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Niente di nuovo per Santi Nicita

La DC è tornata. Dopo qualche anno di anonimato e mimetismo tra le varie sigle nate dalle sue ceneri, la Democrazia Cristiana si è tolta la maschera, ripresentandosi con lo storico nome e i suoi uomini. Tra essi, Santi Nicita, siracusano, ex Presidente della Regione Sicilia ed oggi, eletto all’unanimità, nuovo Presidente nazionale del partito.

di Piero Buscemi - mercoledì 21 gennaio 2004 - 7849 letture

Si è coronata ieri, con la carica più ambita per un democristiano DOC, la carriera iniziata più di trenta anni fa, nell’ambito del più antico partito politico d’Italia, di Santi Nicita. Da ieri infatti, Santi Nicita è ufficialmente il nuovo Presidente nazionale della Democrazia Cristiana. Il suo nome si era diffuso qualche giorno prima, dopo che all’inizio di dicembre 2003, il congresso nazionale della Dc, a Roma, insieme ad altri sei rappresentanti siciliani, lo aveva inserito tra i 22 componenti del Consiglio nazionale. La scelta del XIX congresso nazionale della Democrazia Cristiana sull’on. Nicita per la carica di presidente, era sembrata scontata. Un uomo che all’interno del partito, nonostante gli alti e bassi, sicuramente non imputabili direttamente a lui, ha saputo riciclarsi e riproporsi in un lunghissimo arco di tempo, trovando sempre un posto libero e a lui congeniale, da occupare. Nato nel 1929 a Furci Siculo, un paesino della costa ionica del messinese di poco più di mille anime, ha fissato la sede delle sue conquiste politiche a Siracusa, dove ha trovato il tempo di imparentarsi con le varie figure di rango della città, ed oggi pregiarsi di avere una nipote in carica come ministro del governo Berlusconi: Stefania Olivia Prestigiacomo. Laureato in Scienze agrarie, ha seguito altre strade rispetto alla vocazione giovanile. Spinto da un fervore di altruismo da mettere a disposizione della collettività isolana, ha pensato bene di aggregarsi al folto gruppo della DC, che in Sicilia, ha da sempre rappresentato l’ago della bilancia elettorale del resto del paese. In più di trent’anni, alternando cariche istituzionali e cariche di responsabilità nelle più importanti associazioni di sviluppo dell’economia siracusana, se consideriamo solo la politica siciliana, ha potuto collezionare: eletto più volte deputato regionale, una nomina come Assessore alle Finanze, una come Assessore allo sviluppo economico, un paio di volte Assessore regionale alla Presidenza, almeno una volta Assessore per il Bilancio, un’altra ancora Presidente della II e della V Commissione legislativa permanente (si è limitato anche ad essere solo componente della III Commissione), ed ancora, Presidente dimissionario della Commissione CEE, carica che abbandonò per aderire al gruppo parlamentare DC, il 19 febbraio 1992.

La sua carriera politica si è formata all’interno del gruppo andreottiano, negli anni Ottanta. Erano gli anni dei fratelli Lima, dei cugini Salvo, di Tommaso Buscetta, ma anche delle prime indagini scottanti di Giovanni Falcone. E in quegli anni, Nicita trovò anche il tempo per dedicarsi ad un’altra carica di grande responsabilità: quella di Presidente della Regione Sicilia, che manterrà dal 20 ottobre 1983 al 22 marzo del 1984. Durante questi cinque mesi, tra uno scandalo e l’altro che porterà alle sue dimissioni e allo scioglimento della giunta regionale, lo vediamo al funerale del giornalista Pippo Fava, ucciso dalla mafia il 5 gennaio 1984 a Catania (vedi articolo e dossier commemorativo su Girodivite), a provare di giustificare la latitanza del governo centrale, in occasione di uno dei più tremendi attacchi subito dalla cultura antimafiosa dell’isola.

Ma il nome di Santi Nicita lo possiamo trovare, nella storia del malaffare siciliano, già nel 1971 quando la società Isab (industria siciliana asfalti e bitumi) chiese alla Regione Siciliana la concessione per la realizzazione di una raffineria nel comprensorio di Melilli, a nord di Siracusa. Stiamo parlando del così passato alla storia, Scandalo del Petrolio e dei "miracolosi" 100 giorni della burocrazia siracusana che, dalla data della richiesta di permesso presentata dal petroliere genovese Riccardo Garrone, proprietario dell’Isab, insieme alla Fiat e agli armatori, anch’essi genovesi Filippo, Sebastiano e Alberto Cameli, furono necessari per ottenere tutti i nullaosta per la costruzione della raffineria. Il miracolo delle "carte firmate" si manifestò nella sua interezza, il 17 maggio 1971, quando l’assessore all’Industria e al Commercio della Regione siciliana firmò il decreto liberatorio. L’unica ingenuità dell’intera operazione, fu ad appannaggio di Garrone e dei suoi collaboratori, che in maniera "riservata" compilarono una lista spesa di "costi non documentabili e non contabilizzabili" di circa 2 miliardi delle vecchie lire. Una lista dettagliata che riportava, come in un normale bilancio di gestione, i nomi dei creditori con accanto la somma pagata, in cambio della prestazione ottenuta. Ovviamente, la parte più grossa della "torta" se la garantirono gli "amici" democristiani, nella figura dei deputati romani della DC, Giovanni Gioia e Nino Gullotti, che furono successivamente eletti ministri nel 1976. Una parte spettò al PSI, una al Presidente della Provincia Moncada, una addirittura al PCI ed una anche al nostro Santi Nicita, che all’epoca, era già un affermato onorevole della DC siciliana.

Dopo il crollo storico della DC, sotto gli attacchi di Tangentopoli e le sempre più inoppugnabili prove inerenti il rapporto mafia-politica. Dopo il processo Andreotti, di recente concluso con l’assoluzione, dopo la nascita di Forza Italia e l’invasione nel panorama politico italiano di Silvio Berlusconi, Santi Nicita ha seguito l’ondata d’urto del cambiamento, riciclandosi tra i vari partiti nati dalle ceneri della DC, passando dalle file di Rinnovamento Italiano dell’ex ministro Dini fino a spaziare tra i diversi gruppi parlamentari di centro, senza trascurare le vicende di Siracusa, consegnata nelle mani di Titti Bufardeci, figlio del "nuovo che avanza". I rapporti con il Sindaco Bufardeci non sono stati sempre idilliaci. Senza dubbio, due generazioni a confronto. Nicita ha preferito la vecchia DC e qualche colloquio estemporaneo con i vari UDEUR e UDC. A tal proposito, è bene ricordare che alle ultime elezioni provinciali ed amministrative in Sicilia, qualcuno gridò osannante al cambiamento, in base ai risultati che videro, dopo qualche anno di stabilizzazione elettorale, un calo di consensi nei riguardi di Forza Italia, dimenticando che le scelte politiche dei siciliani si erano spostate solo di qualche metro nello schieramento parlamentare italiano, facendo dell’UDC, il primo partito dell’isola. Considerando che la sigla UDC ha soltanto la U in più rispetto al partito di Nicita e che egli stesso, alla veneranda età di 75 anni, ha risalito la corrente per ricoprirne la carica più rappresentativa, è il caso di dire: Sono tornati!


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