1939-1989:
area francese
1939-1989: area francese
Certamente uno dei punti di forza della
produzione culturale francese consiste anche nella capacità
che ha la Francia e soprattutto Paris di continuare a costituire
nel dopoguerra centro di attrazione per gli intellettuali anche
non francesi, nordamericani e dei paesi dell'est europeo, ma anche
tedeschi e italiani, africani, asiatici ecc. Ospiti culturali,
spesso esuli per motivi politici o umanitari, gli intellettuali
immigrati (temporaneamente o permanentemente), contribuiscono
- accanto alla permanenza di una importante attività editoriale
(si pensi anche all'importanza dell'editoria di consumo con il
Livre de Poche) - a fare di Paris
ancora nella seconda metà del secolo, una delle capitali
culturali del mondo. Paris così, dopo aver ospitato i profughi
provenienti dalla Germania (si pensi a Iwan
Goll, o a Celan), ospita i romeni
(Ionesco, Eliade
ecc.) e i russi, gli italiani negli anni Settanta (Negri), gli
irlandesi e inglesi. Paris funziona ancora fino agli anni Settanta
come importante cassa di risonanza per idee, mode, sensazioni,
influenze culturali.
Produzione poetica francese
Dopo la guerra, in campo poetico in Francia Francis
Ponge propone una poesia materialista chiusa nell'universo
degli oggetti. André Frénaud
canta la fraternità eroica di fronte alla sconfitta esistenziale.
Henri Michaux fa affiorare dal fondo
dell'inconscio le immagini angosciose dei nostri incubi; accanto
a Michaux è da porre Joe Bousquet.
Siamo con questi tre poeti nell'ambito dei tre filoni essenziali
della letteratura del dopoguerra: l'oggettivismo, l'esistenzialismo,
il surrealismo. A una diversa generazione, a un simbolismo post-mallarmeiano,
appartiene Yves Bonnefoy. Mentre grande
successo popolare ha Jacques Prévert
grazie anche alla sua comunicativa lirica che gli deriva dalla
frequentazione della canzone.
Al campo della poesia suggestionata da temi religiosi, quella
di Pierre Emmanuel.
L'esistenzialismo
L'esistenzialismo di Sartre
e di Camus dominano il periodo della guerra e del dopoguerra.
Un dominio culturale, che appare tale per noi lettori postumi.
Perché nella realtà storica i gruppi esistenzialisti
rimasero una minoranza, e una minoranza senza alcuna posizione
nelle istituzioni e nelle strutture culturali e di potere. Solo
dopo, negli anni '60, le istituzioni si aprirono veramente all'esistenzialismo,
quando il movimento aveva ormai esaurito la propria carica innovativa.
In più, il movimento non fu un movimento lineare.
Fu nel complesso un modo di sentire comune, il senso di un disagio
esistenziale che si cercava di esprimere, risolvendolo in vari
modi; di qui gli esiti diversi, molto spesso individuali. Con
un nucleo più consistente dato dall'influenza di Sartre,
il solo che sia riuscito per un decennio a porsi in maniera continuata
come leader di riferimento per una parte del movimento (l'esistenzialismo
sartreiano).
Nel quadro degli anni '40 e '50 dominato dalle culture e movimenti
cattolici, borghesi e conservatori, l'esistenzialismo fu il movimento
francese più innovativo e produttivo, quello attorno a
cui si riunirono gli intellettuali migliori dell'epoca. L'esistenzialismo
affonda le sue radici nella rivalutazione del valore specifico
dell'esistenza individuale, compiuta da S. Kierkegaard in polemica
con il "pensiero oggettivo" di Hegel. Trovò clima favorevole
alla propria espansione negli anni di profonda crisi che l'europa
attraversò tra le due guerre e nel secondo dopoguerra.
Gli esiti cui diede luogo l'esistenzialismo sono stati molto
diversi. Ha comunque analizzato la situazione ontologica dell'uomo,
drammaticamente sentito come essere "gettato", abbandonato nel
mondo e pertanto in rapporto ineludibile con esso, angosciato
di fronte alle possibilità che si prospettano, obbligato
alla scelta del proprio destino, nonostante il peso del condizionamento
del mondo e le limitazioni della libertà umana. A questi
temi hanno dato sviluppo filosofico Karl Jaspers e Martin Heidegger
in Germania; in parte Nicola Abbagnano in Italia; M. Merleau-Ponty,
J. Wahl, G. Marcel e soprattutto J.P. Sartre in Francia.
Il pensiero espressionista, per lo stretto legame che intrattiene
con i molteplici aspetti del quotidiano e per la costante riflessione
sulla vita e sui rapporti tra gli altri e con le cose, ebbe sviluppi
fecondi anche in letteratura. Sartre stesso scrisse numerosi drammi
e romanzi, tra cui La nausea (1938), romanzo filosofico che descrive
un uomo di fronte alla coscienza della propria situazione ontologica.
Simone de Beauvoir, che comunque va
ricordata soprattutto per il suo impegno civile più che
per i risultati nel campo strettamente letterario, indaga nei
suoi romanzi le condizioni nelle quali avvengono le scelte e gli
atti dei protagonisti; in Il secondo sesso (1949), classico della
letteratura femminista, si fonda su coordinate del pensiero esistenzialista
per delineare il ruolo della donna nella storia.
All'esistenzialismo fa in parte riferimento Albert
Camus che nel romanzo Lo straniero
(1942) mette in rilievo l'assenza di giustificazione dell'esistenza.
L'esistenzialismo trova nel passato e nel recente passato
una serie di precedenti e autori di riferimenti, in campi ed esiti
anche piuttosto eterogenei. Da Kierkegaard a Heidegger. L'esistenzialismo
riproposto in maniera composta e intellettuale da Sartre, e attuato
da una vasta schiera di divulgatori e epigoni, ha come elemento
centrale non più il cattolicesimo né gli esiti del
decadentismo in chiave nazista, ma il marxismo. In questo senso
esso rappresenta una eresia all'interno del marxismo o, se si
vuole, il tentativo di aprire il marxismo al moderno delle società
occidentali, oltre le fossilizzazioni del dogmatismo stalinista.
Non è un caso che in un testo fondamentale del nuovo esistenzialismo,
come la "Questione di metodo" (Question de méthode, 1957)
di Sartre, il nome di Heidegger sia del tutto assente mentre nel
resto degli scritti di Sartre ricorre pochissime volte.
Heidegger è tra i fondatori dell'esistenzialismo, ma
i suoi esiti (l'appoggio al nazismo e la sua giustificazione filosofica)
sono ora inaccettabili alla migliore intellettualità europea.
Si racconta che Sartre abbia incontrato una sola volta Heidegger,
in Germania nel 1952: il dialogo consistette nella richiesta da
parte di Sartre di una medicina per il suo raffreddore incipiente,
con pronta risposta da parte di Heidegger. A parte l'aneddotica,
siamo dentro uno dei punti fondamentali della storia culturale
dell'epoca, ciò che serve a capire le differenze, che sono
fondamentali, tra due diversi modi di porsi rispetto non solo
ai fatti culturali e filosofici, ma rispetto agli uomini. In "Essere
e nulla" (1943) il cui titolo riprende quello di uno degli scritti
fondamentali di Heidegger (Essere e tempo), Sartre dedica a Heidegger
alcune pagine, prima di parlare del cuore fenomenologico dell'opera,
l'analisi dello «sguardo» che rivela in modo improvviso e immediato
«l'esistenza degli altri». Heidegger per Sartre è il pensatore
che più di ogni altro ha tentato di «far uscire la 'realtà
umana' dalla sua solitudine», di superare l'antichissimo «scoglio
del solipsismo». «Con il suo modo brusco e un po' barbaro» perché
«definitorio», Heidegger secondo sartre ha stabilito che «la caratteristica
d'essere della realtà umana è di essere il proprio
essere con gli altri». Ma l'essere-con (il «mit-sein» heideggeriano)
se apre uno spiraglio sulla socialità strutturale dell'esistenza,
la riassorbe in una solidarietà coatta: «L'essere-con heideggeriano
non è la posizione chiara e distinta di un individuo di
fronte a un altro individuo [...] è la sorda esistenza
in comune del vogatore con la sua squadra»: per questo Heidegger
«non sfugge all'idealismo», trascina gli altri in una «solitudine
in comune», una solitudine ultrasolipsistica perché ispirata
all'autenticità solipsistica dell'«essere per la morte».
Per Heidegger c'è l'Altro, ma non ci sono gli altri. Scrive
Sartre alcuni anni dopo ("Critica della ragione dialettica", 1960):
«ogni filosofia che subordini l'umano all'Altro dall'uomo, sia
esso idealismo esistenzialista o marxista, ha per fondamento e
per conseguenza l'odio dell'umano. Bisogna scegliere: o l'uomo
è anzitutto sé stesso, o è anzitutto Altro
da sé. E se si sceglie la seconda dottrina, vuol dire semplicemente
che si è vittima e complice dell'alienazione reale».
Il problema di quegli anni è duplice: da una parte contrapporsi
alla realtà, data dall'alienazione e dallo sfruttamento
propri di una società capitalistica, dall'altro andare
oltre gli strumenti tradizionali della contrapposizione al capitalismo,
provenienti tradizionalmente da due filoni estremi, entrambi sentiti
come inadeguati, oltre che portatori di immani tragedie (i forni
crematori nazisti, i gulag stalinisti). Fino agli anni '60 l'esistenzialismo
fu un tentativo di questa risposta culturale.
Altre tendenze narrative
Negli anni tra la guerra e gli anni '60 l'esistenzialismo non
esaurisce certo la complessità della fiction narrativa
e della produzione letteraria francese. le tendenze narrative
sono varie, proprie di una regione che si pone tra quelle culturalmente
più avanzate nel mondo. Possiamo qui fare riferimento a
due autori opposti (e anche diversi per resa narrativa e "tenuta"
stilistica), come Georges Bataille,
e un minore come Léo Malet. Mentre
al realismo di stampo socialista fa riferimento Roger Vailland.
Lo sperimentalismo degli anni '60
L'"école de regard"
Dal 1958 si comincia a parlare di «nouveau roman», nuovo romanzo.
E' quella che chiamiamo qui école du regard (scuola dello
sguardo), anche se non fu propriamente una 'scuola' in senso canonico,
ma un clima culturale. Una serie di scrittori decostruiscono,
da fronti diversi, le strutture narrative tradizionali servendosi
di monologo interiore, flusso di coscienza, sottoconversazione,
descrizione fenomenologica di gesti e oggetti ecc. E' un antiromanzo
iniziato da Nathalie Sarraute con "Tropismi"
(1938) e poi con i successivi del dopoguerra ("Ritratto di un
ignoto" 1956 ecc.). Seguito da Alain Robbe-Grillet con "Le gomme"
(1953) e dalle opere successive che intendono porsi come momenti
di descrizione freddamente oggettiva della realtà eliminando
ogni preoccupazione di tipo psicologico, Michel
Butor con "La modifica" (1957) fino a Georges
Perec con cui viene a perdersi la distinzione di genere (romanzo,
diario, saggio, registrazione di eventi, pensieri, discorsi ecc..
Manifesto dell'école-du-regard può essere considerato
il saggio di Robbe-Grillet "Una via
per il romanzo futuro" (1956), ma fondamentale è anche
il saggio di Butor "Il romanzo come ricerca" (1955) che esprime
compiutamente gli intenti dell'école-du-regard. Allo stesso
Robbe-Grillet, sceneggiatore e regista, si deve lo stretto rapporto
tra ricerca letteraria e cinema.
Negli anni '60 gli stimoli sollevati dall'école-du-regard
ha trovato uno sviluppo nel più generale dibattito sulla
produzione letteraria, affrontato in particolare dalla cosiddetta
"nouvelle critique". In effetti l'école-du-regard più
che fondare una nuova scuola letteraria ha avviato una proficua
riflessione critica sulle possibilità della letteratura
nelle nuove condizioni storico-sociali del dopoguerra.
La ricomposizione narrativa
Autori come Robbe-Grillet, Butor, Perec rappresentano le punte
più sperimentaliste e di rottura dell'école-du-regard.
Altri autori invece riformano le strutture narrative tradizionali,
ammodernando linguaggi e tecniche, pur restando all'interno di
un patto narrativo di comunicazione con i lettori. A questi altri
autori si deve la crescita di un pubblico medio (di lettori) più
evoluto, e il ricongiungimento con correnti di pensiero e letterarie
innovative del secolo (es l'esistenzialismo e surrealismo). La
rottura dell'école-du-regard è così assimilata
nel mutamento culturale in atto in europa negli anni '50 e '60.
Al laboratorio dell'école-de-regard si affiancano, ma
con modi diversi e sotto l'influsso di elaborazioni provenienti
dal surrealismo, dall'esistenzialismo e dalle maggiori correnti
e idee del secolo, l'immigrato irlandese Samuel Beckett, André
Pieyre de Mandiargues, Julien Gracq,
Marguerite Yourcenar, Michel
Tournier, Philippe Sollers. Sperimentalismo
ma anche capacità comunicative, nel bene e nel male, ha
Marguerite Duras. Più coerente
con le istanze dello sperimentalismo, Raymond
Queneau che nel 1960 fondò l'"Ouvroir de littérature
potentielle" (Oulipo), che divenne ben presto un importante
punto di riferimento per la sperimentazione letteraria europea.
Fine secolo francese
A continuare i canoni della tradizione della letteratura "maledetta"
francese ci pensa la tragica vicenda di Cyrill
Collard, autore dell'autobiografico romanzo Le notti selvagge.
Quella dell'AIDS si pone negli anni '80 tra i problemi più
strombazzati nella pubblicistica dell'epoca, anche per la serie
di temi che si vanno a confondere e rispecchiare. Un problema
che proprio per questo finisce poi per diventare fuorviante -
a parte il caso tragico delle vittime (ma non dobbiamo dimenticare
che numericamente questa epidemia resta tra le meno diffuse e
portatrici di morte dell'epoca). Alla descrizione degli effetti
della malattia si collega anche un altro autore, morto anch'egli
(dicembre 1991) a 36 anni, Hervé
Guibert. Ma rispetto a Collard con meno esibizioni da 'maudit',
anche se i risultati sul piano letterario sono limitati alla descrizione.
Guibert è stato tra l'altro il primo a filmare la propria
malattia e morte nel video Il pudore o l'impudore (La pudeur ou
l'impudeur).
A un tipo di letteratura che fonde la satira con un senso della
letteratura "impegnato", con valenze dunque sociali e politiche,
si ricollega Daniel Pennac, la cui produzione
si trova a metà strada tra quella di un Dürrenmatt
e un Benni.
Produzione teatrale francese
In campo teatrale si afferma la problematica esistenziale
senza novità formali ma con una notevole tensione ideologica.
Sono i lavori di Camus e Sartre. Elementi realistico-grotteschi
nel teatro di Marcel Aymé.
Il teatro dell'assurdo
Intorno agli anni '50, nei teatrini della Rive Gauche Parisna,
il "nuovo teatro" ad opera di tre immigrati: l'armeno Arthur
Adamov, l'irlandese Samuel Beckett,
il romeno Eugène Ionesco. A
essi si aggiungono Boris Vian, Jean
Tardieu, Jean Genet, Fernando
Arrabal; ma in europa sono anche Harold Pinter, e il minore
Dino Buzzati.
Teatro d'avanguardia, invenzioni sceniche, l'uso corrosivo del
linguaggio e dell'assurdo sono le caratteristiche di questo teatro.
Per esso il critico e saggista *M. Esslin coniò la definizione
di «teatro dell'assurdo», soprattutto con riferimento ai tre testi
rappresentati all'inizio degli anni '50 dai tre principali autori:
"La cantatrice calva" (1950) di Ionesco, "La grande e la piccola
manovra" (1950) di Adamov, "Aspettando Godot" (1952) di Beckett.
L'«esperienza dell'assurdo» ha la sua radice nelle 'filosofia
dell'esistenza', in particolare Sartre, Heidegger, Jaspers, Camus,
Gabriel Marcel. In campo strettamente teatrale l'antecedente è
il surrealismo di Jarry. I testi teatrali degli autori dell'assurdo
non intendono trasmettere delle informazioni, né presentare
i problemi o i destini di personaggi, né esporre tesi o
discutere ideologie. Ma solo tradurre in un coerente reticolo
di immagini poetiche la realtà interiore. Dal punto di
vista linguistico, alla frantumazione esteriore di Ionesco e di
Tardieu si contrappongono la violenza di Vian e di Adamov, e soprattutto
la densità letteraria e esistenziale di Beckett.
Il teatro dell'assurdo ha avuto grande fortuna di pubblico e
presso i teatranti, ma scarsa influenza nello sviluppo delle nuove
forme teatrali, per le sue caratteristiche di esperienza 'al limite'
e ultimativa. Oltre è il silenzio o il suicidio.
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