Su Epitteto

Dalla rivista Alias, n. 38 del 29 09 2006

IL «MANUALE» NELL’EDIZIONE E COMMENTO (CONTROVERSI) DI PIERRE HADOT

di Pina La Villa - venerdì 7 dicembre 2007 - 4057 letture

Da Alias, n. 38 del 29 09 2006

IL «MANUALE» NELL’EDIZIONE E COMMENTO (CONTROVERSI) DI PIERRE HADOT

Sincretistico Epitteto Del celebre testo stoico, che il discepolo Arriano trasse nel II secolo d.C. dalle lezioni di Epitteto, lo studioso francese rileva il registro esistenziale e non dottrinario: si consente così una chiave «multiculturale» che privilegia, nelle scuole filosofiche antiche, i punti di contatto più che di rottura Gabriele Pedullà

«Se vuoi progredire, sopporta di apparire stolto e insensato, per quanto concerne le cose esteriori». «La malattia è un impedimento per il corpo ma non per la scelta di vita». «Non cercare di fare in modo che ciò che accade accada come desideri, ma desidera che ciò che accade accada come accade, e il corso della tua vita sarà lieto». «Tu puoi essere invincibile se non ti impegni in alcun conflitto in cui non dipende da te essere vincitore». Queste sono solo alcune delle massime che si possono leggere nel così detto "Manuale di Epitteto", composto nel II secolo dopo Cristo dallo storico e geografo Arriano, che di Epitetto era stato appunto allievo in gioventù: un volumetto smilzo, dove sono raccolti i principali capisaldi della filosofia stoica, quasi un estratto di quelle ben più vaste "Diatribe" che lo stesso Arriano aveva composto qualche anno prima, inizialmente ad uso personale, raccogliendo gli insegnamenti del maestro. Come molti filosofi antichi, Epitteto non mise mai per iscritto la propria dottrina, ritenendo che essa dovesse vivere esclusivamente nel rapporto quotidiano della scuola, e Arriano dichiara a chiare lettere di essersi posto nei suoi confronti come Senofonte (e Platone) rispetto a Socrate. L’eccellente edizione con corposo commento di Pierre Hadot appena pubblicata da Einaudi (traduzione di Angelica Taglia, pp. XVIII+228: di fatto un vero e proprio libro del grande pensatore francese, se consideriamo che traduzione e testo greco a fronte occupano appena una settantina di pagine; € 17,00) insiste proprio su questo nucleo non dottrinario ma schiettamente esistenziale e persino esistenzialistico del testo di Arriano (la formazione di Hadot, non casualmente, è avvenuta nella Francia degli anni quaranta). Dal momento che, come insegnava Seneca, facere docet philosophia, non dicere (la filosofia insegna ad agire non a parlare), Hadot è molto bravo a chiarire il significato tecnico e le sfumature di ciascuna espressione, ma quello che alla fine davvero gli interessa è cogliere il nucleo spirituale di un insegnamento che va oltre le specificità di scuola. Il Manuale diventa così un importante tassello nel suo percorso di ridefinizione della filosofia antica non tanto come competizione tra dottrine diverse quanto come scelta di vita (un’idea che ha avuto una grandissima importanza per il tardo Foucault). Questa impostazione non è priva di qualche rischio, soprattutto quando i termini tecnici dello stoicismo sono gli stessi impiegati, in un’accezione diversa, da altre tradizioni filosofiche, come avviene nel caso del termine proairesis, con cui Epitteto allude alla scelta fondamentale di vita, mentre nella lingua di Aristotele indica soltanto la deliberazione riguardante i mezzi necessari per conseguire un determinato fine (a sua volta oggetto della volontà, ovvero della bulesis). Da studioso della tarda antichità, Hadot sembra insomma condividere con i suoi autori prediletti una marcata tendenza a promuovere sincreticamente il dialogo tra le diverse dottrine e a evidenziare i punti di contatto piuttosto che gli elementi di rottura. Suggerimenti per riconoscere il bene, praticare la virtù e conseguire la felicità, insomma regole per una giusta condotta di vita: il "Manuale" di Epitteto non intende offrire ai lettori niente meno che questo. La sintassi brachilogica ma estremamente ripetitiva di Arriano, con molti aoristi imperativi e molti periodi ipotetici (secondo la costruzione «se... allora...»), può fare uno strano effetto al lettore contemporaneo che sospetta una banalizzazione dei problemi e delle soluzioni, una meccanicità un po’ troppo facile anche quando vengono ricordate la lunghezza e la fatica della battaglia quotidiana per il «retto giudizio». Detto in altre parole: in che modo è possibile leggere i suggerimenti di Epitteto nell’epoca dei manuali di self help senza provare una sgradevole sensazione di dèja vu? Nelle pagine introduttive Hadot accenna rapidamente a padre Matteo Ricci e alla versione cinese del "Manuale" da lui approntata all’inizio del Seicento per favorire la penetrazione del cattolicesimo in Oriente, commentando che «Arriano non avrebbe mai pensato che, grazie al cristianesimo, il suo piccolo libro sarebbe arrivato fino alle estremità del mondo»; ora viene da chiedersi piuttosto se la recente popolarità di filosofi e direttori spirituali del mondo antico quali Epitteto, Marco Aurelio ed Epicuro (si pensi solo al milione di copie della sua epistola a Meneceo venduto pochi anni or sono nelle edizioni millelire) non sia il frutto di un movimento geograficamente opposto, e che in altre parole greci e latini (per lo meno certi greci e certi latini) riconquistino estimatori sulla scia dei pensatori e dei maestri di meditazione delle grandi civiltà asiatiche. Per non parlare poi delle multiformi spiritualità à la carte offerte dal mondo contemporaneo. Ma Epitteto non è Ron Hubbard, anche se all’inizio lo stoicismo in pillole del "Manuale" potrebbe mettere sulla difensiva più di un lettore contemporaneo. Ogni volta che avvertiamo qualcosa di convenzionale nei suoi inviti alla continenza e alla virtù dobbiamo ripensare al senso profondo del suo rifiuto della scrittura e comprendere che la brevità del libro è in questo caso funzionale alla lentezza e non alla velocità della lettura. Opere come il "Manuale" non vanno lette come un testo qualsiasi, perché le pagine di Arriano acquistano il loro giusto valore soltanto dopo attenta meditazione, traghettando divieti e suggerimenti da un piano di comprensione letterale a un piano di comprensione spirituale, in altre parole mettendoli continuamente alla prova della (nostra) esperienza. Come suggeriva Leopardi (criticato da tutti gli studiosi del Manuale per la sua interpretazione «pessimistica» dello stoicismo come lezione di rassegnazione per i disperati ma in realtà nel giusto nel servirsi della distanza temporale come espediente ermeneutico), presupposto di un incontro con Epitteto è il confronto costante tra «loro antichi» e «noi moderni», fosse anche per prendere consapevolezza della sua profonda inattualità. Che cosa, infatti, può essere meno attuale di una severa disciplina del desiderio in un mondo dominato dalla pubblicità e caratterizzato dall’espansione incontrollata dei bisogni? Per gli uomini d’oggi il fascino di Epitteto viene forse dalla radicalità con cui nega alla radice il valore di ogni progresso che non sia spirituale: magari proprio perché ripete in continuazione parole come «virtù» o «disciplina del giudizio» che sono apparse impronunciabili ai filosofi del Novecento, il secolo del sospetto e della demistificazione elevati a sistema. A differenza di quanto credeva Leopardi, tuttavia, probabilmente non è vero che lo stoicismo rappresenta la filosofia perfetta dei moderni (i deboli per eccellenza) piuttosto che degli antichi (i forti per eccellenza), per lo meno nel senso che uno dei tratti distintivi della modernità è proprio una sorta di superomismo di massa nel segno della tecnologia e del consumismo. Non c’è dubbio però che Epitteto parla al presente molto più attraverso i richiami della finitezza della condizione umana e alla necessità di contenere i desideri per sottrarsi all’impero delle passioni che non attraverso l’immagine tràdita del saggio stoico vittorioso nella sua corazza adamantina. Una lezione contro la boria dei moderni, insomma, tanto più attuale, o attualizzabile, quanto maggiore, dal tempo di Epitteto, è diventata la distanza che separa l’ottimismo dell’uomo della strada dal pessimismo di colui che ha scelto di vivere filosoficamente.


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