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Grazie ragazzi

Regia di Riccardo Milani, con Antonio Albanese, Sonia Bergamasco, Vinicio Marchioni, Giacomo Ferrara, Giorgio Montanini e Fabrizio Bentivoglio (Italia, 2023)

di Piero Buscemi - mercoledì 24 gennaio 2024 - 1428 letture

Fino a qualche anno fa leggere su una locandina il nome di Antonio Albanese, metteva gli spettatori sull’aspettativa di una visione tra il comico e il grottesco, tanta satira e personaggi che avevano il compito di ridicolizzare le varie forme di arroganza che la società ci propone quotidianamente. Distribuite equamente tra potere politico, potere industriale e potere mafioso.

Ritrovarsi il nome dell’attore in questo film poteva sviare l’approccio sull’ultima regia di Riccardo Milani, escludendo l’imminente Un mondo a parte che uscirà nelle sale il prossimo 28 marzo. La collaborazione tra i due artisti è già consolidata ormai da diversi anni, ma in questa produzione abbiamo l’occasione di apprezzare Antonio Albanese nella sua maturità recitativa che, come un percorso obbligato che altri attori, del passato e del presente, hanno affrontato senza remore, lo hanno portato a indossare i panni dell’attore drammatico lasciando in camerino il Cettolaqualunque per dedicarsi a ruoli più impegnativi.

Grazie ragazziIn Grazie ragazzi è proprio questa metamorfosi artistica che monopolizza il giudizio sul film. Una recitazione prorompente che non lascia dubbi sulle capacità interpretative di Albanese, calato alla perfezione in un personaggio che dalle delusioni di una possibile carriera da attore, si ritrova a un meschino e ridimensionato lavoro di doppiatore di film porno.

Il film di Milani è un remake del film francese Un Triomphe di Emmanuel Courcol, uscito nel 2020, ma la personalizzazione di questa storia, accaduta realmente in Svezia nel 1985, con la già citata interpretazione di Albanese e quella degli altri protagonisti, costringe lo spettatore a rimanere incollato alla sedia in attesa di un finale che neanche l’opera teatrale di Samuel Beckett ha saputo volontariamente dare al pubblico.

Antonio, il personaggio interpretato da Albanese, accetta l’offerta di Michele (Fabrizio Bentivoglio) suo ex collega di scena, per coinvolgere alcuni detenuti del carcere di Velletri in lezioni di recitazione. Uno dei tanti laboratori improvvisati nelle carceri italiane nel tentativo di fare apparire più "normale" la detenzione.

Tra detenuti italiani da un passato da nascondere e altri figli dell’immigrazione, recente e meno recente, un albanese, un rumeno ed anche un sopravvissuto a un naufragio del mare, Antonio si renderà conto molto presto di trovarsi di fronte il meglio degli interpreti del palcoscenico della vita con i quali potesse immaginare di confrontarsi. Sarà per questo che, alla fine del breve corso di recitazione, chiederà alla direttrice del carcere, Laura interpretata da Sonia Bergamasco, di mettere in scena addirittura Aspettando Godot di Samuel Beckett.

L’argomento trattato nella trama, poi, è di attualità travolgente, spesso sminuita dalla distrazione e da giudizi affrettati. Sulla questione della gestione delle carceri italiane se n’è discusso e se ne discuterà senza che una reale soluzione del problema verrà effettivamente mai presa da parte dei nostri politici.

Quello che emerge, però, dalla visione di questo film è l’elemento umano che c’è e deve sempre esserci in ogni persona, al di là delle proprie scelte di vita, spesso sbagliate. Lo scotto pagato da chi commette un reato, non riesce totalmente a traviare la parte positiva celata in ogni essere umano. La capacità del personaggio Antonio è quella di farla emergere dai cattivi pensieri che la mente arrovella ogni giorno durante la detenzione.

È quella attesa spasmodica, centellinata come una tortura, che diventa metafora nella messa in scena del capolavoro di Beckett. Quegli strani personaggi annullano le sbarre di un carcere per risvegliarsi attori, semplicemente interpretando se stessi. Perché la realtà rimarrà invariata, un’eterna attesa che si ripete nel tempo, tra giorni, settimane e anni da trascorrere e condividere con altre centinaia di detenuti.

Quello che rimane, pur ammettendo di voler forzare una consolazione, è rimanere umani, in grado ancora di provare emozioni e di regalarne a chi vorrà mettersi seduto ad ascoltare la voglia di comunicazione che questi uomini esternano da un copione già scritto. Una piccola illusione di poterlo riscrivere questo capolavoro di Beckett, tra frammenti di vita personale vissuta e quella voglia di libertà, mai repressa dalle sbarre, che unisce tutta l’umanità su ogni palcoscenico della vita.


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