Area
italica nel Settecento
Area italica nel Settecento
[
Classicismo nel primo
Settecento] [
L'Arcadia] [
Il
Melodramma] [
Il teatro nel primo Settecento]
[
La seconda metà
del Settecento] [
Lingue regionali
e poesia] [
L'Illuminismo] [
L'Illuminismo
lombardo] [
La pubblicistica
illuminista] [
Produzione poetica
nella seconda metà del Settecento] [
Teatro
nella seconda metà del settecento] [
Narrativa
nella seconda metà del settecento] [
I
non-illuministi]
Lo spezzettamento politico e culturale della penisola, e la
dipendenza degli stati italici dall'estero continua anche nel
XVIII secolo, come nel secolo precedente. Tuttavia si assiste
a un graduale lentissimo miglioramento delle condizioni di vita.
Le pestilenze del secolo precedente che mietevano vittime tra
la popolazione hanno un momento di tregua, anche se continuano
le epidemie locali (soprattutto malaria tubercolosi ecc.). Una
certa stabilizzazione esiste, soprattutto nel centro e nel nord
della penisola. I centri culturali maggiori sono Napoli e Milano,
specie nella seconda metà del secolo. Nella prima parte
del XVIII secolo si assiste a una reazione antibarocchista di
tipo classicista; a essa farà seguito nella seconda metà
al manifestarsi di istanze illuministiche.
Classicismo italico del primo XVIII secolo
In posizione antibarocchista e pre-illuministica l'attività
culturale di un erudito come Ludovico A.
Muratori (1672\1750), che considerava le cose prodotte nel
secolo precedente come opere di decadenza e cattivo gusto. Siamo
nell'àmbito di un movimento di idee e intellettuali che
cerca di reagire a una situazione di sclerosi culturale. Essi
di fronte a quelle che considerano una degenerazione, propongono
un ritorno alle fonti classiche greco-latine e a un gusto più
equilibrato. E' un movimento classicista, che si avvale soprattutto
del lavoro intellettuale di un nutrito gruppo di scrittori e letterati,
sparsi un po' in tutta la penisola: insegnanti, traduttori (come
Girolamo Pompei ecc.), quadri intermedi
che costituiscono il background di una cultura e di un'epoca.
E' un neoclassicismo quello che circola in Italia, che deriva
in gran parte dal modello culturale dato dalla Francia di Luigi
XIV, e che sta alla base anche delle ricerche di Gian Battista Vico .
A dare il maggior impulso al superamento del barocchismo nel
primo XVIII secolo italico fu la fondazione dell'Accademia dell'Arcadia.
Gian Vincenzo Gravina la fondò insieme a Giovanni Mario
Crescimbeni e a un altro gruppo di letterati già orbitanti
attorno al salotto di Cristina di Svezia a Roma. L'Accademia dell'Arcadia
fu in Italia il maggior centro di irradiazione della cultura neoclassicista.
Con Gravina difensore della tradizione classicista e Baretti paladino
del nuovo e del modernismo, si avviò anche in Italia come
in Francia una disputa su antichi e moderni. Muratori mantenne
in questa polemica una posizione più equilibrata. L'intellettuale
forse più famoso, a livello europeo, di questa tendenza neoclassicista
elegante e disimpegnata è Pietro
Metastasio che si occupò di versi e di melodrammi così
come in precedenza Apostolo Zeno.
L'accademia dell'Arcadia
Nel 1690 a Roma, durante una riunione di letterati che avevano
fatto parte del circolo di Cristina di Svezia (che era morta a
Roma nel 1689), il senese Agostino Maria Taja avendo sentito recitare
alcuni componimenti pastorali, esclamò : "Sembra che
abbiamo oggi rinnovato l'Arcadia!" («Egli sembra che noi
oggi abbiamo rinnovato l'Arcadia!»), alludendo alla regione della
Grecia anticamente popolata di soli pastori. La frase suggerì
il nome per la nuova accademia, fondata in quello stesso anni.
Essa aveva tutto un complesso di norme e di riti: ogni componente
prese un nome da pastore greco, il presidente ebbe l'appellativo
di "custode", l'insegna fu la siringa di Pan, il luogo
di riunione venne battezzato "bosco Parrasio", l'archivio
"serbatoio"; Cristina di Svezia fu nominata basilissa,
Gesù Bambino protettore. Le sedi accademiche costituite fuori
Roma vennero dette "colonie" (la "colonia"
a Milano fu fondata nel 1704).
L'Arcadia fu la prima accademia a carattere nazionale italiana.
[L'Accademia dell'Arcadia esiste tuttora, anche se ha perso il
carattere e l'influenza originaria. Esiste come istituzione senza
funzioni. Dal 1925 ha preso il sottotitolo di Accademia letteraria
italiana] , e dominò il gusto poetico per quasi mezzo secolo.
Non vi era concordanza assoluta sul modo di intendere la poesia,
ma comune fu la volontà di opporsi al "cattivo gusto"
e all'ampollosità del barocchismo, il bisogno di ritrovare
un linguaggio semplice e spontaneo, che rispondesse in poesia
all'esigenza di chiarezza e naturalezza diffusasi in europa attraverso
i princì pi del razionalismo cartesiano. Allo stesso bisogno
avevano cercato di dare una risposta, ma in un ambito più locale,
nel XVII secolo, il gruppo toscano con i poeti-scienziati galileiani
L. Bellini, L. Magalotti e F. Redi.
Fin dall'inizio nella vita dell'accademia si profilarono due tendenze:
l'una rappresentata da Gravina , il
"legislatore" dell'Arcadia, fautore di un classicismo
integrale e di una poetica mitico-didascalica, che doveva scegliere
i modelli tra i greci antichi e in Alighieri. L'altra rappresentata
da Crescimbeni , che fu il "primo
custode" dell'accademia, che insisteva sull'opportunità
di ricollegarsi al petrarchismo del XVI secolo e all'anacreontismo
di Chiabrera, per elaborare una poetica idillica, centrata sull'ideale
correttezza e leggiadria, sul canto melodrammatico, sul moderato
realismo elegante, sull'evidenza chiara e ragionevole. Il contrasto
tra le due posizioni portò allo scisma del 1711, e alla
fondazione di una seconda "arcadia", che divenne poi
l'Accademia dei Quirini, in cui confluì il gruppo graviniano.
All'interno dell'Arcadia invece e a livello italiano, prevalse
il programma di Crescimbeni, più superficiale e limitato, ma proprio
per questo più rispondente alle moderate aspirazioni di rinnovamento
della cultura media e mediocre del tempo. L'arcadismo fu gradito
anche dalle gerarchie ecclesiastiche, giacché rigorosamente
chiuso alle proposte filosofiche laicistiche e anticuriali che
fermentavano nei vari centri della penisola e soprattutto nel
meridione: e non a caso il calabrese Gravina proveniva da quelle
regioni. Le autorità religiose si servirono così
anche dell'Arcadia per imbrigliare e neutralizzare le nuove istanze,
l'Arcadia divenne strumento di degradazione del razionalismo.
Trionfarono il petrarchismo, alleggerito e illegiadrito secondo
i canoni del corrente "buon gusto": a esso si dedicarono
in special modo alcuni arcadi bolognesi: Manfredi
, Ghedini , i fratelli Zanotti, Schiavo. Al sonettismo anacreontico
e patetico si dedicarono Petronilla Massimi , Faustina Zappi
e Giambattista F. Zappi . Un tipo di religiosità pastoral-gesuitica
espressero Cotta e Tommaso Ceva .
Paolo Rolli e Tommaso
Crudeli avviarono sviluppi classicistico-rococò , mentre
Metastasio diede voce poetica al gusto arcadico per il canto e
il melodramma. Con Carlo I. Frugoni siamo
nell'ambito di un classicismo cortigiano: egli si trova già
in una generazione successiva.
Tutte queste tendenze sono ampiamente rappresentate nei 13 volumi
delle Rime degli Arcadi (1716-1780). Il primo "tomo"
del 1716 porta la dedica a Francesco Maria Ruspoli principe di
Cerveteri.
Il melodramma
Grande fama hanno in europa, presso le corti e le istituzioni
di potere, i librettisti italiani. Pensiamo soprattutto, oltre
a Paolo Rolli , a Apostolo Zeno e,
importantissimo nella storia del melodramma, Pietro Metastasio. Legato al nome di Mozart è quella
del librettista Lorenzo Da Ponte.
Produzione teatrale
In campo teatrale in commedia modello sono Moliè re e
i francesi. Il teatro italico ne ha una salutare ripresa, grazie
soprattutto ai toscani Giovan Battista
Fagiuoli , Iacopo Angelo Nelli ,
Girolamo Gigli .
Nel campo della tragedia, Gravina cercò
di ispirarsi ai classici greci, con effetti scolastici; Pier Iacopo Martello si rifece ai francesi moderni; la
Merope di Scipione Maffei ebbe un grande
successo.
Seconda metà del XVIII secolo
Nella seconda metà del XVIII secolo la tenue vena poetica
dell'Arcadia si esaurì. L'accademia romana si ridusse a
convenzione letteraria, palestra per acclamati "improvvisatori"
come l'allora celebre Corilla Olimpica (cioè Maria Maddalena Morelli ). La sua celebrità raggiunse
l'apice nel 1776 quando fu incoronata in Campidoglio. L'Arcadia
non fu in grado di assorbire le nuove poetiche che dall'illuminismo
si evolvevano in direzione neo-classicista o preromanticista.
Baretti e Bettinelli scrissero per primi parole di severa condanna
contro la pastorelleria, la rimeria evasiva e estemporanea. Con
il romanticismo l'aggettivo "arcadico" divenne sinonimo
di superficiale, astratto, lezioso, pur continuando a influenzare
i letterati (influssi arcadisti sono presenti anche in Foscolo
e Leopardi). Se tra arcadismo e illuminismo si muove Giovanni Meli , la parzialità dei risultati poetici
da lui raggiunti mostra come l'arcadismo sia ormai decisamente
fenomeno improduttivo. L'illuminismo da parte sua fu più efficace
per il rinnovamento culturale generale del pensiero che portò
più che per risultati specifici in campo letterario e della fiction.
Le cose migliori vengono in questo campo dal teatro.
Produzione poetica dialettale
Minori ma non secondari, nel panorama della produzione del XVIII
secolo furono alcuni poeti che si espressero nelle lingue italiche
regionali. Si ricordano: il milanese Balestrieri , il siciliano Meli e Domenico Tempio, il veneziano
Lamberti .
L'illuminismo italico del secondo XVIII secolo
Illuminismo napoletano L'illuminismo comincia a essere operante
in Italia, dopo un periodo di preparazione con le correnti neoclassiche,
nella seconda metà del XVIII secolo, con centro di irradiazione
da Napoli. Qui operano Antonio Genovesi, Francesco Mario
Pagano, il filosofo del diritto Gaetano Filangieri (1752\1788),
l'abate Galiani, che con entusiasmo
si dedicano a elaborare idee propositrici un cambiamento culturale
ma anche sociale: essi sono alla base dell'esperienza (disastrosa)
della Repubblica napoletana del 1799.
Molto interessanti gli abati riminesi le cui attività si
innestano a cavallo tra erudizione e nuova scienza: è così
il caso dei Lincei Riminesi di Giovanni Bianchi (1745) [su cui
è possibile leggere il
denso saggio di *Antonio Montanari].
A fare da anello di congiunzione tra illuminismo napoletano e
illuminismo lombardo, e tra illuminismo italiano e romanticismo,
Vincenzo Cuoco.
Illuminismo lombardo
"Il Caffè " Meno teorici e forse più pratici
e legati alla società in cui vivono, gli illuministi lombardi
raccolti nel 1764-1766 attorno alla rivista «Il Caffè ».
Il periodico fu fondato e pubblicato a Milano, anche se stampato
a Brescia (allora sotto dominio veneziano). Ogni dieci giorni,
dal giugno 1764 al maggio 1766, i fascicoli furono spediti (piegati
in quattro) agli iniziali 100 abbonati lombardi e 50 toscani.
Negli ultimi mesi del 1766 la pubblicazione fu sospesa, ma fu
completata e pubblicata nell'ottobre 1766. «Il Caffè »
conterà infine un totale di 74 fogli rilegati in due volumi,
tirati in 500 copie (più della media di analoghe iniziative Parisne).
Il titolo della testata fu scelto apposta, lontano dalla tipologia
di quelle che fregiavano le riviste erudite e accademiche del
tempo, vicino a quelli di giornali inglesi come «The Spectator»
di Addison e «The Tatler» di Steele. «Il Caffè » finge
di riportare le conversazioni cò lte nella bottega di un
caffettiere greco, Demetrio, stabilitosi a Milano. Animatore dell'impresa
e responsabile della redazione fu Pietro Verri . Con lui collaborarono il fratello Alessandro,
Cesare Beccaria , e inoltre Gianrinaldo
Carli , Giuseppe Colpani , Carlo Sebastiano Franci, Paolo
Frisi , Luigi Stefano Lambertenghi, Alfonso Longo, Pietro
Francesco Secchi Commeno, Giuseppe Visconti di Saliceto, Carlantonio
Pilati .
Soprattutto il primo tomo è caratterizzato dal tono discorsivo
e dalla presenza di aforismi riempitivi - spiccano per ironia
quelli di Alessandro Verri e Beccaria -. Nel secondo tomo sono
articoli di maggior mole e dottrina filosofica giuridica e politica,
soprattutto firmati dai fratelli Verri e dai loro amici.
Quasi tutti i collaboratori erano soci dell'Accademia dei Pugni,
che era stata fondata nel 1761. Tranne il Biffi le cui proposte
furono ritenute troppo avanzate da Pietro Verri che nell'ambito
della redazione fungeva da revisore-censore. Molti di loro avevano
partecipato e partecipavano all'operoso governo della lombardia
asburgica. L'analisi morale della società contemporanea
consentì la discussione su istituti vigenti ma sentiti
decisamente superati. Così Longo sottolineò la mancanza
di validità etica giuridica e economica dei fede-commessi,
Franci scrisse "Sulla questione se il commercio corrompa
i costumi e la morale" e sul "Lusso delle manifatture
d'oro e d'argento". Confortati anche dal successo del trattato
"Dei delitti e delle pene" di Beccaria, i collaboratori
al «Caffè », e soprattutto i due Verri , combatterono contro
la legislazione retrograda del tempo. La rivista, che evitò
con estrema prudenza di affrontare in maniera diretta argomenti
politici filosofici e religiosi di carattere generale, intervenne
anche sulla questione della lingua polemizzando contro l'eccessiva
pedanteria e il vuoto formalismo. Famosi gli articoli sulla "Rinunzia
al Vocabolario della Crusca" di Alessandro Verri, "Sui
parolai e sullo spirito della letteratura italiana" di Pietro
Verri. In essi è l'esigenza di disporre di una lingua nuova,
attenta alle proposte delle civiltà mercantili e industriali
europee. Si vuole uscire dalla fissità linguistica classicista,
aprire le porte al lessico francese. Nell'introduzione al secondo
tomo della rivista, "De' fogli periodici", Cesare Beccaria
scrive sull'efficacia delle riviste:
«Entrate in una adunanza ove siano libri e fogli periodici,
troverete che ai primi si dà per lo più un'occhiata sprezzante
e sdegnosa ed ai secondi un'occhiata di curiosità che vi
fa leggere e fa legger tutti gli altri; e come la circolazione
del denaro è avvantaggiosa, perché accresce il numero
delle azioni degli uomini sulle cose, così la circolazione
dei fogli periodici aumenta il numero delle azioni della mente
umana, dalle quali dipende la perfezione delle idee e de' costumi.
[...] Se vi è speranza di una simile mutazione, se le cose
scritte possono cangiare le direzioni del costume, ciò
devesi sperare da' fogli periodici piuttosto che da ogni altra
sorta di scritto. [...] Il vero fine di uno scrittore di fogli
dev'essere di rendere rispettabile la virtù , di farla amabile,
d'inspirare quel patetico entusiasmo per cui pare che gli uomini
dimentichino per un momento se stessi per l'altrui felicità
; il di lui scopo è di rendere comuni, familiari, chiare
e precise le cognizioni tendenti a migliorare i comodi della vita
privata e quelli del pubblico; ma questo scopo dev'essere piuttosto
nascosto che palese, coperto dal fine apparente di dilettare,
di divertire, come un amico che conversi con voi, non come un
maestro che sentenzi. [...] I fogli periodici debbono essere una
miniera di tentativi e di suggerimenti [...]. L'agricoltura, le
arti, il commercio, la politica sono quelle cognizioni che ogni
cittadino non manuale dovrebbe meno ignorare; feconde di nuove
produzioni, possono appagare la curiosità di ciascuno,
e più universalmente coltivate conducono alla felicità
d'uno Stato. La fisica e la storia naturale sono una miniera inesausta
di ricerche e di avvantaggiosissime scoperte ed hanno una connessione
più generale e più estesa colle scienze che paiono anche più remote
da quelle che non si crede volgarmente da alcuni. [...] Finalmente
i fogli periodici non tanto devon servire ad estendere le cognizioni
positive, quanto contenerne molte di negative, vale a dire a distruggere
i pregiudizi e le opinioni anticipate che formano l'imbarazzo,
il difficile e, direi quasi, il montuoso e l'erto di ogni scienza;
ad ogni verità grande ed interessante mille errori e mostruose
falsità stanno d'attorno che la inviluppano e la nascondono
agli occhi non sagaci, ed è questo sicuramente una gran
parte della scienza dei secoli più illuminati; essi travagliano
più distruggere che ad edificare, e così facendo edificano
insensibilmente».
Interessante anche l'accenno di Beccaria alle riviste letterarie:
«Ciascuno ne conosce l'utilità e l'Europa ne abbonda;
ma non tutti veggono gl'importantissimi difetti che accompagnano
per lo più questa sorta di produzioni; moltissimi non sono esatti,
trascurano di parlare di quei libri gli autori de' quali hanno
trascurato d'inviarne loro la notizia, quasi che l'utile non indifferente
che ne ricavano non esigesse da loro per giustizia le opportune
pratiche per le necessarie corrispondenze. Alcuni, in luogo di
dare un estratto fedele del libro, perdono il tempo in preamboli
e prefazioni, nelle quali spicca bensì l'ingegno dell'autore,
ma si stanca al fine di un giornalista. [...] Altri, cedendo all'ambizione
di divenire dittatori della liberissima repubblica delle lettere,
giudicano con sovrana autorità in ogni scienza, in ogni
classe dell'intera enciclopedia; quindi continui disinganni ricevono
coloro che si dan la pena di confrontar le opere co' giornali
che ne parlano [...;] i giudizi si vendono a prezzo o sono dettati
dalla contemplazione e dagli offici e dall'odio e dallo spirito
di partito avvelenati [...]. Sembrami che la più utile forma che
dar si potrebbe alle novelle letterarie sarebbe quella che più
difficilmente potrà trovar chi vi si accinga, perché
più modesta e meno brillante, cioè una fedele, completa
e esatta notizia d'ogni libro, contenente la divisione e l'indice
delle principali materie che vi si trattano, il sesto, il prezzo,
il pregio dell'edizione e lo spaccio di essa, senza giudizio,
senza prefazioni e complimenti, lasciando che l'estratto faccia
conghietturare da se stesso del valore del libro».
Conclude il suo articolo di prefazione con l'accenno al lavoro
svolto dal «Caffè ». La convinzione di Beccaria, e quella
dei suoi amici è che «sarem letti se saremo ragionevoli,
non lo saremo [letti] se cesseremo di esserlo». L'obiettivo di
«acquistare un buon cittadino di più alla patria, un buon marito,
un buon figlio, un buon padre ad una famiglia», secondo quello
che sarà il tipico ideale borghese.
«Il Caffè » fu un momento importante nella storia dell'evoluzione
delle riviste in Italia. Le gazzette si evolvono da strumento
di divulgazione culturale come il «Giornale dei Letterati» che
usava la tecnica del riassunto, a gazzette che esprimono singole
personalità con vere recensioni, ironiche note di costume
e polemiche: come le «Novelle letterarie» di Lami, la «Gazzetta
veneta» di Gozzi, «La Frusta letteraria» di Baretti. Fino a diventare
centro aggregativo e propulsivo. Con significativi mutamenti interni
dettati dalla progressiva acquisizione di consapevolezza da parte
di una classe intellettuale (i caffettisti) che alle «sospensioni
di giudizio» di una «Gazzetta veneta» o alle polemiche della «Frusta»,
contrappongono una concezione tecnico-operativa dell'intellettuale,
attento alle più varie manifestazioni della realtà 'scientifica'
del tempo: dall'ottica alla meteorologia, dal gioco del Faraone
agli odori. E soprattutto si sforzano di una lingua che abbia
alta valenza comunicativa.
La polemica che esibì «La Frusta letteraria», ovvero Baretti,
di fronte all'iniziativa dei fratelli Verri, ha tutto il sapore
dell'astio letterario, l'insulto gratuito ai Verri come «politicanti
infranciosati» e «coglioni nati per far scarpe che vogliono pur
far libri». Quello di Verri fu un tentativo di inserirsi nei gangli
vitali dello Stato con funzione catalizzatrice. Un tentativo solo
parzialmente riuscito, necessitato com'era ad abdicare di fronte
a temi più prossimi all'esercizio del potere. Fu un momento felice
e irripetibile d'incontro di personalità differenti, destinato
a sfilacciarsi subito dopo: con spie già presenti prima
della fine, fughe come quella di Alessandro Verri nella Roma papalina,
malsopportazioni e odi come quelli tra Beccaria e Verri. «Il Caffè
» fu il desiderio di concretezza di un gruppo di intellettuali,
arresosi allo stadio della progettualità .
Per comprendere la portata, ma anche certi limiti, del movimento
illuministico italico, si pensi alla vicenda di un libello come
le "Osservazioni sulla tortura" di Pietro Verri. Il
dibattito sui problemi dell'amministrazione della giustizia è
estremamente vivo all'interno dell'Accademia dei Pugni: da questi
dibattiti nasce "Dei delitti e delle pene" di Cesare
Beccaria , ma anche una "Orazione panegirica sulla giurisprudenza
milanese" (1763) di carattere comico-parodica, di Pietro
Verri (che se la prende con i «pretesi begl'ingegni [...] sfaccendati
critici che credettero di trovare mal proporzionate le pene ai
delitti nel sacro nostro Codice»). Il successo di Beccaria (che
in Francia fu edito da Diderot e commentato da Voltaire) porta
a una frattura nel gruppo: Beccaria tace sull'apporto dei fratelli
(Alessandro e Pietro) Verri al trattato, e sulla loro "Risposta"
ai detrattori dei suo volume. Da questo contrasto prendono le
mosse le "Osservazioni" di Pietro Verri, una specie
di rivalsa contro «l'esilità concettuale del libretto del
Beccaria»: del 1770 la prima stesura e la scoperta sconvolgente
dei "Verbali del processo agli untori"; nel 1776 una
seconda stesura, il trattato diventa un vero trattato filosofico-morale
contro giudici «ignoranti quanto il popolo [che] in tanta calamità
perdettero tutti la testa e il cuore». Ma, e qui si evidenziano
i limiti di cui dicevo dell'azione di questi borghesi, il trattato
rimane inedito. C'era stato, il 19 aprile 1776, una presa di posizione
da parte del Senato della città di Milano contro il provvedimento
di Maria Teresa che aboliva la tortura e riduceva la pena di morte.
Una presa di posizione predisposta dal Reggente del Senato, il
conte Gabriele Verri, padre di Pietro. Pubblicare il trattato
significava inimicarsi in famiglia e contro una opinione pubblica
di potenti. Pietro confessa di non essere «nato con un cuore di
leone» e lascia il trattato inedito. Esso sarà pubblicato
solo dopo che nell'impero fu abolita la tortura e il Senato soppresso.
Sarà Manzoni a riprendere quella battaglia, in altra epoca
(pur con problemi così simili...). E' una vicenda che illumina
significativamente un aspetto non secondario dell'illuminismo,
in una provincia piccola ma non secondaria dell'impero.
Mentre con il più giovane Alessandro
Verri siamo all'anello di congiunzione tra illuminismo e pre-romanticismo,
tutto all'interno dell'illuminismo rimane Pietro
Verri .
Pubblicistica illuministica
Agguerrita la critica letteraria, pronta alla stroncatura anche
dei grandi scrittori del passato (Baretti, Bettinelli); si ripensa
la tradizione letteraria italiana. Sorge una polemica sulla lingua,
tra puristi toscanofili e modernisti. Bilancio moderato alle polemiche
linguistiche del gruppo illuminista è dato dal "Saggio
sulla filosofia delle lingue" (1785) di Cesarotti. Al gruppo
appartennero, oltre a Cesarotti che ha importanza per il pre-romanticismo,
sono da ricordare Giuseppe Baretti, Francesco Algarotti,
Saverio Bettinelli, Gasparo Gozzi ecc.
Produzione poetica
In poesia i risultati non sono molto buoni. Essi cercarono di
inserire temi scientifici e filosofici ma senza uscire dalle forme
tradizionali. Il migliore risulta Giuseppe
Parini , per cui la poesia deve attingere alla realtà
quotidiana e mirare al miglioramento civile.
Produzione teatrale
Nella seconda metà del XVIII secolo il teatro italico,
soprattutto nel campo della commedia, passa dalla assimilazione
dei modelli francesi a modi più originari, soprattutto grazie
alla riforma apportata dalla commedia dell'arte. Una "riforma"
che si deve soprattutto al veneziano Carlo Goldoni (1707\1793), sensibile a un teatro realistico,
vivace per invenzione e trama, popolare ma letterariamente sorvegliato.
La sua attenzione al quotidiano scatenò la polemica di
Carlo Gozzi (1720\1806) che scrisse
le Fiabe per rilanciare, con successo, il teatro delle maschere.
Rivale di Goldoni fu anche Pietro Chiari
, che però oggi ci appare decisamente poco interessante.
In ogni caso Venezia rimase il centro teatrale più vivo della
penisola, fino all'abbandono di Goldoni.
Produzione narrativa
In Italia la produzione narrativa illuministica è quasi
inesistente. Essa si esercita soprattutto negli spunti satirici
e sarcastici. Per il resto la vasta produzione narrativa del secolo
risulta oggi per noi pressocché illeggibile: si vedano
indicativamente i romanzi di Pietro Chiari
, contemporanei alla sua facile produzione teatrale. Speriamo
in futuri lettori. Un ruolo tuttavia questa vasta produzione la
ebbe, l'introduzione del gusto del romanzo nei lettori. Interessante,
più per la storia del costume che non quella dell'efficacia narrativa,
l'opera di Zaccaria Seriman .
Produzione culturale non-illuminista
L'illuminismo in Italia ma anche nel resto dell'europa rimane
un fenomeno dirompente ma minoritario. E' roba di é lites
e di circoli alla moda, che guardano soprattutto a Paris e in
parte all'Inghilterra. La gran parte della produzione è
in mano ai settori più tradizionali e retrivi.
All'interno di questa produzione esistono però degli spiragli,
che fanno vedere come anche nei settori più tradizionalisti qualcosa
muti, nonostante tutto. Così all'interno della forse tra
le più monolitiche culture esistenti, quella della chiesa cattolica,
nuovi spazi sono dati dal corpus delle relazioni, lettere, documenti,
resoconti, scritti dai gesuiti. Essi sono presenti in "missione"
nelle terre più lontane e diverse dalla cultura euroccidentale,
a contatto con mondi diversissimi. Essi vedono attraverso i loro
occhi, filtrati dalla cultura occidentale ma anche e soprattutto
dalla loro ideologia religiosa, questi mondi: e ne danno notizia.
Il corpus di questi missionari è estremamente vario, costituiscono
una specie di altra "Encyclopédie", da affiancare
a quella dei filosofi illuministi.
[Up] Inizio pagina | [Send]
Invia a un amico | [Print] Stampa | [Email] Mandaci
una email | [Indietro]
Europa - Antenati - la storia della letteratura europea online
-
© Antenati 1984-
, an open content
project