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Tutto su Andrea Camilleri

Meglio lo scuro. Andrea Camilleri fra storia e cronaca

di Pina La Villa - lunedì 29 luglio 2024 - 359 letture

Meglio lo scuro

"Finalmente il comune di Vigata sta mandando l’acqua per i cittadini e Montalbano potrà farsi una lunga doccia. Ancora zuppo e seminudo sente suonare alla porta: andato ad aprire gocciolando acqua, si trova di fronte la figura, imbarazzata come lui, di un "parrino" (prete).

Il sacerdote gli racconta che una moribonda ospite di un ospizio gli ha detto in confessione di aver commesso un crimine per il quale ha pagato un innocente ed ora egli è riuscito a convincerla a raccontare tutto al commissario. Montalbano si lascia persuadere; spinto più che altro dalla sua curiosità di "sbirro" va a parlare con la vecchia signora in punto di morte che a stento pronuncia queste parole: «Cristina lo volle... e io glielo diedi... ma non era veleno...»".

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Camilleri - Storie di Montalbano, volume primo

Inizia così un’indagine personale di Montalbano, dal titolo Meglio lo scuro. Il racconto è nella raccolta La paura di Montalbano.

Leggo il racconto e mi ricorda qualcosa, una storia che conoscevo. Non so se viene detto nelle note al testo, ma scopro che effettivamente il racconto è ispirato alla vicenda di Assunta Vassallo, raccontata da Cinzia Tani in Assassine. Quattro secoli di delitti al femminile, Oscar Mondadori, 1999.

La vicenda reale risale al 1948, si svolge in Sicilia e ci fa conoscere degli aspetti interessanti della nostra storia.

La racconto anche perché mi pare di entrare così, di soppiatto, nella tecnica narrativa di Camilleri, nel rapporto fra storia e racconto che da sempre mi appassiona e che sta alla base di molti dei racconti di Camilleri.

Assunta, giovane donna malmaritata, si fa un amante. Il marito la scopre e lei confessa e chiede la separazione. Lui gliela nega. Non può permettersi uno scandalo, le loro sono famiglie in vista nella città.

La relazione continua ma i genitori del giovane amante vogliono farlo sposare: Assunta rischia di perderlo. Nel frattempo il marito, che gioca, va a femmine e fuma 80 sigarette al giorno, ha una crisi legata al tabagismo e viene ricoverato in una clinica: se non smette rischia di morire alla prossima crisi. E la crisi arriva. Lui muore, ma al funerale il cognato accusa Assunta di averlo ucciso e lei confessa al proprio fratello che effettivamente, sì, ha avvelenato suo marito. Il fratello la convince a costituirsi. Viene richiesta l’autopsia ma non viene trovata nessuna traccia di stricnina. Lei allora cambia versione, ritratta la confessione. Ma il cognato non demorde e si richiede l’analisi di altri esperti, fiorentini, i quali dicono – ma dopo molto tempo, e senza potersi basare sugli organi ma solo sugli indumenti – che la stricnica c’era in abbondanza. Insomma alla fine lei verrà condannata prima a venti e poi a sedici anni di carcere e infine graziata per poter accudire la figlia malata.

Camilleri immagina, nella sua storia, che un’amica della presunta assassina, moglie di un farmacista, invece di darle la stricnina (o meglio veleno per topi) le abbia dato qualcosa di innocuo, ma che al processo, dopo aver scoperto che la tizia aveva avuto per amante proprio suo marito, non la scagionò. In pratica Assunta (o Cristina, nella versione di Camilleri), diede al marito la polvere che le aveva dato la sua amica farmacista (Concetta), quindi aveva tentato di ucciderlo, ma suo marito non era morto per la stricnina. Lei si sarebbe potuta salvare dalla condanna, se Concetta non avesse scoperto la tresca dell’amica con suo marito.

Il giovane Montalbano, 50 anni dopo - siamo quindi nel 1998 - viene chiamato da un prete ad ascoltare la confessione di una moribonda, Concetta, la quale dirà al commissario, spirando, solo la frase smozzicata “«Cristina lo volle... e io glielo diedi... ma non era veleno...». Su questa base parte l’indagine, che grazie alla cocciutaggine di Montalbano, alla passione per l’anagrafe di Fazio e ad un’amica della vecchia insegnante di Montalbano, avrà la sua soluzione. Nella conclusione Montalbano, recatosi a Catania per raccontare tutto a Cristina-Assunta, vedendola, ormai anche lei in punto di morte, decide di non dirle niente: meglio “lo scuro” , anzi: «La verità è luce, aveva detto il parrino, o una cosa simile. Già ma una luce accussì forte non avrebbe potuto bruciare, ardere proprio quello che doveva semplicemente illuminare? Meglio lasciare lo scuro del sonno e della memoria».

Anche per la conclusione Camilleri si rifà al racconto di Cinzia Tani.

Assunta Vassallo, alla fine degli anni Cinquanta, esce dal carcere. "Ai giornalisti che la aspettavano, chiese di essere dimenticata. "D’altronde" aggiunse "io stessa non ricordo più niente".

Come ha lavorato la fantasia di Camilleri in questo racconto?

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Camilleri, Romanzi storici e civili

Nella prefazione ai romanzi storici e civili di Camilleri, Salvatore Silvano Nigro, parlando del saggio narrativo La strage dimenticata ce ne dà un esempio.

La strage dimenticata è quella di centoquattordici galeotti, o “servi di pena” durante la rivoluzione siciliana del 1848. Siamo a Borgata Molo (futura Porto Empedocle e futura Vigata) in un terrazzo cinquecentesco. La tozza torre racchiude degli ergastolani. Alcuni di loro, all’annuncio della rivolta, riescono ad evadere. “Gli altri centoquattordici vengono relegati dal terrorizzato maggiore Sarzana in una cella, che è stata privata della presa d’aria. In essa si fanno pure esplodere dei petardi d’intimidazione. I “servi di pena” muoiono soffocati” (S.Nigro).

Commenta Nigro: “Non ha testa di storico, Camilleri, e neanche ‘stomaco’. Lo dice e lo ripete: “non ho testa e stomaco di certi storici, i quali basano buona parte della loro scienza sul fatto che i morti non possono replicare”. La storiografia è smemorata con i reietti, che tanto (viene ribadito) uomini non sono e anime non hanno. E quando memoria ha della razzumaglia, adopera “doppio peso e doppia misura”; ed è menzognera. La letteratura ha l’obbligo del rinfranco e del risarcimento di verità e memoria”.

A partire da una scarna documentazione e dai racconti della nonna, Camilleri ricostruisce tutta la vicenda, fino a quello che ritiene il falso arresto del responsabile della strage, il tenente Sarzana, per salvarlo dalla giusta punizione. A proposito Camilleri scrive: "Qualcuno potrà rimproverarmi di avere, durante questa ricostruzione, abbandonato il juicio - di manzoniana memoria, ci ricorda Nigro - a favore della fantasia. E va bene, niente finto arresto. Propongo una soluzione meno romanzesca e cioè che solo la voce dell’arresto sia stata messa in circolazione".

Commenta Nigro: "Tragediatore, in un modo o nell’altro, era stato l’ufficiale che aveva simulato l’arresto o ne aveva fatto diffondere la notizia. Tragediatore, o controtragediatore, è Camilleri" che guida la sua carrozza (vedi sempre Manzoni) "in modo che dalla poca documentazione sul caso emerga il vero romanzo dell’impostura: l’infamia silenziata della torre; l’inganno della storia; la mistificazione della storiografia" (S.S.Nigro).

Premetto che sono affascinata dalla scrittura di Camilleri, che ho riscoperto da poco e di cui ho letto quasi tutti i romanzi e i racconti con Montalbano e quasi tutti i romanzi storici e civili.

Peccato non averlo apprezzato qualche decennio fa come si deve. Avrei imparato molto. Ma, come si dice, non è mai troppo tardi.

Quello che me ne allontanò anni fa rimane però ancora per me un grosso difetto di Camilleri, una cosa che più lo apprezzo più mi fa arrabbiare. Ed è il suo modo di considerare le donne, che ci riporta indietro, fino agli anni Cinquanta, eredi del ventennio fascista.

E un piccolo esempio è proprio nella sua rielaborazione della storia di Assunta Vassallo.

La sua amica Concetta, per esempio, fu l’unica a deporre in suo favore.

[Continua, forse]


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