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La Zona d’interesse: un film da ascoltare

"Oggi nel mondo c’è revisionismo: anche se presenti dei fatti alle persone, si parla delle motivazioni di quei fatti. Ma i fatti sono fatti. Per me è questo il rumore di fondo" (​Jonathan Glazer, regista del film “La zona d’interesse").

di Silvia Zambrini - mercoledì 13 marzo 2024 - 1430 letture

Normalmente si pensa alla colonna sonora di un film come insieme di musiche. Qui diversamente il sonoro si compone di suoni che esprimono se stessi (come il cinguettio degli uccelli) e del persistere di un rumore di fondo con l’effetto di continuo rimbombo. É così che il regista esprime la zona d’interesse, lo spazio al di qua del muro che la separa dal campo di sterminio di Auschwitz Birkenau. Dove hanno sede gli uffici delle SS, le abitazioni dei funzionari: tra queste la villa del primo comandante Rudolf Höss. Un’eco perpetuo di forni attivi e ciminiere in funzione costituisce il rumore di fondo, dal quale spiccano le voci di ordini gridati, l’abbaio di cani, colpi di sparo. A volte al continuo rimbombo si uniscono i suoni reali di parole, tonfi in piscina, spostamento di attrezzi da giardino, in un unico effetto uditivo. Con l’ascoltatore partecipe attraverso l’individuazione delle diverse provenienze. É fondamentale assistere al film in una sala cinematografica perché qui, il rimbombo angosciante, lo si avverte quasi a livello di vibrazione fisica. L’assenza di colonne sonore coprenti, cui si è di solito abituati, lascia sentire ogni minimo impatto: dallo scarto di una caramella qualche fila più avanti ai buzzer delle sonerie telefoniche peraltro silenziate: anche questa è un’esperienza!

Un effetto di luce naturale, a raffigurare le lunghe giornate estive, contrasta con quella volutamente artificiale quando, di notte, una giovane partigiana polacca si avvicina clandestinamente al campo lasciando delle mele per i prigionieri: in uno sfondo sonoro meno continuo, con improvvisi sbalzi di volume. Il rimbombo di base scompare del tutto nelle scene al di fuori della zona d’interesse (come nell’ufficio di Höss interno al campo). Brevi dialoghi per lo più di futile contenuto, intervallati da momenti silenziosi, pongono in risalto l’indifferenza verso ciò che avviene poco distante. Dalle finestre della villa si vedono le torrette, i tetti dei dormitori, il comignolo del forno crematorio ma questo non induce a fermarsi; a pensare: dal comandante, il cui bisogno di riconoscimento giustifica ogni mezzo, alla moglie Edvige sempre in movimento per curare le piante, seguire i cinque figli, ricevere le amiche: tutti in quello spazio complice e al tempo stesso “protetto” da un orrore cui ognuno, a parte polacchi ed ebrei a servizio delle SS, contribuisce “banalmente” attraverso il proprio ruolo, la singola funzione. Lo stesso Höss, che aveva scelto l’applicazione di forni crematori a ciclo continuo per ottimizzarne gli esiti, poteva non aver mai assistito direttamente all’eliminazione di un ebreo. Lui è uno dei tanti che, attraverso l’organizzazione, hanno preso parte al genocidio conducendo una vita “normale”, dedita al lavoro e alla famiglia, migliorandosi economicamente.

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La zona d’interesse

Consideriamo passiva l’apatia, ma è assolutamente attiva: chi ha finto di non guardare, di non sapere, di non vedere, è stato altrettanto colpevole. (id)

La ricostruzione acustica di quello che poteva essere l’interno del lager, e ciò che si sentiva dalla villa, riflette questa ambiguità attorno al concetto di apatia: si può scegliere di non vedere ma è impossibile non sentire. Dal rimbombo di base emergevano anche le grida disperate di bambini. Per ottenere un contesto sonoro coerente Johnnie Burn, curatore del design acustico, ha dapprima registrato i suoni di fabbriche tessili, inceneritori, scarponi che marciano sul selciato, fucili d’epoca, grida umane. Successivamente ha elaborato il materiale in base alle distanze, gli effetti di riverbero, il grado di filtro su cui agivano il muro divisorio e i suoni circostanti.

​Nessun sottofondo musicale (a parte per una breve scena in giardino). Suoni e rumori interpretano per intero azioni che si vedono, e altre che non si vedono, proprio nel loro essere asettici: una sorta di sperimentazione acustica ad opera di Burn e della compositrice Mika Levis, interessante specie in un momento in cui l’ascolto del suono distinto svanisce nella ridondanza di musiche e informazioni diffuse. Solo nella sigla finale una scala musicale ascendente, resa drammatica dalla tonalità minore, si ripete in una melodia ossessiva: forse a descrivere la cruda realtà del campo di sterminio in contrapposizione a quella intuibile attraverso il rumore di fondo durante la pellicola.

​Buon ascolto e buona visione.


Questo articolo è diffuso anche da Fana.one.



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