lentini di fatto era presente il solo PSLI.

[9] Il PSI, invece, nel 1955 riaprirà a Lentini una propria sezione per iniziativa di vecchie bandiere come Peppino Aliano e Gaetano Zarbano e di giovani come Delfo Pupillo, Sebastiano Centamore e Peppino Battiato.

[10] Le dimissioni della maggioranza dei consiglieri comunali determinò il commissariamento del Comune. Commissario Prefettizio fu nominato il dott. Mario Vaccaro.

[11] L’Unione Siciliana Cristiano Sociale (USCS) era stata fondata l’8-11-1958 da un gruppo di deputati regionali siciliani democristiani guidato dall’on. Silvio Milazzo, da cui deriverà la parola milazzismo. Il partito si dissolverà nel 1963. A Lentini era stato fondato dal noto pedagogista prof. Giuseppe Nanfitò, unico eletto al CC nel 1960.

[12] L’espressione è di Pietro Nenni, leader del PSI.

[13] Tribulato aveva fatto parte del Consiglio Comunale, ininterrottamente, dal 1952; era stato commissario della DC di Lentini nel 1955-57 (con vice Enzo Nicotra), presidente del NUPRAL ((Nucleo Produttori Agrumicoli Lentinesi); dal 1958 era anche presidente del Consorzio di Bonifica del Lago di Lentini.

[14] Sebastiano Pignatello (ex PCI), Rosario Amato (ex MSI), Giovanni Bruccone (ex PSI).

[15] Consigliere del PSDI era Delfo Castro fino alla sua morte, avvenuta il 10-3-1963. Gli successe il primo dei non eletti del PSDI, il suo “delfino” Peppino Pisano.

[16] Ma il sindaco Tribulato fu eletto (con voto segreto) con 21 voti, due in piú della coalizione da lui capeggiata. Il che era un segno evidente del malessere politico, allora appena all’inizio a Lentini.

[17] Allora vicepresidente dell’Amministrazione Provinciale.

[18] Nicotra era diventato segretario della sezione democristiana nel 1957, su proposta di Tribulato.

[19] I risultati per il Senato furono peggiori: 23,6 %.

[20] Nell’’ultima seduta del Consiglio Comunale (24-5-1963) tutti i 32 consiglieri presenti si astennero dalla votazione per un nuovo sindaco, aprendo cosí la strada ad una gestione commissariale del Comune. Le elezioni regionali del 9-6-1963 registrarono una ripresa della DC lentinese (32,4 %) rispetto alle elezioni politiche del 28-4-1963, ma pur sempre inferiore ai risultati delle comunali del 1960.

[21] Sugli effetti di tali risultati si può vedere l’articolo di Ferdinando Leonzio La Lentini postcomunista (1975-1980) su Girodivite del 5-9-2018.

[22] La DC superò, sia pure di poco, il PCI, avendo ottenuto il 30 % e 13 seggi.

[23] Sulle vicende del PCI lentinese di quel periodo si veda il circostanziato memoriale di Michelangelo Cassarino Quando il rosso si fece rossore – un fatto dei comunisti raccontato trent’anni dopo da uno di loro Lentini, 2005.

[24] Il PRI, presente per la prima volta con una propria lista alle comunali di Lentini, elesse un consigliere: l’avv. Salvatore Maddalena.

[25] In questo periodo, dopo il ritiro dell’anziano Sebastiano Ventura, si avvicendarono alla segreteria del PSI l’avv. Giuseppe Centamore, il commerciante Saro Ferrauto e l’imprenditore edile Alfio Serratore.

[26] La netta sconfitta del PSI fu confermata anche nelle elezioni politiche che si svolsero lo stesso giorno delle comunali. In esse il PSI ottenne il 5,7 % sia alla Camera che al Senato.

[27] La nuova formula politica, secondo cui le forze comuniste, le cattoliche, le socialiste e le democratiche si sarebbero dovute incontrare a livello governativo, era stata avanzata dal segretario del PCI Enrico Berlinguer, in seguito ai tragici avvenimenti del Cile, in cui il legittimo presidente, il socialista Salvador Allende, era stato rovesciato da un cruento colpo di Stato (11-9-1973), che aveva portato al potere una sanguinaria dittatura, capitanata dal generale Augusto Pinochet.

[28] Il PSDI, alle comunali del 1975 aveva conseguito il 5,7 % e raddoppiato la sua rappresentanza consiliare, eleggendo l’astro nascente della socialdemocrazia lentinese ing. Andrea Amore e il suo leader storico Peppino Pisano.

[29] La successiva Giunta, infatti, rimase invariata nella formula e nei nomi, con la sola inversione dei ruoli tra Amore (PSDI) e Bombaci (DC), che perciò divenne sindaco.


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