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Lentini nella letteratura: l’ultimo libro di Santi Terranova

La lupa e il melograno / Santi Terranova ; postfazione di Alfio Siracusano. - Lentini : Duetredue Edizioni, 2017. - ISBN 978-88-99573-13-3.

di Ferdinando Leonzio - domenica 15 aprile 2018 - 5807 letture

All’ormai corposo elenco dei libri su Lentini si è aggiunto, di recente e a pieno titolo, il romanzo di Santi Terranova, intitolato La lupa e il melograno.

Si tratta di un affettuoso affresco della Lentini contemporanea, che si dibatte tra decadenza e speranza, colta in un momento in cui il vecchio modo di vivere non è del tutto scomparso, ma sta per cedere al nuovo, che puo’ essere migliore o peggiore a seconda dell’impegno e della tenacia dei cittadini.

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Copertina del libro di Santi Terranova "La lupa e il melograno"

Vi si racconta di un lentinese cinquantenne, da 15 anni emigrato al Nord che, tornato per seppellire una sorella morta, incappa in un’intricata vicenda di illecite speculazioni, che lo costringe a prolungare la sua permanenza, durante la quale lentamente fiorisce un amore casereccio-culinario, che fa riemergere in lui i colori, i sapori, gli odori, i turbamenti della sua adolescenza.

Dapprima – com’è antica vocazione dei lentinesi – egli esalta tutto ciò che è forestiero, col ritornello “A Milano queste cose non succedono…”, ma poco a poco ad avere la meglio è l’amore profondo per la sua città, tanto che alla fine egli decide di rimanervi, per costruirsi un nuovo progetto di vita con la sua Angelina, che gli ricorda sensazioni antiche che riportano alla mente del lettore il vecchio detto “moglie e buoi dei paesi tuoi”.

Nell’opera di Terranova si intrecciano filoni letterari diversi: una leggera suspence che ricorda le sottili indagini da romanzo giallo; il salone da barba, visto come centro cittadino in cui confluiscono e da cui si dipartono notizie pettegolezzi commenti che vagamente ricordano i cori del teatro greco antico; una soffusa sensualità paesana, lontana pero’ da atmosfere morbose, certamente diversa da quelle descritte da un Vitaliano Brancati o da un Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ma che sembra oscillare di continuo tra un bacio poco più che casto e un’appetitosa pietanza siciliana; una passione – questa sì decisamente sensuale - per gli antichi sapori, per il cibo genuino, per le insuperabili ricette culinarie della sua terra, per i quali l’autore - probabilmente una buona forchetta - dimostra una solida preparazione e un’antica passione; una naturale propensione all’analisi psicologica, esercitata attraverso i pensieri dei personaggi, colti nei momenti rivelatori della loro personalità; e, infine, un notevole apporto autobiografico, facilmente riconoscibile nell’azione del personaggio dell’avvocato-assessore.

A proposito di quest’ultimo, accanto al suo impegno civile e a quello, appena accennato nel romanzo, dei suoi colleghi di Giunta, e alla sua amarezza per le difficoltà quotidiane di chi amministra in condizioni difficili, non emerge un’analisi politica che approfondisca come è avvenuto che alla Lentini appassionata ed operosa, anche tumultuosa, comunque viva ed attiva, delle battaglie sindacali, delle lotte politiche e civili, delle dispute culturali, ed anche sportive, sia subentrata una Lentini sonnolenta, apatica, lamentosa e stanca, che stenta a risollevarsi dal suo torpore, cui sembra alludere l’atmosfera afosa e stagnante dell’agosto leontino, cosi ben descritta nel romanzo.

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Santi Terranova

Insomma, nel lavoro di Terranova, più che una destra e una sinistra in gara con progetti alternativi sul futuro del paese, vediamo masse sonnolenti, dedite al gossip paesano e alle solite stanche ripetitive passioni sportive, ai cui estremi agiscono e si fronteggiano una pattuglia di cittadini coscienti ed operosi e un gruppo di affaristi protesi a realizzare, anche sulla pelle della comunità, profitti e lussi.

Sullo sfondo si muovono personaggi, di contorno sì, ma anch’essi con psicologie assai ben delineate e approfondite, secondo una scelta letteraria che ha decretato il successo dei romanzi di Camilleri o dei fumetti con Tex Willer. Essi perciò si imprimono facilmente nella memoria del lettore: la badante Angelina che “cucina molto bene”, innamorata - ma con discrezione - del protagonista Natale, il maresciallo Cattani, uomo onesto, esperiente e concreto, con scarsa fiducia nelle istituzioni che pure serve lealmente, ma che è andato a votare solo per le comunali; padre Gioacchino, un religioso, paterno e un po’ ruffiano che, senza mai dirlo esplicitamente, sogna l’unione di Antonio con Angelina, sua brava parrocchiana, nonché ottima cuoca; il barbiere Nzinu quasi gemello di un celebre figaro che in città tutti i lentinesi conoscono ed amano. Una galleria di personaggi tutti ben analizzati non solo nelle loro opere, ma anche nei loro pensieri. Essi sfilano agilmente nelle pagine del libro, sostenuti da un’abile sceneggiatura che sollecita a proseguire la lettura, per “sapere come finisce”.

Ci possono essere diverse chiavi di lettura del romanzo, che può essere tante cose: una grande panoramica del mondo cittadino, che l’autore sembra conoscere molto bene; il viaggio nell’anima di un uomo che, tornato dopo tanto tempo, ritrova finalmente le sue radici; la descrizione degli ultimi spasimi di una società morente, ormai destinata a cedere il posto all’impersonalità della civiltà tecnologica; il cibo percepito come espressione di una comunità antica e forte come i suoi sapori, magistralmente descritti dall’autore; la sete di giustizia che anima alcuni che non si vogliono arrendere a nessun tipo di malaffare….; un rifiuto della rassegnazione e un messaggio di speranza.

Per dare efficacia e plasticità alla vicenda, l’autore fa largo uso di dialoghi, espressi con un linguaggio che non è più quello della civiltà contadina di una volta, ma neanche quello accademico della lingua ufficiale. Si tratta, in buona sostanza, di una miscela ben dosata di lingua e di dialetto, il quale ha bensì ceduto spazi alla lingua della scuola dell’obbligo e della televisione, ma non si rassegna a scomparire ed è perfettamente aderente all’attuale parlato, che l’autore maneggia con assoluta padronanza.

Un libro interessante, uno scrittore da tenere d’occhio.


dalla Postfazione di Alfio Siracusano

Questo è un libro giocoso, che tuttavia, come capita spesso ai libri giocosi, dice cose molto serie e pone problemi di grande valenza. Pcerché tra una caponata di melenzane e una gustosa iniziazione al succhio dei vavaluci [...] ci introduce in uno spicchio di mondo nel quale avvengono cose che hanno a che vedere con la vita vera degli uomini. Quelle semplici degli amici che si incontrano dopo quindici anni di lontananza o degli amori che nascono o si rafforzano, ma anche quelle che riguardano la salute degli uomini subordinata a loschi interessi, e sanno di discariche improponibili e di pratiche misteriosamente ingarbugliate, o che mettono in campo valori immateriali come il rispetto dovuto ai morti subordinato ai calcoli meschini dell’utile inseguito nel verminaio di squallide manovre. [...] Ma attenti alla giocosità. Quasi mai in letteratura il gioco riflette la superficialità. Il gioco può essere anche una cosa seria, anzi lo è se Huizinga teorizzò l’homo ludens, e se il grande Orazio Flacco affermò che nulla vieta ridentem dicere verum.

Alfio Siracusano



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