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"The Company" di Robert Altman

Tra felici intuizioni e noia sotterranea, il ritorno di un maestro

di Sergio Di Lino - mercoledì 24 marzo 2004 - 10205 letture

Difficile esprimere un giudizio netto su un film già di per sé contraddittorio come "The Company". Difficile valutarlo con le semplici armi dell’analisi filmica. Da una parte abbiamo l’indubbia padronanza del mezzo del "maestro burattinaio" Robert Altman, il quale riscopre per l’ennesima volta il gusto del racconto polifonico, del caos organizzato, della ritrattistica minimalista, del frammento organizzato in maniera tale da postulare un significato "altro". I film di Altman rimandano sempre a qualcosa di ulteriore rispetto alla superficie, ad un progetto o un sistema di riferimenti che eccedono la comunicazione letterale; e "The Company" non fa eccezione in tal senso.

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Dall’altra parte, però, abbiamo un film slabbrato quanto si vuole, ma anche con un minimo comun denominatore che accomuna tutte le scene: la mancanza - voluta, forse, finché si vuole, ma dall’effetto ben poco piacere per lo spettatore - di pathos, coinvolgimento, empatia. Freddo e spietato entomologo delle umane, ordinarie abiezioni, Altman stavolta probabilmente eccede in distacco e il film risulta opacizzato dall’eccessiva distanza rispetto alla materia del racconto. Il rischio, inutile negarlo, è di annoiare lo spettatore; anche perché il balletto non è un tema dei più dinamici e accattivanti attualmente sullo schermo. Certo, è innegabile lo sforzo del quasi ottuagenario cineasta nel "personalizzare" un soggetto che rischiava di soffocare il suo "allure" autoriale, forse anche il suo stile. Voluto fortemente dalla protagonista Neve Campbell - un curriculum da ballerina precocemente troncato prima di sublimare il proprio talento nel cinema - il film, al di là della struttura da affresco corale, non sembrava nelle corde del regista di "Nashville" e "Short Cuts". E invece, sorprendentemente, "The Company" appare né più né meno altmaniano degli Altman maggiori. Una partita vinta, dunque, una piccola palingenesi per un vecchio maestro che non sembra non voler finire di stupire e stupirsi. La meraviglia estatica dello sguardo altmaniano di fronte alle evoluzioni dei danzatori del Joffrey Ballet è la meraviglia dello spettatore che assiste alle evoluzioni di un cineasta inquieto e schiavo della propria irriducibile creatività, che ama mettersi in gioco a ogni film che realizza, senza timore dell’impopolarità. Con la necessaria sicurezza di chi ormai non deve più dimostrare nulla, perché ha già dimostrato tutto, e può fare film per il solo piacere di farlo, divertendosi senza smettere di pensare.


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> "The Company" di Robert Altman
30 marzo 2004, di : Cris |||||| Sito Web: The company

Ma come si fa a non avere la felice intuizione, per se stessi, che tutto quanto diciamo su un’opera è comunque una nostra proiezione? Nessuna critica banale e gratuita al critico, ma con questa mia risposta voglio solo dire che io, per esempio (e capisco che sia solo una mia proiezione sulla proiezione), sono stata molto colpita dal film: l’ho trovato emozionante e carico di una empatia, che, ripeto, evidentemente, riguarda me. Non assolutizzerei, però, il fatto che il film debba necessariamente annoiare chiunque...
    Fuori il primo ballerino
    31 marzo 2004, di : Sergio Perez

    La ricerca di una chiave di lettura offertaci dai protagonisti è stata, e continua ad esserlo, una delle vie di conduzione per entrare dentro un film, cogliendone significati e percependone sensazioni di approvazione o meno. In genere in tal modo si è costruito sempre un cinema fondato sulla centralità del personaggio, rendendolo volta per volta protagonista dell’azione. A Robert Altman và indubbiamente riconosciuto il merito di aver introdotto nel cinema americano l’"Organicità" del racconto, della storia, intesa come scenario di relazioni umane inserito in un contesto urbano e socioeconomico ben definito, emarginando ed isolando gli elementi di "spettacolarità" e celebrazione del singolo personaggio. In effetti l’avevamo già visto con "I Protagonisti" ed in "America Oggi": nei film del cineasta americano non ci sono "Protagonisti" o divi della scena, e così accade anche nel mondo della danza professionale. The Company ci racconta l’accadere, il succedersi, senza successi personali, degli eventi in un corpo di ballo, il Jeffrey Ballett di Chicago, fra i più prestigiosi d’America. Anche questa stroria non sfugge, per fortuna, alla organica coralità dello stile di Altman. L’attenzione dello spettatore viene sempre puntata sulla scena nel suo insieme. Un film sul mondo della danza e non sul singolo ballerino che diventa una star del firmamento e dello starbusiness americano. Questo proseguire globale ed organico viene costruito con l’uso di una macchina sempre in movimento quasi a divenire essa stessa un "movimento, un gesto danzante", assumendo una circolarità ed un’andatura che rende omaggio al ballo in quanto tale. Altman entra sin dai titoli di testa dentro il palcoscenico, prosegue seguendo non i personaggi, ma le relazioni e i rapporti all’interno della compagnia di danza, fecendo emergere la necessità di una struttura organizzativa che, se ai più può apparire rigidamente strutturata e piramidale, persegue un fine sempre condiviso dal gruppo, la perfezione e la ricerca del migliore movimento per una danza che offre il meglio di sè solo quando c’è il meglio di ognuno.
    Fuori il primo ballerino
    31 marzo 2004, di : Sergio Perez

    La ricerca di una chiave di lettura offertaci dai protagonisti è stata, e continua ad esserlo, una delle vie di conduzione per entrare dentro un film, cogliendone significati e percependone sensazioni di approvazione o meno. In genere in tal modo si è costruito sempre un cinema fondato sulla centralità del personaggio, rendendolo volta per volta protagonista dell’azione. A Robert Altman và indubbiamente riconosciuto il merito di aver introdotto nel cinema americano l’"Organicità" del racconto, della storia, intesa come scenario di relazioni umane inserito in un contesto urbano e socioeconomico ben definito, emarginando ed isolando gli elementi di "spettacolarità" e celebrazione del singolo personaggio. In effetti l’avevamo già visto con "I Protagonisti" ed in "America Oggi": nei film del cineasta americano non ci sono "Protagonisti" o divi della scena, e così accade anche nel mondo della danza professionale. The Company ci racconta l’accadere, il succedersi, senza successi personali, degli eventi in un corpo di ballo, il Jeffrey Ballett di Chicago, fra i più prestigiosi d’America. Anche questa stroria non sfugge, per fortuna, alla organica coralità dello stile di Altman. L’attenzione dello spettatore viene sempre puntata sulla scena nel suo insieme. Un film sul mondo della danza e non sul singolo ballerino che diventa una star del firmamento e dello starbusiness americano. Questo proseguire globale ed organico viene costruito con l’uso di una macchina sempre in movimento quasi a divenire essa stessa un "movimento, un gesto danzante", assumendo una circolarità ed un’andatura che rende omaggio al ballo in quanto tale. Altman entra sin dai titoli di testa dentro il palcoscenico, prosegue seguendo non i personaggi, ma le relazioni e i rapporti all’interno della compagnia di danza, fecendo emergere la necessità di una struttura organizzativa che, se ai più può apparire rigidamente strutturata e piramidale, persegue un fine sempre condiviso dal gruppo, la perfezione e la ricerca del migliore movimento per una danza che offre il meglio di sè solo quando c’è il meglio di ognuno.
    > "The Company" di Robert Altman
    31 marzo 2004, di : Sergio Di Lino

    Beh, sai, in questo caso la mia proiezione era condivisa da un centinaio abbondante di persone che hanno visto con me il film, la metà abbondante delle quali ha ronfato per lunga parte dell’opera. Fossi stato un caso isolato, avrei capito, ma insomma, al di là della soggettività e della parzialità dei giudizi, qui c’è poco da discutere, pare...
      > peti(t)pa(s)
      30 giugno 2005, di : ophelia

      altman dichiara che ha voluto fare un DOCUMENTARIO. ma stiamo scherzando??????? e allora nils tavernier cosa avrebbe fatto?