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A partire dal Principio di responsabilità di Hans Jonas

Le categorie marxiane e il logos possono riportare il problema della responsabilità alla sua verità materiale e storica senza la quale è solo un nobile proposito senza effetti reali nella realtà storica e di classe.

di Salvatore A. Bravo - domenica 9 giugno 2024 - 313 letture

Principio di responsabilità e grammatica del profitto

Il principio responsabilità (Das Prinzip Verantwortung) è “il testo” di Hans Jonas pubblicato nel 1979. Hans Jonas tratta del tema della responsabilità e della fondazione metafisica dell’etica in pieno postmodernismo. Una società curvata sulle tecnologie e sulla spregiudicata facoltà di manipolare i geni necessita di un’etica e di una riflessione generale sul suo presente e sul suo futuro. L’etica di J. Honas solleva inquietanti problemi etici nei quali siamo implicati. Il transumanesimo e il potere di separare la procreazione dalla sessualità-affettività sono oggi urgenze del pensiero e della prassi che la filosofia ufficiale rifugge.

Il filosofo dell’etica della responsabilità dinanzi agli effetti delle due bombe atomiche sperimentate dagli americani nel 1945 prende atto che la filosofia deve lasciare gli scranni delle Accademie ed entrare nella storia, non da ancella, ma da disciplina che si assume la responsabilità politica nel presente. La filosofia deve prendere atto del potere distruttivo delle tecnologie e della loro potenziale capacità di annichilire ogni forma di vita. Non a caso il sottotitolo dell’opera di H. Jonas riporta: “Un’etica per la civiltà tecnologica”.

Non è più rimandabile un’etica che risponda alle urgenze del potere-dominio (capitalistico) che minaccia la vita nella sua totalità.

Filosofia e realtà

La filosofia non è semplice contemplazione della realtà storica e sociale, essa sospende l’azione per poter pensare in modo olistico e dialettico la realtà e rielaborare il rapporto tra teoria e prassi. In H. Jonas la relazione-teoria prassi è fondamentale per fondare l’etica capace di gestire le sfide tecnologiche. Egli ha partecipato alla Seconda Guerra mondiale, ha assistito allo sgancio della bomba atomica nel 1945, per il filosofo l’atomica ha segnato una cesura nella storia dell’umanità. L’etica kantiana con il suo imperativo categorico non risponde all’urgenza delle sfide e dei pericoli delle nuove tecnologie. L’imperativo categorico delineato nella Critica della Ragion pratica è organico ad una civiltà nella quale le tecnologie non possedevano un potere distruttivo irreversibile. Non a caso l’etica kantiana è rivolta al presente, in essa manca la dimensione della responsabilità, la quale, invece, è orientata verso il futuro. L’etica kantiana formale, autonoma ed eteronoma pone al centro la dignità dell’essere umano nella libertà; è un’etica fortemente antropocentrica, infatti gli imperativi categorici si caratterizzano per l’esclusione della realtà naturale e per la forma verbale incentrata sul presente:

“Agisci come se la massima della tua azione potesse essere dalla tua volontà elevata a principio di una legislazione universale”; “agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona che nella persona di ogni altro uomo, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo”; “agisci come se appartenessi al regno dei fini e fossi quindi insieme legislatore e suddito di questo regno delle volontà libere e ragionevoli”.

La rilettura di Kant e di H. Jonas non può che indurci a ripensare il nostro tempo storico nella forma della responsabilità. In Jonas H. l’etica si autofonda sul “sì alla vita”, giacché in ogni essere si verifica la tendenza all’essere e non al nulla. Ciò malgrado un’etica per il nostro tempo deve implicare con la responsabilità etica la dimensione politica. Le tecnologie volte alla potenza devono essere riportate alla struttura economica.

Lo Stato non è laico, in quanto è suddito del mercato e della religione imperiale del profitto, pertanto anche l’etica in H. Jonas risulta astratta, malgrado il tentativo di rifondarla a livello metafisico. La responsabilità etica può essere reale e razionale solo se si ribalta la grammatica del profitto. Il valore-merce quale fondamento, ormai, non pensato nei nostri giorni tormentati, se non è compreso e superato con la prassi e con la lotta di classe non consentirà la piena realizzazione di un’etica all’altezza del nostro tempo storico.

Il capitalismo si fonda sull’accumulo illimitato di plusvalore e di conseguenza userà in modo metamorfico le tecnologie per affermare la religione “irresponsabile del denaro”. La responsabilità pone limiti, mentre il capitalismo è per sua fondazione illimitato. L’economicismo non ha fini oggettivi, è mosso da dinamiche che trasformano ogni esperienza in mezzo per l’accumulo e per la potenza. La transizione ecologica, non a caso, è in realtà transizione economica. Si usa l’ambiente ormai avvelenato dalla chimica, dalla plastica e dalle onde elettromagnetiche per aprire nuovi mercati e nuovi consumi.

Il capitalismo si è impossessato dell’urgenza ambientale per convertirla in denaro con l’assenso della politica sua complice, l’ha modificata in senso ideologico. Sostanza del capitalismo è il vivere pericolosamente fino a spingersi sull’abisso del “niente”. Nessuna invocazione riuscirà a limitarlo, tanto più che esso si riproduce in modo anonimo. Le oligarchie si celano dietro l’imperativo “lo vuole il mercato!”. Senza lotta di classe nessun principio di responsabilità potrà trionfare sulle macerie bellicose del capitalismo.

Responsabilità e logos

Nell’era del transumanesimo non è minacciata solo la vita dell’uomo ma di tutta la natura, pertanto l’essere umano ha il compito di salvaguardare e proteggere la vita nella sua pluralità. L’uomo non è l’unico abitatore del pianeta, la Terra è la casa di forme di vita che l’essere umano ha il dovere di proteggere con il logos. Responsabilità è parola fondamentale per comprendere la problematicità etica e metafisica di H. Jonas.

La parola responsabilità deriva dal latino respondere rispondere, composto di re indietro e spondere promettere, più il suffisso -bile che indica facoltà, possibilità. La responsabilità indica la relazione rivolta al presente e al futuro, pertanto l’essere umano deve porsi il problema degli effetti delle sua azioni sugli altri esseri umani e sulla natura. Il problema è pienamente definito in Jonas, ma l’etica del pensatore tedesco rischia di essere anch’essa astratta, in quanto la responsabilità non è solo lucida visione degli effetti, ma è prima di tutto responsabilità politica e sovvertimento dei poteri che usano le tecnologia come mezzo per dominare, guadagnare e disciplinare il pensiero. La propaganda dei media asserviti presentano i distruttori della vita, in nome del nichilismo crematistico, come coloro che “salveranno il pianeta”. Dove il logos si oblia regna la normalità dell’assurdo. Solo una nuova prospettiva marxiana può fondare le condizioni per la responsabilità etica con la radicale trasformazione della struttura economica e della cultura.

Il logos è calcolo dei bisogni autentici, è razionalità etica capace di ricucire gli squilibri ambientali e sociali del capitalismo. Logos e materialismo storico sono imprescindibili per rifondare un’etica che si confronti profondamente con l’epoca del profitto assoluto. La furia crematistica può essere contenuta e superata solo dal movimento consapevole dei sussunti, le cui vite sono oggetto del dispositivo di controllo, dominio e sfruttamento. Il capitalismo sfrutta ogni essere vivente e ogni bene naturale, è rivoluzione continua, perché distrugge ogni vincolo comunitario, etico e storico. Si tratta di una rivoluzione sempre volta alla potenza crematistica. Non conosce logos ma solo calcoli.

Le insufficienze dell’euristica della paura

Il discernimento è la condizione dell’uomo responsabile. H. Jonas a tal proposito introduce l’euristica della paura. Essa è interpretato in senso positivo, poiché dinanzi al timore che le azioni potrebbero avere effetti irreversibili l’essere umano deve astenersi dall’azione. La paura e l’angoscia tonalità emotive già analizzate da Kierkegaard e da Heidegger assumono in H. Jonas una valenza salvifica. La paura dell’annichilimento della vita deve portare l’essere umano a valutare caso per caso le conseguenze delle azioni tecnologiche, in tal modo l’umanità instaurerà con la natura una relazione di protezione e di conservazione. La responsabilità verso il futuro deve guidare anche la vita politica, non a caso per H. Jonas l’archetipo a cui si deve ispirare l’uomo politico è la figura genitoriale: i genitori hanno cura del loro figlio, ma il loro sguardo amorevole e razionale non si limita al presente, ma si spinge verso il futuro, essi pongono le condizioni affinché il nascituro abbia il miglior futuro possibile.

“L’archetipo del genitore e l’euristica della paura” sono i capisaldi per la politica della responsabilità secondo H. Jonas.

L’euristica della paura è insufficiente, in quanto la paura è sentimento fluido e facilmente manipolabile. Il capitalismo, inoltre, ha la sua grammatica emotiva nell’eccesso e nell’irrazionalità, per cui “la paura” è sentimento troppo fragile per poter rendere salda la responsabilità. H. Jonas aggira il problema, ovvero il capitalismo, non pone in discussione la causa prima del male, per cui si orienta su un sentimento che dovrebbe emergere dalla pratica della “buona politica” senza porre in discussione la causa di ogni male: il capitalismo.

L’archetipo del genitore che dovrebbe guidare l’azione della buona politica naturalmente ha un valore indicativo, quasi un voler richiamare i responsabili del disastro antropologico alle loro pubbliche responsabilità. Il discorso è debole. Opporsi ad una multinazionale chiedendole di comportarsi come genitrice amorevole non può che rassicurare la stessa nel continuare i suoi traffici, è una dimostrazione di sudditanza e di impotenza. L’imperativo categorico di H. Jonas è condivisibile, ma ritenere che gli apparati economici si adeguino ad esso è alquanto dubbio:

“Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza della vita umana sulla terra”.

Metafisica

L’etica della responsabilità si fonda sulla metafisica. H. Jonas cerca di rifondare l’etica su principi oggettivi. La razionalità oggettiva non può che diventare il fondamento dell’etica. Jonas rileva che in ogni forma di vita dalla più semplice alla più complessa si osservano processi metabolici funzionali alla vita. Il “sì” alla vita è iscritto nella vita biologica, pertanto l’essere umano deve scegliere l’essere e non il nulla. Il sì alla vita deve supporre un soggetto forte che ponga il “sì” e si assuma la responsabilità. Il soggetto non può essere il singolo, ma la comunità-popolo nella sua totalità, la deve diventare “Soggetto politico”. In H. Jonas la politica non c’è la dimensione della lotta di classe, ma egli delega alle classi dirigenti l’azione riformatrice.

La politica è popolo al potere inteso come servizio utile ai singoli e alla comunità. La politica deve controllare e finalizzare l’economia per renderla conforme alla natura umana e ai reali bisogni dell’umanità. Senza la Rivoluzione e la prassi non vi è responsabilità. Il nostro tempo necessita di un pensiero forte che guidi all’emancipazione dalla cattiva economia-politica; la prassi non può che scaturire dal conflitto di classe. I ceti popolari devono lottare contro le vampiresche e mortali oligarchie che trasformano tutto ciò che toccano e gestiscono in deserto plutocratico. Per riprendere il cammino dopo decenni di immobilità politica è necessario essere radicali. Viviamo in un’epoca estrema, pertanto nessun appello etico riuscirà a condurci fuori dalla trappola funerea della crematistica.

La vita non è gettata nel mondo e non emerge da conflitti ancestrali come il filosofo affermava:

“(…) la vita è gettata nel mondo, la luce nella tenebra, l’anima nel corpo. Essa esprime la violenza originaria che mi è stata fatta nel farmi essere dove sono e quello che sono, la passività di emergere senza possibilità di scelta in un mondo esistente, che non è stato fatto da me e la cui legge non è mia” [1].

La violenza originaria è il capitalismo che abbiamo deciso di “non pensare” con sufficiente radicalità. Auschwitz e le bombe atomiche americane non sono l’originaria violenza tra di noi, ma sono il capitalismo nella sua espressione compiuta che continua ad essere tra di noi. Senza la Metafisica della prassi la violenza continuerà ad essere l’ordinaria normalità dei nostri giorni. Il capitalismo non potrà correggere se stesso, pertanto sta a noi risemantizzare i concetti per poter uscire dalla caverna dei proclami che rafforzano il presente e non disegnano il futuro. Il Principio di responsabilità senza l’uscita dall’attuale sistema è semplicemente chimerico. Solo la comunità politica che gestisce e vive la politica quale fondamento per “riporre al centro il popolo” può rendere reale e razionale la responsabilità.

Natura umana e Responsabilità

Senza la definizione complessa di natura umana non vi può essere responsabilità, in quanto la responsabilità va coniugata alla natura umana. Senza il “perché teoretico” l’essere umano è debolmente motivato alla responsabilità, la quale è di ordine comunitario, poiché è relazione tra il singolo e il suo ambiente sociale e naturale.

L’essere umano è comunitario da un punto di vista biologico, sociale e storico [2]: la natura umana è biologica, poiché l’evoluzione ha costituito l’essere umano come comunitario, in quanto “limitato e fragile”; essa è sociale, poiché l’educazione pone in atto ciò che è in potenza, la rende consapevole e adeguata ai contesti; è storica, in quanto nella storia il soggetto trascende il “non io fichtiano” e concettualizza le esperienze. Solo un sistema che “materialmente” favorisce la natura umana nella sua dialettica biologica, storica e sociale può affermare la responsabilità etica e riportare le tecnologie al servizio del popolo. La filosofia è nella natura umana, in quanto l’essere umano è logos che interroga la totalità per individuarne il senso.

L’irresponsabilità etica è l’effetto venefico del capitalismo, per cui solo una filosofia radicale può salvarci dalla “notte del mondo”. L’erramento nichilistico ha la sua filosofica e politica soluzione solo se le categorie del materialismo storico riportano il reale storico alla razionalità, in questo movimento vi è l’esodo dal nichilismo, in caso contrario saremo perennemente sotto lo scacco del niente capitalistico. Responsabilità è uscita dal sistema e dalla logica asfissiante del pensiero unico. Le parole di Costanzo Preve sintetizzano l’urgenza della “Rivoluzione copernicana della responsabilità sociale”:

“Il cosiddetto pensiero unico di impronta economica neoliberista, amato soprattutto dalle cosiddette "destre", ed il cosiddetto politicamente corretto di impronta politico-culturale, amato soprattutto dalle cosiddette "sinistre", sono in realtà una sola ed unica cosa, più esattamente una sola ed unica concrezione ideologica di tipo sistemico, che deve appunto rispecchiare simbolicamente una società privata della contraddizione dialettica fra due opposte entità dicotomiche. Osservata dal punto di vista della lunga durata del pensiero filosofico, e quindi anche etico, questa omogeneizzazione simbolica della società sotto il monoteismo idolatrico del Mercato e della Merce è caratterizzata dalla sostituzione della coppia Hegel-Marx con la coppia Heidegger-Nietzsche” [3].

Nel conflitto di classe deve rientrare anche la difesa della natura e della qualità del vivere. Il pensiero unico, ideologia di dominio del capitalismo nell’attuale fase storica, ha fatto della “responsabilità” un feticcio con cui inibire il “pensiero critico”. Le categorie marxiane e il logos possono riportare il problema della responsabilità alla sua verità materiale e storica senza la quale è solo un nobile proposito senza effetti reali nella realtà storica e di classe. L’egemonia di classe usa l’ambientalismo per risolvere le crisi di produzione interne e per occultare le reali responsabilità del disastro antropologico e ambientale. L’ambientalismo è l’instrumentum regni con cui l’egemonia culturale delle oligarchie alimenta il consenso e cela le cause reali del dramma in corso. Solo lo smascheramento di tale dinamica può riportare la storia verso una nuova emancipazione e la prassi.

[1] H. Jonas, Lo Gnosticismo, traduzione di Renato Farina, SEI, Torino 1973, p. 349

[2] https://youtu.be/tK9vc_BxtS4: Costanzo Preve: filosofia e capitalismo parte IV (Il comunitarismo e i pregiudizi contro Hegel).

[3] Costanzo Preve, Storia dell’etica, Petite Plaisance, Pistoia 2007.


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