Le tre ghinee, di Virginia Woolf

Un dizionario-guida per rileggere un classico del pensiero femminista

di Pina La Villa - giovedì 12 maggio 2005 - 40120 letture

Le tre ghinee. Un saggio sulle donne, l’istruzione, la guerra, di Virginia Woolf

Un dizionario-guida per rileggere un classico del pensiero femminista

di Pina La Villa

Le tre ghinee è un saggio di Virginia Woolf, pubblicato nel 1938.

E’ scritto - come il primo dei suoi due saggi dedicati alla questione femminile, “Una stanza tutta per sé” - in maniera “narrativa” e colloquiale, seguendo una finzione. In questo caso la finzione è quella di immaginare di rispondere a una lettera mandata all’autrice da un avvocato londinese, pacifista, che chiede aiuti per la sua associazione, aiuti diretti a prevenire la guerra. (Ricordiamoci che siamo nel 1938, la seconda guerra mondiale è nell’aria, ed è in corso la guerra civile in Spagna. Il saggio ha infatti continui riferimenti alle foto che arrivano settimanalmente da quel fronte. Su questa parte del saggio si è concentrata l’attenzione di Susan Sontag, filosofa americana scomparsa recentemente, nel suo ultimo saggio “Davanti al dolore degli altri” publicato da Mondadori nel 2003. )

Il saggio individua, dietro questa richiesta di aiuti, il nodo politico della questione “femminista”, il nodo cioé della “differenza”. Differenza che è un “dato”, un “fatto”, non “naturale”, ma storico, il portato cioé di secoli di storia che hanno visto la condizione femminile sempre diversa rispetto a quella maschile. (ricordiamo il romanzo della stessa Virginia Woolf, Orlando, che ripercorre, come una biografia dilatata, la vita di un uomo che diventa donna e poi una sorta di androgino, la storia dell’Inghilterra moderna e, in essa, del ruolo dello scrittore, maschio-femmina-androgino).

A differenza di Simone de Beauvoir, Virginia Woolf non si interroga sull’origine di questa differenza, ne registra semplicemente la consistenza, le dimensioni e le implicazioni e soprattutto ne trae le conseguenze politiche.

Il saggio può (deve) essere letto come un manifesto politico e, come tale, dà indicazioni (importanti per l’epoca probabilmente, ma la questione per il momento esula da queste mie riflessioni) e di grande attualità oggi, su diverse tematiche di grande rilevanza per le questioni di genere, ma non solo.

La ricchezza di stimoli e di analisi del saggio di VW, mi hanno indotto ad analizzarlo utilizzando il sistema delle voci, come un dizionario.Non significa, questo, che il saggio manchi di compattezza e di coerenza interna. Anzi. Come dicevo, la finzione della lettera funziona come filo conduttore: una ghinea per ogni richiesta, una ghinea per l’istruzione, una per le professioni, una per la cultura della la pace. E per ogni richiesta l’analisi dei problemi relativi. Tutto poi concorre e a rendere necessaria la proposta politica, alla fine della terza ghinea, di una società delle estranee.

La mia scelta è semplicemente dovuta alla ricchezza di spunti del testo di VW, che, fra l’altro, con l’uso sistematico della metafora - ancora, come nel saggio Una stanza tutta per sé - consente di sviluppare ulteriormente le sue riflessioni.

Ma spunti di riflessione perchè? Perché dovremmo riflettere, ancora, sulla questione femminista? Perchè siamo in un corso sulle pari opportunità e perché sulla questione femminista si è riflettuto, secondo me, poco e male. Anzi, per cominciare a seguire l’analisi di VW, si è riflettuto su questo tema come da due lati opposti di un tavolo, da una parte le donne, dall’altra gli uomini. E succedeva, negli anni scorsi, ma forse anche adesso, che da una parte del tavolo, gli uomini - impauriti - aggredivano le donne e dall’altra le donne - impaurite - si ritiravano, o viceversa, a seconda dei casi. Senza collaborazione, senza alcuna comunicazione.Come se uomini e donne - ma mi riferisco qui in maniera precisa a uomini e donne di comune sentire, per comodità dico di sinistra - avessero obiettivi diversi .

Così ce la racconta Virginia Woolf: “Supponiamo dunque che nel corso di quella famosa conversazione bisessuale intorno a problemi di politica e di rapporti umani, di guerra e di pace, di barbarie e valori della civiltà, sia venuta fuori la questione, per esempio, dell’ammissione delle figlie degli uomini colti alla Chiesa, o alla Borsa o al servizio diplomatico. La questione è solo accennata; tuttavia noi, dalla nostra parte del tavolo, avvertiamo subito la presenza, dalla parte opposta, di «un’intensa emozione» «che nasce da qualche motivazione sotto il livello del pensiero cosciente»; ce ne accorgiamo perché dentro di noi squilla un campanello d’allarme che ripete confusamente ma insistentemente: Non devi, non devi, non devi...I sintomi fisici sono inconfondibili. I nervi si tendono; le dita si irrigidiscono automaticamente sul cucchiaio o la sigaretta; uno sguardo allo psicometro privato indica che la temperatura emotiva è salita da dieci a venti gradi sopra la norma. Intellettualmente, sentiamo il forte desiderio di stare in silenzio o di cambiare argomento; di metterci a parlare, per esempio, del vecchio e fedele domestico, a nome Crosby, il cui cane, Rover, è morto...per evadere il problema e abbassare la temperatura. Ma come possiamo analizzare le emozioni dalla vostra parte del tavolo? Spesso, per essere sincere, mentre parliamo del vecchio Crosby, ci poniamo delle domande su di voi - di qui la poca vivacità del dialogo. Quali sono le potenti motivazioni inconscie che vi fanno drizzare il pelo, lì dalla parte opposta del tavolo? Forse il vecchio cavernicolo che ha ucciso un bisonte vuole che la compagna ammiri il suo coraggio? O il professionista stanco cerca la compagnai e teme la competizione? O il patriarca sta chiamando la sua sirena? O la supremazia ha bisogno della sottomissione?” (pp. 584-585).

Io ritengo invece che una riflessione come quella di Virginia Woolf sia oggi essenziale.

Il pensiero femminista , un pensiero come quello di Virginia Woolf, per non parlare di altre, ha molto da dire oggi, di fronte a questioni come la guerra, il multiculturalismo, la critica della società capitalistica, la critica del fascismo.

Per un fatto molto semplice: che le donne , nel corso del XX secolo, hanno combattuto una battaglia per il riconoscimento, una battaglia per uscire dallo stato di minorità di cui parlava il filosofo Kant, accompagnata da riflessioni che oggi sono necessariamente utilissime per parlare di un mondo globale, di soggetti diversi che si incontrano e che debbono convivere nel rispetto della dignità e della libertà reciproca. Tutto qui.

Ecco perchè, in un corso sulle pari opportunità, riflettere su Virginia Woolf, significa, deve significare, riflettere non tanto enon solo sulle donne e lo stato della loro battaglia, ma sugli immigrati, sui “diversi”, sul cosiddetto “scontro di civiltà” sul ruolo delle religioni.

Insomma significa immaginare una scuola che educhi e che formi ad una cittadinanza piena, senza esclusioni, con pari opportunità per tutti.

Ecco perchè Le tre ghinee di Virginia Woolf. Ecco perché l’analisi del suo testo quasi come un prontuario, una ricognizione di luoghi di un discorso che ci serve, oggi.

Le figlie degli uomini colti

Partiamo dal chi. Chi fa questo discorso. E’ sempre importante qualificarsi, non esiste un discorso neutro. E’ questo i nostri alunni dovrebbero sempre saperlo. Dobbiamo situarci, prima di insegnare loro qualsisi cosa: il nostro tempo, il nostro genere, le nostre idee. Così fa VW quando parla delle “figlie degli uomini colti”. Il suo discorso non è un discorso neutro. E’ fatto da una donna - e per conto delle donne - di classe media, colte, inglesi, nel periodo fra le due guerre, nel XX secolo. Anche noi ci dobbiamo situare nel XX secolo, donne o uomini, con determinate idee e determinati valori, che ci fanno affronate un discorso piuttosto che un altro, o adottare un metodo piuttosto che un altro. L’esistenza della differenza non può essere accettata dagli alunni fra di loro se prima non la accettiamo noi, se continuiamo a cercare di somigliarci e a fare dei nostri alunni tutti “ragazzi da otto”.

Ma torniamo a Virginia Woolf. Chi sono queste “figlie degli uomini colti”?

“La nostra ideologia è ancora così inveteratamente antropocentrica che si è reso necessario coniare questa goffa espressione, figlie di uomini colti (educated men’s daughters), per designare la categoria di donne i cui padri hanno studiato nelle famose public school e in una delle due Università di Oxford e Cambridge. E’ evidente che sarebbe vistosamente scorretto applicare il termone “borghese”, adatto forse per descrivere i suoi fratelli, a chi è così profondamente estranea alle due principali caratteristiche della borghesia, il capitale e le opportunità sociali” (Note, 2)

La differenza femminile è trasversale e genera problemi complessi. Se parliamo di classe, se pensiamo che la differenza fondamentale, eventualmente anche da abbattere, sia quella di classe, non dimentichiamoci che all’interno di ciascuna classe, esiste anche una differenza di genere. Oggi possiamo pensare che forse prevale la differnza di classe piuttosto che quella di genere. Forse era così anche all’epoca di Virginia Woolf. Il diritto di voto alle donne, per esempio, è di poco successivo, in genere, alla conquista del suffragio universale.

Ma anche oggi, dobbiamo sapere, quando parliamo di multiculturalismo, cosa significa la differenza di genere, insita nella differenza di etnie, di popoli, di religioni.

Sono differenze che generano problemi inediti: nel diritto (quanto vale l’astratta uguaglianza?), nell’etica (la questione del relativismo) nella scuola (dal divieto del velo alla questione del crocifisso). Problemi di cui recentemente si è occupata la filosofa Marta Nussbaum.

Ma, per restare a Virginia e continuare a seguirla. Anche questa definizione - le figlie degli uomini colti - in fondo riporta all’immagine della sorella di Shakespeare, di cui a questo punto occorre parlare. .

Una stanza tutta per sé

Nel suo saggio del 1929 - Una stanza tutta per sé - Virginia Woolf era partita dal suo trovarsi per caso nel parco di una università inglese (dal nome significativo di Oxbridge) e, come Alice nel paese delle meraviglie, quasi in sogno racconta questa sua visita, la sontuosità dell’ambiente . Poi si sposta in un college femminile, austero, semplice, povero. Poi in biblioteca, a consultare gli innumerevoli libri sulle donne scoprendo che sono stati scritti esclusivamente da uomini, poi nella biblioteca di casa a comporre una ideale storia della scrittura femminile.La metafora si sviluppa fino alle estreme conseguenze e dalla differenza tra college e università, fra istruzione maschile e istruzione femminile, viene fuori il tema che le era stato proposto per le due conferenze : le donne e il romanzo, le donne e la scrittura..

La pagina più famosa del saggio, da cui occorre partire anche per intendere Le tre ghinee è quella dedicata a “raccontare” la storia della - immaginaria - sorella di Shakespeare.

La sorella di Shakespeare

“Consentitemi di immaginare, dal momento che i fatti sono così difficili a ottenersi, che cosa sarebbe accaduto se Shakespeare avesse avuto una sorella meravigliosamente dotata, chiamata Judith, poniamo. Molto probabilmente Shakespeare frequentò - perché sua madre era un’ereditiera - la scuola secondaria, dove è probabile che avesse imparato il latino- Ovidio, Virgilio e Orazio - e gli elementi-base della grammatica e della logica. [...] Nel frattempo quella sua sorella straordinariamente dotata, immaginiamo, rimaneva in casa. Era altrettanto desiderosa di avventura, altrettanto ricca di fantasia, altrettanto impaziente di vedere il mondo quanto lo era lui. Ma non venne mandata a scuola. Non ebbe la possibilità di imparare la grammatica e la logica, men che mai quella di leggere Orazio e Virgilio. Di tanto in tanto prendeva in mano un libro, magari uno di quelli di suo fratello, e ne leggeva alcune pagine. Ma a quel punto arrivavano i genitori e le dicevano di rammendare le calze o badare allo stufatoe smetterla di fantasticare fra libri e fogli di carta. Avranno certo parlato con tono brusco ma gentile, perché erano gente concreta che sapeva come debbono vivere le donne e amavano la loro figlia - anzi, più facilmente di quanto non si creda, lei era la prediletta di suo padre. E’ possibile che scrivesse di nascosto qualche pagina, su in soffitta, ma stava bene attenta a nasconderla o bruciarla. Molto presto, però, ancor prima che fosse uscita dall’adolescenza, dovette essere promessa in moglie al figlio di un vicino mercante di lane. La ragazza gridò che il matrimonio le era odioso, e per averlo detto venne picchiata con violenza dal padre. Ma poi l’uomo smise di rimproverarla. Piuttosto la supplicò di non darle questo dolore, di non disonorarlo rifiutando il matrimonio. Disse che le avrebbe regalato una collana o una bella sottogonna; e aveva gli occhi pieni di lacrime. Come faceva a disobbedirgli? Come faceva a spezzargli il cuore. Fu la forza del talento che era in lei, da sola, a indurla a compiere quel gesto. Una notte d’estate la ragazza preparò un fagottello con le sue cose, si calò giù con una corda e prese la strada di Londra. Non aveva ancora diciassette anni. [...] Come suo fratello, lei possedeva il dono della più viva fantasia per la musicalità delle parole. Come lui, aveva una inclinazione per il teatro. Si fermò davanti alla porta degli attori; voleva recitare, disse. Quegli uomini le risero in faccia. L’impresario - un uomo grasso, dalle labbra carnose - scoppiò in una risata sguaiata. Urlò qualcosa a proposito dei cani ballerini e delle donne che volevano recitare - nessuna donna, disse, avrebbe mai potuto fare l’attrice. L’uomo fece intendere invece - vi lascio immaginare che cosa. Non avrebbe mai trovato qualcuno che le insegnasse quell’arte. E, del resto, avrebbe forse potuto cenare nelle taverne o andarsene in giro per strada a mezzanotte? Eppure il suo talento la spingeva verso la letteratura e desiderava ardentemente potersi nutrire in abbondanza della vita di uomini e donne e studiarne i costumi. E alla fine - poiché era molto giovane, stranamente somigliante nel volto a Shakespeare, il poeta, con gli stessi occhi grigi e le sopracciglia arrotondate alla fine Nick Greene, l’attore impresario, ebbe compassione di lei; la ragazza si ritrovò incinta di quel gentiluomo e così - chi mai potrà misurare il fervore e la violenza del cuore di un poeta quando rimane preso e intrappolato in un corpo di donna? - si uccise, in una notte d’inverno, ed è sepolta nei pressi di un incrocio, là dove oggi si fermano gli autobus vicino a Elephant and Castle.” (Virginia Woolf, da “Una stanza tutta per sé”, in Opere, vol. II, Mondadori, pp. 350-353)

L’uso della metafora In “Una stanza tutta per sé” VW era partita dal suo trovarsi per caso nel parco di una università inglese (dal nome significativo di Oxbridge) e, come Alice nel paese delle meraviglie, quasi in sogno racconta questa sua visita, la sontuosità dell’ambiente . Poi si sposta in un college femminile, austero, semplice, povero. Poi in biblioteca, a consultare gli innumerevoli libri sulle donne scoprendo che sono stati scritti esclusivamente da uomini, poi nella biblioteca di casa a comporre una ideale storia della scrittura femminile.La metafora si sviluppa fino alle estreme conseguenze e dalla differenza tra college e università, fra istruzione maschile e istruzione femminile, viene fuori il tema che le era stato proposto per le due conferenze : le donne e il romanzo, le donne e la scrittura..

Dice Nadia Fusini, la più importante e più sensibile studiosa di Virginia Woolf: “la prosa saggistica woolfiana è radicalmente metaforica. Come i romanzi, il saggio woolfiano cresce nel dispiegamento della metafora, e così facendo coinvolge il lettore nella sua (della Woolf) stessa ricerca; lo porta cioé a interrogarsi prima di tutto sulla complessa relazione tra linguaggio realtà fenomenica e pensiero” (pp. XX-XXI)

In entrambi i saggi di cui ci stiamo occupando seguire questa struttura metaforica è di grande efficacia, sia didattica che critica.

Il saggio di Virginia Woolf non è il saggio a cui siamo abituati nella tradizione italiana, cioé non è il trattato accademico, scritto in linguaggio specialistico per addetti ai lavori, e in tono per lo più neutro, assertivo, “autoritario”.

Il saggio è un viaggio.

Virginia non strepita -. “Dubita.- che è diverso. Il tono sarà ironico; ironico all’estremo a volte, quando ad esempio si inarca in quella “Vindications of woman’s right” che sono Una stanza tutta per sé e Le tre ghinee; mai pomposo, mai retorico, né aspro, né mellifluo, né ieratico, né splenetico, né ipocrita, né vitriolico”.

“L’arte della vita richiede la libertà di cercare la verità e la bellezza. L’anima vuole comunicare, vuole conoscere - soprattutto se stessa. E’ per tale viaggio che il Seigneur de Montaigne ha fabbricato quel veicolo, l’essai, alla cui guida ora Virginia Woolf si prova. Montaigne è all’inizio del viaggio e con la forma che appresta lo rende possibile”.

“La fonte del piacere estetico (così afferma nel saggio su Defoe) è nel fatto che lo scrittore ha soggiogato ogni altro elemento al suo disegno, ha risolto l’universo in armonia”: ecco il cosmo! Il lettore che vive è esposto al disordine, al caos, lo scrittore lo guida a rifare quel passaggio dal caos al cosmo, che è sempre una nuova nascita - è la vita nova dell’opera. L’esprienza dell’armonia, dell’ordine è buona, perciò bella.”

La sua idea (vedi Uno schizzo del passato) è di trasferire nel saggio l’immediatezza lo sfolgorio la brillantezza della conversazione non pedante. Pensa il suo rapporto con il lettore, e il suo stesso di lettrice con lo scrittore, come un’immensa infinita inconclusa interminabile conversazione.

Virginia è autodidatta....il che ha i suoi vantaggi - non c’è nessun canone che le sia stato imposto. Outsider per necessità.

Non è difficile svolgere e interpretare la metafora della sorella di Shakespeare nei suoi vari spunti, che a me sembrano altrettante tappe delle scelte e degli ostacoli che ognuno di noi - maschi e femmine, anche Shakespeare li trovò - incontra nella vita, e che, per il discorso che Virginia sta facendo (il rapporto fra le donne e il romanzo, fra le donne e la scrittura) riassume in maniera chiarissima perché nella storia non ci sono state né Shakespeare, né Platone, né Einstein o giù di lì, semplicemente perché non “potevano” esserci.

La sorella di Shakespeare è dotata quanto lui (ipotesi di partenza, non del tutto peregrina, a meno che non vogliamo pensare a una differenza di natura...). Ma subito il primo intoppo: la formazione è meno robusta. Mettiamo pure che la formazione, pur se fra queste difficoltà fosse riuscita a non spegnere le qualità della sorella di Shaespeare. E’ ipotesi che fa Virginia, se no la sua metafora si sarebbe fermata qui. Ecco il terzo intoppo. Pur amando l’avventura la sorella di S. sta a casa, non va in giro etc. etc. insomma non fa esperienze significative, umane. Terzo intoppo: si deve sposare. Poco male, anche S. ebbe un figlio e un qualche vincolo, ma se ne poté liberare presto. Sua sorella tiene testa al padre, alla sua violenza e al suo ricatto morale e anche lei va via. Ma qui cominciano gli altri guai, nella società. Supponiamo quindi che la sorella di s. avesse superato indenne la formazione familiare, l’istruzione, e l’obbligo del matrimonio. Immaginiamo già che le sue condizioni psicologiche non sono le stesse del fratello che parte per l’avventura. A Londra. Ma qui sua sorella fa incontri che a lui saranno evitati - per quanto ricca e sia stata la sua esperienza. Il teatro è a lei precluso, è il suo stesso corpo che glielo preclude e i pregiudizi della società. E poi, dice Virginia, non poteva certo girare per taverne passando inosservata... Eppure Virginia sembra fare l’ipotesi che anche questo ostacolo la sorella di S. fosse riuscita a superare. Ma c’è un ostacolo, alla fine, che non può superare e che, aggiungendosi al peso di tutti gli altri, ne decreterà la fine: è incinta, deve avere un figlio: ”chi mai potrà misurare il fervore e la violenza del cuore di un poeta quando rimane preso e intrappolato in un corpo di donna?” Quindi c’è qualcosa nell’esperienza femminile, di irriducibile ai condizionamenti sociali, familiari e culturali, ed è il suo stesso corpo, la maternità è esperienza esclusiva e la differenza quindi sta nel corpo. Virginia non porta alle estreme conseguenze questa intuizione (che poi sarà oggetto di altre riflessioni, negli anni settanta e ottanta), forse perché comunque per il momento c’è tanto da fare sugli altri condizionamenti, ma sullo sfondo della sua, e della nostra, analisi, dobbiamo sempre tenere presente questa radicale differenza, se vogliamo evitare discorsi arbitrari e/o astrattamente utopistici o meglio, semplicemente, inefficaci. In questo momento non saprei in che senso ma occorrerà farlo.

E’ tutta questa serie di condizionamenti che Virginia comunque avrà presenti nel saggio Le tre ghinee. Il suo punto di vista nello svolgere la sua nuova metafora - una ghinea per ogni capitolo - sarà appunto quello della sorella di Shakespeare, una sorella che però vive nel XX secolo , è cambiata, ha fatto alcune conquiste ma si trova davanti altri problemi e in primo luogo “Che fare?”: che fare di fronte alla guerra? Che fare di fronte a un’emancipazione a metà? Che fare per costruire una società migliore, visto che ora questo sembra possibile per le donne?

Nel primo capitolo Virginia parte dalla descrizione del suo interlocutore, l’avvocato londinese che le chiede cosa fare per prevenire la guerra. Si dice stupita per l’alta considerazione che le viene dimostrata, è la prima volta che una donna viene consultata su una questione di così grande rilievo. Ma l’immagine che Virginia continua ad avere davanti è quella della sorella di Shakespeare. Occorrerebbe sapere però cosa è cambiato dall’epoca di Shakespeare a oggi.

Ma se nessuno ce le racconta non le conosciamo. E la storia era (è) povera di notizie sulle sorelle ( e i fratelli ) di Shakespeare.

Non è un caso che l’immagine della sorella di Shakespeare sia tratteggiata attraverso la sua biografia. VW ritiene importanti le biografie e lo dimostra in varie parti del saggio. Il XX secolo è il secolo in cui si afferma la società di massa. Si va dalla omologazione dei consumi a quella dell’informazione e quindi della politica. Sono tutti fenomeni legati alla seconda industrializzazione che si affermano negli stati Uniti e in Europa alla fine dell’ottocento per dispiegarsi poi soprattutto con la prima guerra mondiale e i regimi totalitari.

Di contro alle masse non può non far valere i suoi diritti l’individuo. Ecco l’emergere, nella letteratura, nella filosofia , nell’arte del novecento, l’individualità, il soggetto.

Da qui l’importanza delle biografie. Si diffondono e autorizzano soprattutto il discorso dell’eccezionalità (nascono come abbiamo detto, in un’epoca di massificazione e di rifiuto, da parte di alcuni, di questa massificazione), ma poi si prestano, essendo comune l’esistenza naturale e storica di ogni uomo almeno nelle linee essenziali - la nascita, l’infanzia, l’educazione, le scelte, il rapporto con gli altri, l’amore, il rapporto con la società, la malattia, la vecchiaia, la morte - ad esser usate come testimonianza storica, come dato fenomenico, esistenziale, del vissuto di ognuno di noi, in ciò che ha di comune - ma anche in ciò che ha di diverso - col vissuto degli altri.

VW le usa come testimonianza storica, testimonianza di aspetti della vita - il privato, le emozioni, le motivazioni, l’educazione - che la storia aveva trascurato (diversa la situazione oggi, grazie alla stessa Virginia Woolf e alle storiche di genere, la prima fu Joan Scott).

Io penso che anche oggi, nella didattica, debbano essere usate, soprattutto se abbiamo di vista l’educazione alle pari opportunità, di genere e non solo.

Le biografie - in questo come già i romanzi, con la loro galleria di personaggi, ma con una marcia in più dovuta al fatto che si ritiene siano più aderenti alla realtà - offrono alla riflessione la varietà di caratteri, di stili di vita, di problemi che inevitabilmente aiutano a crescere.

Mario Vargas Llosa, nel suo saggio E’ pensabile il mondo moderno senza il romanzo? (In Il Romanzo, Einaudi, vol.1) si propone di dare alcune ragioni contro l’idea che la letteratura sia un passatempo di lusso proponendo di considerarla invece “oltre che una delle più stimolanti e feconde occupazioni dell’animo umano, un’attività insostituibile per la formazione del cittadino in una società moderna e democratica, di individui liberi” e che per questo dovrebbe avere nei curricola un posto molto più ampio di quanto non abbia e, soprattutto non tenda ad avere. Dice:  “scienza e tecnica non possono più assolvere una funzione culturale integratrice nel nostro tempo, proprio a causa dell’infinita ricchezza di conoscenze e della rapidità della loro evoluzione che ha condotto alla specializzazione e all’uso di vocaboli ermetici. La letteratura, invece, a differenza della scienza e della tecnica, è, è stata e continuerà ad essere, fino a quando esisterà, uno di quei denominatori comuni dell’esperienza umana, grazie al quale gli esseri viventi si riconoscono e dialogano, a prescindere da quanto siano diverse le loro occupazioni e le loro prospettive vitali, le geografie e le circostanze in cui si trovano, e le congiunture storiche che determinano il loro orizzonte.[...] E nulla difende l’essere vivente contro la stupidità dei pregiudizi, del razzismo, della xenofobia, delle ottusità localistiche del settarismo religioso o politico, o dei nazionalismi discriminatori, meglio dell’ininterrotta costante che appare sempre nella grande letteratura: l’uguaglianza essenziale di uomini e donne in tutte le latidudini e l’ingiustizia rappresentata dallo stabilire fra loro forme di discriminazione, dipendenza o sfruttamento”. [ Leggere buona letteratura è divertirsi, certo: ma, anche, imparare, nel modo diretto e intenso che è quello dell’esperienza vissuta attravreso le opere di finzione, cosa e come siamo, nella nostra interezza umana, con le nostre azioni e i nostri sogni e i nostri fantasmi [...][penso al fatto che sono diventata antifascista leggendo Lessico Famigliare di Natalia Ginzburg e femminista leggendo Simone de Beauvoir, non il saggio Il secondo sesso, ma il romanzo Memorie di una ragazza perbene. Penso a Yeoshua, ad Arundaty Roy, alle autrici algerine, a cosa potrebbe significare leggere autori palestinesi, afghani, iraniani, irakeni - qualcosa la sta facendo in questo senso il cinema.] Altro elemento fondamentale della lettura: non solo l’immaginazione ma anche la parola non nutrita di letture, è limitata. “s’impara a parlare con precisione, con profondità, con rigore e con acutezza, grazie alla buona letteratura e soltanto grazie a questa”).

Essendo un’insegnante di storia e non di letteratura devo parlarvi delle biografie, ma con l’invito a leggere e soprattutto a stimolare negli alunni quanto più possibile la lettura dei romanzi (ma anche il cinema, linguaggio più vicino e dove, oggi, avvengono le cose migliori).

Quando Virginia Woolf dice che le biografie sono “le uniche prove accessibili al profano”, sta dicendo secondo me questo: i profani - i nostri alunni - che magari poi nella vita faranno gli ingegneri o i medici, devono però intanto imparare a essere cittadini del mondo, è questa l’istruzione che dobbiamo dare noi. Domani non saranno più profani, ma per il momento lo sono e per far capire loro la società in cui vivono e l’avventura della vita che li aspetta, la cosa migliore restano i romanzi e le biografie.

Delle biografie VW parla in diverse parti del saggio, per occasioni e questioni diverse. A proposito della richiesta dell’avvocato di ottenere aiuto per prevenire la guerra, quindi per mettersi d’accordo preliminarmente su cosa significa “guerra”.

biografia: “Come possiamo comprendere un problema che è soltanto vostro, e, quindi, come rispondere alla domanda, in che modo prevenire la guerra?Non avrebbe senso rispondere, basandoci sulla nostra esperienza e sulla nostra psicologia: che bisogno c’è di combattere? E’ chiaro che dal combattimento voi traete un’esaltazione, la soddisfazione di un bisogno, che a noi sono sempre rimaste estranee. Una vera e totale comprensione si potrebbe ottenere soltanto con una trasfusione completa del sangue e della memoria - ma la scienza non è ancora giunta a tanto. Eppure, sì, per noi che viviamo oggi esiste qualcosa di simile, un surrogato istantaneo della trasfusione del sangue e della memoria, un meraviglioso, inesauribile e ancora in gran parte inesplorato ausilio alla comprensione della natura umana: le biografie e i diari”(pp. 433-434)

Ma VW ci mette anche in guardia dai rischi che il ricorso alle biografie comporta.

VW utilizza in maniera sparsa nei tre capitoli il discorso sulle biografie. In genere serve ad argomentare l’estraneità delle donne , ma anche a decidere su questioni importanti, le biografie cioé possono servire per capire cosa le donne - e gli uomini - hanno fatto e quindi cosa “possono” fare. Prendiamo per esempio la parte in cui parlando delle professioniste che si dibattono nella loro povertà, VW immagina che loro, all’invito che la stessa VW le ha rivolto (di essere diverse dagli uomini nell’esercizio delle loro attività) dicano che

“noi, le figlie degli uomini colti, ci troviamo tra Scilla e Cariddi. Dietro di noi sta il sistema patriarcale; le pareti domestiche, con il loro nulla, la loro immoralità, la loro ipocrisia, il loro servilismo. Dinanzi a noi si apre il mondo della vita pubblica, con la sua possessività, la sua invidia, la sua aggressività, la sua avidità. L’uno ci tiene prigioniere come schiave nell’harem; l’altro ci obbliga, come bruchi l’uno in fila all’altro, a fare il girotondo attorno all’albero sacro della proprietà privata”.

A questa osservazione VW così risponde:

“Forse una risposta diversa l’abbiamo sott gli occhi, lì sugli scaffali della Sua biblioteca, ancora una volta nelle biografie. Forse, studiando gli esprimenti che i morti hanno fatto con la propria vita in passato, potremo trovare l’aiuto che cerchiamo per rispondere alla difficilissima domanda a cui dobbiamo rispondere. A ogni buon conto possiamo provare. La domanda che rivolgeremo ora alle biografie è la seguente: per i motivi esposti sopra conveniamo che dobbiamo guadagnare quattrini con le libere professioni; per i motivi esposti sopra tali professioni ci sembrano assolutamente indesiderabili. La domanda che vi poniamo, vite dei morti, è questa - come potremo intraprendere quelle professioni e tuttavia rimanere esseri umani civili, esseri umani, cioé, che vogliono evitare le guerre? Questa volta rivolgiamoci alle vite non degli uomini bensì delle donne che hanno esercitato le libere professioni. Ma ci deve essere una lacuna nella Sua biblioetca, gentile Signora.” E’ vero, e la testimonianza di un oscuro libro di un’oscura moglie di un membro della Royal Academy svela perchè: l’unico lavoro esercitato era quello di governante, di istitutrice. Ma ora vengono fuori dai bauli diari (di un’istitutrice) e anche qualche biografia di “professioniste” come Anne Clough (p. 520) e Josephine Butler (p. 520).

Da questo breve excursus VW trova solo occasioni per riflettere sull’estraneità, la mancanza di istruzione, la mancanza di professioni, ma anche già il modo diverso di esercitarle. In ogni caso ecco quello che VW ha tratto dalle biografie di Florence Nightingale, Anne Clough, Mary Kingsley e Gertrude Bell: “dobbiamo concludere che esse furono educate tutte alla medesima scuola. Loro maestre. Come obliquamente e indirettamente ma non per questo meno enfaticamente e inconfutabilmente ci indicano le biografie, furono la povertà, la castità, la derisione e - ma quale parola esiste per indicare la “mancanza di diritti e di privilegi”?Dovremo ricorrere una volta di più alla solita vecchia parola , “libertà?”. La “libertà da fittizi legami di fedeltà” fu dunque la quarta maestra; dalla fedeltà alla propria scuola, alla propria università, alla propria Chiesa, ai riti della propria casta, al proprio paese; la libertà di cui tutte quelle donne hanno goduto e di cui noi pure, in larga misura, ancora godiamo grazie alle leggi e alle usanze inglesi. Sia dunque la “libertà da fittizi legami di fedeltà”, la quarta grande maestra delle figlie degli uomini colti[...] Fu questa istruzione non pagata, ci informano le biografie, che le rese, molto appropriatamente, adatte a esercitare professioni non pagate. E, ci informano ancora le biografie, le professioni non pagate avevano le loro leggi, le loro tradizioni e difficltà, non meno delle professioni retribuite. Inoltre lo studioso di biografie non può certo mettere in dubbio la testimonianza delle biografie stesse circa gli orribili risultati di quelle professioni, sia per chi le svolgeva gratuitamente sia per la loro discendenza. L’incessante mettere al mondo figli della moglie non retribuita, l’incessante far quattrini del ben retribuito marito nell’età vittoriana ebbero fuor di ogni dubbio conseguenze terribili sulle menti e sui corpi dell’epoca presente”. Le biografie, “le vite di entrambi i sessi” stanno lì a dimostrare “la vacuità, la meschinità, il rancore, la tirannia, l’ipocrisia, l’immoralità a cui quell’educazione dette origine” Ma la prova conclusiva della crudeltà delle esperienze femminili rispetto a quelle maschili, dice VW “la si può trovare negli annali della “Grande Guerra”, quando ospedali, campi e fabbriche di munizioni si riempirono di profughe che fuggivano dai suoi orrorri [gli orrori dell’educazione e della condizione femminile], a paragone dei quali ospedali, campi e fabbriche parevano oasi di gioia”. (p. 523)

Mi sembra, questa, la pagina più illuminante sulla questione delle biografie, e in fondo sulla storia di genere, una prima utilizzazione della categoria del genere nella storiografia, in attesa dell’analisi della storica americana Joan Scott.

Da notare intanto , come questione di metodo, l’intrecciarsi necessario di biografia e storia, e come l’una illumini e faccia capire meglio l’altra. Ma VW è attenta anche ai rischi della biografia e li richiama più volte (anche se i suoi richiami alle biografie, come abbiamo avuto modo di vedere, sono incidentali, certo, non vuole affrontare il problema delle biografie in questo saggio)

A noi, oggi, le biografie delle donne del XX secolo - che ci sono e descrivono una situazione diversa da quella del XIX secolo - potrebbero servirci allo stesso fine un po’ di più.

Anche considerando quanto Virginia scrive dopo, pp. 523-524 “Ma il genere biografico - sul quale fra l’altro si era prodotto con ottimi risultati il suo amico Lytton Strachey, che in “Eminenti vittoriani” racconta anche la vita di Florence Nightingale, che evidentemente VW ha letto, poiché fu scritto nel 1918 - è multiforme e complesso; non restituisce mai una risposta univoca alle domande che gli vengono rivolte. Perciò le biografie[di cui sopra] dimostrano al di là di ogni dubbio che quella medesima educazione, l’educazione non pagata, deve aver avuto grandi virtù, oltre che gravi difetti, perché non si può negare che quelle donne, se pure non erano istruite, erano tuttavia donne civili. Non possiamo, quando prendiamo in esame la vita delle nostre incolte madri e nonne, giudicare la loro educazione semplicemente in base alla capacità di ottenere incarichi, di conseguire onori o di far quattrini

cioé non possiamo guardare alle biografie -e questo vale anche per il novecento e in primo luogo per tutte le biografie, non solo per quelle femminili - presumendo di avere dei parametri indiscussi di riferimento con cui confrontare le vite , sono le stesse vite che ci devono far scoprire quanto sta fuori dai parametri e per ciò stesso arriccisce il quadro delle possibilità, delle scelte di vita -

Dobbiamo, se siamo oneste, ammettere che alcune donne che non ricevettero alcuna istruzione a pagamento, alcuno stupendio, alcun impiego, furono esseri umani civili - se le si possano definire “inglesi” resta una questione controversa -; e dobbiamo pertanto ammettere che sarebbe molto sciocco da parte nostra buttar via i risultati di quell’educazione o rinunciare, quale che sia il premio in denaro o in onori che ci viene promesso in cambio, al sapere che in tal modo abbiamo accumulato. Così dunque sembrano rispondere le biografie alla domanda che abbiamo rivolto loro - come possiamo intraprendere le libere professioni e tuttavia rimanere esseri umani civili, esseri umani che cercano di impedire le guerre: se non rinnegherete le quattro grandi maestre delle figlie degli uomini colti - la povertà, la castità, la derisione e la libertà da fittizzi legami di fedeltà - ma riuscirete a unire a esse un po’ di ricchezza, un po’ di sapere e un po’ di dedizione a cause reali, allora potrete intraprendere le professioni evitando i pericoli che le rendono indesiderabili. (p. 524)

Un altro “luogo” in cui VW parla delle biografie è verso la fine del saggio, quando si sofferma su quella che chiama malattia, fissazione infantile, cioé la paura non ben identificata, da cui sembra originare la rabbia di molti uomini, per esempio dei padri che ostacolano le figlie o dei professionisti che teorizzano l’inferiorità delle donne, e, soprattutto degli uomini di Chiesa che si oppongono per esempio al sacerdozio femminile. Virginia vorrebbe analizzare questa paura e questa rabbia, che fra l’altro hanno un correlato femminile che le fa fermare davanti all’ostacolo presentato dalla rabbia maschile, ma sa che è questione degli specialisti, gli psicologi, che avocano a sé questa questione. Allora, dice Virginia,

“Ancora una volta, poiché noi siamo generaliste e non specialiste, dobbiamo basarci sulle testimonianze che possiamo raccogliere dalla Storia, dalle biografie e dal giornale: le uniche testimonianze accessibili alle figlie degli uomini colti. Prenderemo il primo esempio di fissazione infantile dalle biografie, e anche questa volta faremo ricorso alle biografie dell’Età vittoriana, poiché solo in quell’epoca il genere biografico si fa ricco e rappresentativo. Nelle biografie vittoriane i casi di fissazione infantile sono così numerosi che non sappiamo quali scegliere”.(p. 586)

In questo modo VW analizza alcune biografie da cui emergono i casi di padri talmente attaccati ai loro figli e soprattutto alle loro figlie che ne impediscono il matrimonio, figuriamoci la realizzazione professionale, o l’uscire da casa. E analizza anche, come una specie di controprova, una biografia da cui emerge un diverso comportamento del padre, e da cui originerà una vita diversa, delle scelte utili per la società da parte della figlia. Virginia si chiede come mai quella che era una malattia, appunto una fissazione infantile, poté tanto, in epoca vittoriana, poté, per esempio distruggere le vite di Charlotte Bronte, ma anche del suo uomo e così via per altri casi. “Ma a cosa era dovuta questa forza straordinaria? In parte, come dimostrano questi tre casi, al fatto che la fissazione infantile era protetta dalla società. La natura, la legge e la proprietà erano lì, pronte a giustificarla e a nasconderla. [...] Se volevano che le figlie rimanessero a casa, la società dava loro ragione. Se le figlie si ribellavano, accorreva in aiuto la natura. Una figlia che abbandonasse il padre era una figlia snaturata; la sua femminilità era sospetta. Se la figlia si ostinava, veniva in aiuto dei padri la legge. La figlia che abbandonava il padre non aveva mezzi per mantenersi. [...] A quanto pare la società era un padre, e un padre malato di fissazione infantile”.

Conclusione questa di una chiarezza e di una forza ineguagliate per descrivere la natura della società autoritaria e maschilista tipica dell’ottocento. Le biografie sembrano qui avere il pregio di far parlare le cose, i fatti, i problemi senza neutralizzali col linguaggio specialistico da iniziati (altro pregio delle biografie per la didattica).

Ma, a proposito della malattia infantile, occorre qui richiamare il cenno che VW fa al dibattito dell’epoca, e che spiega anche l’enfasi di certe parti dei due saggi di Virginia. La malattia infantile viene in qualche modo stigmatizzata anche da Bertrand Russel, il filosofo e matematico inglese che aveva fatto, anche lui, parte del gruppo di Bloomsbury.

“Chiunque abbia voglia di divertirsi può andare a leggere le acrobazie logiche di eminenti craniologi che cercano di dimostrare con misurazioni del cervello che le donne sono più stupide degli uomini”. Commenta VW: “La scienza a quanto pare non è asessuata; è un uomo; un padre, affetto da quel morbo. E la scienza, malata, fornì su ordinazione le misurazioni richieste: il cervello della donna era troppo piccolo perché lo si potesse sottoporre a esame.[...] Ma quando si superarono tutti gli esami “la Natura non si dette per vinta. Il cervello capace di superare gli esami non era un cervello creativo, capace di assumersi responsabilità, e di guadagnare alti stipendi . [...] Nella sua infinita saggezza la Natura, dicevano i grandi sacerdoti, aveva stabilito come legge immutabile la creatività dell’uomo. Lui gode, lei si limita a sopportare passivamente. E al corpo che sopporta è più affine il dolore che il piacere. ’Fino a poco tempo fa’ scrive Bertrand Russell, ’ le idee dei medici sulla gravidanza, il parto e l’allattamento erano improntate al sadismo”(p. 598)

storia: sempre in relazione con biografia, per esempio quando racconta del perché alle ragazze che hanno studiato nei college viene impedito di usare il “dott”. a precedere il loro nome, V. racconta, partendo da una biografa ma anche da alcuni fatti (in sintesi: duecentocinquanta anni fa - quindi alla fine del seicento - Mary Astell si proponeva di fondare un college. La principessa Anna le voleva offrire a questo fine la cifra di £ 10.000, ma il vescovo Burnet glielo impedì, il denaro fu destinato ad altro e il college non venne fondato). Questi fatti, dice però V. hanno un doppio risvolto, “mentre affermano il valore dell’istruzione, dimostrano anche che essa non è un valore assoluto; che non è un bene per tutti e in qualunque situazione; che è un bene solo per alcuni e per certi scopi . E’ un bene se dà come risultato la fede nella Chiesa d’Inghilterra; è un male se dà come risultato la fede nella Chiesa di Roma; è un bene per un sesso e per talune professioni; ma è un male per un altro sesso e per un’altra professione. Tale almeno sembra essere la risposta delle biografie - l’oracolo ha parlato, ma la sua risposta è ambigua”. (Partire dall’oggi, si propone allora VW. dall’istruzione che oggi viene impartita alle donne). “Ora fortunatamente non dobbiamo più basarci sulle biografie, che inevitabilmente, poiché riguardano la vita privata, sono irte di tutte le contraddizioni delle opinioni personali. Ora possiamo servirci dei documenti della vita pubblica, della Storia [...] La prima cosa che la Storia ci rende nota è che esistono oggi, e sono esistiti dal 1870 circa, college femminili a Pxford e a Cambridge” (pp. 456-457) ma ci dice anche altri fatti attorno a questi college, e qui V. riprende la storia che aveva inizato a raccontare , proseguendo col racconto dell’acquisyo, attorno alla metà del diciannovesimo secolo, di una casa a Cambridge per ospitarvi le studentesse. Non era adatta, fu quindi presa un’altra casa, ma neanche questa fu sufficiente perché il desiderio di studiare era enorme. “Ma, come ci insegna la Storia, per costruire una casa ci vogliono quattrini. E fin qui, nulla di strano; quello che invece La meraviglierà è sapere che quel denaro fu dato in prestito”(meraviglia perché ci si sarebbe attesa una donazione da parte di università etc, molto più ricche e acui in passato erano andati i soldi anche delle donne, vedi questione fondo di Arthur, e poi c’erano le famose diecimila sterlina che la Chiesa aveva tolto a Mary Astell). Insomma il terreno (che era di proprietà di una università, fu dato in affitto e i soldi furono racimolati a poco a poco dai privati e la prima attività fu per lo più volontaria. Insomma giunge il giorno degli esami. “Allora le direttrici, o le presidi , o come si facevano chiamare - di che titolo debba fregiarsi una donna che non si fa pagare lo stipendio rimane una questione controversa- chiesero ai vari Rettori e Presidi, sul cui titolo non sussistono dubbi, almeno per quel che riguarda lo stipendio, se le ragazze che avevano superato gli esami potessero rendere pubblico il fatto aggiungendo un titolo al proprio nome, come facevano quegli stessi signori. [...] Ma, in nome del cielo, esclameremo entrambi, quale ragione può aver impedito a quelle ragazze di premettere un dott. Al proprio nome, se questo poteva aiutarle a trovare lavoro? Ma a questa domanda la Storia non fornisce risposta; la risposta dobbiamo cercarla nella psicologia, nelle biografie; tuttavia la Storia ci fornisce dei fatti, questo per esempio” (il rettore racconta che la proposta fu respinta con una schiacciante maggioranza, 1707 voti contro 661). “La Storia, tuttavia, non si ferma. Un anno succede all’altro. E con gli anni le cose cambiano; sottilmente, impercettibilmente, si modificano. E la Storia ci fa sapere che alla fine, dopo aver speso tempo ed energie il cui valore non è misurabile nel sollecitare ripetutamente le autorità con l’umiltà che ci si attende dal nostro sesso e che si conviene ai supplici, venne concesso il diritto a far colpo sulle direttrici di scuola con un “dott.” prima del nome. Si trattava però, ce lo dice la Storia, di un diritto puramente nominale. A Cambridge, nel 1937 - Lei stenterà a crederci, Signore, ma ancora una volta è la voce dei fatti che parla, non la fantasia di un romanziere - i college femminili non sono membri dell’università; e il numero delle figlie di uomini colti cui è concesso di ricevere un’istruzione universitaria è tuttora rigidamente limitato, anche se ai fondi dell’Università contribuiscono, beninteso, entrambi i sessi”(pp. 460-463)

Fondo per l’educazione di Arthur: “Dal tredicesimo secolo in avanti tutte le famiglie inglesi hanno dato il loro contributo a quel fondo, hanno deposto il loro obolo nella bocca vorace di Arthur, e questo, quando si avevano tre figli maschi da far studiare, non era un sacrificio da poco. Perché la vostra educazione non consisteva soltanto nel leggere libri; bisognava educare il corpo con gli sport; e c’erano le amicizie da coltivare, ancora più importanti dei libri e degli sport per allargare gli orizzonti e arricchire la mente; e, nelle vacanze, i viaggi, per imparare ad apprezzare l’Arte, per farsi un’esperienza diretta di politica estera; e infine bisognava che vostro padre vi passasse un assegno annuo con cui vivere mentre imparavate la professione di vostra scelta”.

E’ un punto fondamentale, questo, per Virginia Woolf, ne parla sia nel primo che nel secondo saggio. Quello che le donne hanno perso, in termini di investimento per la loro istruzione e quindi poi in termini di tradizione (teniamo presente quanta importanza può avere nella cultura inglese, anche in chi come Virginia in qualche modo la contesta, il prestigio, la grandezza, la nobiltà della tradizione) è moltissimo, difficile da recuperare.

Il brano precedente continua quindi così, sempre rivolgendosi all’avvocato: “Perciò le cose, anche se sono le stesse, appaiono diverse, a noi e a Lei. Cos’è quel corpo di edifici un po’ severi, con cappelle, aule e prati tutt’intorno? Per Lei è la scuola a cui andava da ragazzo, Eton o Harrow; è Oxford o Cambridge, la Sua università, fonte inesauribile di ricordi e di tradizioni” mentre per le donne - ma noi possiamo aggiungere oggi, per gli immigrati o per le classi più povere, per esempio ricordo me stessa e mio fratello, i primi che hanno studiato nella famiglia, sono gli anni della scuola di massa, gli anni sessanta-settanta.... - i ricordi dell’istruzione “si trasformano, come per magia, in sottovesti lise, in cene di pane e formaggio consumate in una stanza gelida, nel treno per Dover che parte sempre senza di loro”.

E più oltre, a p. 447:

“Tra le due classi [generi] esistono ancora enormi differenze. E per dimostrarlo non è necessario fare ricorso alle pericolose e incerte teorie di psicologi e biologi; basta appellarsi ai fatti. L’educazione è un fatto. La vostra classe viene educata in scuole private e nelle università da cinque o seicento anni, la nostra da sessanta”. Dopo aver parlato anche della proprietà afferma “che tali differenze determinino a loro volta differenze notevolissime nella mente e nel corpo, nessuno psicologo o biologo vorrà negarlo. Da tutto ciò sembra si debba dedurre un fatto indisputabile: che “noi” - intendendo con “noi” l’intero organismo costituito da corpo, cervello e spirito, memoria e tradizione - dobbiamo necessariamente differire per qualche fondamentale aspetto da “voi”, il cui corpo, cervello e spirito hanno ricevuto un tirocinio tanto diverso e sono influenzati in modo tanto diverso dalla memoria e dalla tradizione. Pur vedendo il medesimo mondo, lo vediamo con occhi diversi. L’aiuto che vi possiamo dare sarà diverso e forse appunto per la sua diversità potrà avere qualche valore. Pertanto, prima di decidere di sottoscrivere al Suo manifesto, o di farci membri della Sua associazione, può valere la pena di scoprire in cosa esattamente consista tale diversità, perché allora può darsi che si scopra in cosa consiste l’aiuto che vi possiamo dare” (da questo punto la descrizione dei vestiti e dei rituali del potere, soprattutto militare, e la conclusione che le donne possono contribuire a evitare la guerra ridicolizzando tutto questo, rifiutandosi, ora che possono, di entrare in un ingranaggio fatto così, cioé fatto di competitività, gerarchia etc.).

atmosfera Parlando degli atteggiamenti che non esita a definirie fascisti e nazisti degli uomini che si oppongono strenuamente all’accesso delle donne alle professioni, VW affronta il tema dell’atmosfera (anni dopo sarà chiamato da una sociologa americana il “tetto di vetro” a significare gli ostacoli non legislativi che le donne si trovano ancora ad affrontare per l’affermazione nel mondo del lavoro): “L’atmosfera evidentemente è qualcosa di molto potente. Non solo ha la facoltà di cambiare forma e dimensioni alle cose; influisce anche su sostanze solide come gli stipendi, che si sarebbero creduti insensibili alle atmosfere. Sull’atmosfera si potrebbe scrivere un poema epico, o un romanzo in dieci o quindici volumi. [...] limitiamoci alla semplice constatazione che l’atmosfera è uno dei nemici più potenti, in parte perché è così impalpabile, contro i quali le figlie degli uomini colti devono combattere” Si riferisce qui anche ad alcune citazioni già fatte contro il lavoro delle donne e che poi sintetizza così: “Là dentro, in quelle citazioni, troviamo in embrione l’insetto che riconosciamo sotto altri nomi in altri paesi. Là sta racchiuso allo stato embrionale l’essere che, quando è italiano o tedesco, chiamiamo Dittatore, un essere che è convinto di avere il diritto[...] di imporre ad altri esseri umani come devono vivere, quello che devono fare.”

influenza femminile: Dice VW a proposito del diritto di voto (1929) e del diritto all’accesso alle professioni (1919) “il diritto di voto, in se stesso una conquista niente affatto trascurabile, si accompagnò misteriosamente a un altro diritto di così enorme valore per le figlie degli uomini colti da modificare il senso di quasi tutte le parole del vocabolario, compresa la parola “influenza”. Quando Le dirò che mi riferisco al diritto di guadagnarci da vivere, le mie parole non Le parranno esagerate”. [...] Da quel momento la parola influenza ha cambiato significato. [...] Non è l’influenza che esercita la gran Dama, la Sirena [vedi anche personaggio Mrs. Dalloway]; e non è l’influenza che essa stessa possedeva prima di avere diritto al voto; e neppure è l’influenza che possedeva quando, pur avendo diritto di voto, le era negato il diritto di guadagnarsi da vivere. E’ diversa perché ne è stata tolta la componente fascino; è diversa perché ne è stata tolta la componente denaro. Non ha più bisogno di esercitare il suo fascisno per ottenere quattrini dal padre o dal fratello. Poiché la famiglia non ha più il potere di imporle sanzioni economiche, essa può esprimere le proprie idee. In luogo dell’ammirazione o dell’avversione, spesso inconsciamente dettate dal bisogno di denaro, ora può dichiarare le proprie simpatie e antipatie. Insomma, non deve più dire di sì, può discutere. Possiede finalmente un’influenza che non è dettata dall’interesse” (pp.445- 446).

La Società delle Estranee A proposito della richiesta dell’avvocato che VW faccia parte della sua organizzazione, lei risponde delineando i tratti dell’associazione delle figlie degli uomini colti, “al di fuori della Vostra ma al suo fianco con gli stessi fini” [e questo vale non solo per i generi sessuali ma anche, per esempio per gli immigrati, come è stato utile per i negri d’america] In primo luogo, questa nuova associazione “non avrà alcun tesoriere onorario, perché non avrà bisogno di fondi. Non avrà alcuna sede, alcun comitato, alcuna segreteria; non convocherà riunioni, non organizzerà convegni. Se un nome dovrà avere, la si potrà chiamare la Società delle Estranee”. Segue la professione di fede pacifista, e l’indicazione di alcune piccole cose che le donne possono concretamente fare (come rifiutarsi di fabbricare munizioni), ma è la conclusione del discorso che vorrei richiamare in cui risponde idealmente ai fratelli, ai padri che vorrebbero convincere le donne ad appoggiare la guerra in nome della patria : “Perciò, se tu insisti nel voler combattere per proteggere me o la “nostra patria”, mettiamo bene in chiaro, a tu per tu, lucidamente e razionalmente, che tu stai combattendo per gratificare un istinto sessuale che io non condivido; per conquistare vantaggi che io non ho mai condiviso e probabilmente mai condividerò; e non per gratificare i miei istinti o per proteggere la mia persona oe la mia patria” [il riferimento di VW è Antigone] Perché, dirà l’estranea “io in quanto donna non ho patria. In quanto donna, la mia patria è il mondo intero”. “L’unico modo in cui possiamo aiutarvi a difendere la cultura e la libertà di pensiero è difendendo la nostra cultura e la nostra libertà di pensiero. Vale a dire che , quando da un college femminile [....]Quel che dobbiamo fare, Signore, è di sottoporre la Sua richiesta alle figlie degli uomini colti chiedendo loro di aiutarvi a prevenire la guerra non con consigli ai fratelli su come difendere la cultura e la libertà di pensiero, ma semplicemente leggendo e scrivendo la propria lingua in modo tale da difendere direttamente quelle divinità così astratte” (p.536)

In conclusione: “...la risposta alla vostra richiesta non può essere che una - il modo migliore per aiutarvi a prevenire una guerra non è di ripetere le vostre parole e seguire i vostri metodi, ma di trovare nuove parole e inventare nuovi metodi.” (p. 602)

VW non la usa, anzi sembra supportare apparentemente un atteggiamento opposto, ma io penso che la parola giusta per tradurre quello che lei sostiene ne Le tre ghinee, è la parola responsabilità.

Il valore dell’istruzione All’inizio della lettera al tesoriere dell’organizzazione femminile che chiede fondi per l’istruzione, VW risponde ironicamente che pretende davvero troppo, in questo momento storico: “lasci che la informiamo che si spendono ogni anno centinaia di milioni per l’esercito e la marina; infatti, a quanto si legge nella lettera che abbiamo qui accanto alla sua , siamo in grave pericolo di guerra [...] cosa ha fatto il Suo college per sollecitare la grande industria a sovvenzionarlo? Ha avuto una parte di rilievo nell’inventare le apparecchiature belliche?” (pp. 464-465)

Università (maschile) e college(femminile) “Dato che la Storia e le biografie - le uniche prove accessibili al profano - sembrano dimostrare che la vecchia istruzione impartita nei vecchi college non genera né particolare rispetto per la libertà, né particolare odio per la guerra, è chiaro che il Suo college va ricostruito su basi diverse. E’ un college giovane e povero: che tragga dunque vantaggio da queste qualità e sia fondato sulla povertà e sulla gioventù. Di conseguenza dovrà essere un college sperimentale, un college avventuroso. Diverso da tutti. Dovrà essere costruito non di pietra scolpita e di vetri istoriati, bensì di un materiale economico, infiammabile, che non sia ricettacolo di polvere e culla di tradizioni. Non mettetci cappelle. Non mettetci musei e biblioteche con libri alla catena e prime edizioni in bacheche di vetro. Che libri e quadri siano nuovi e sempre diversi. Che sia affrescato di bel nuovo dalle nuove generazioni, con le loro stesse mani; con poca spesa. Il lavoro dei vivi costa poco; spesso essi non chiedono altro in cambio di poterlo fare. E poi, cosa si dovrà insegnare nel college nuovo, nel college povero? Certo non l’arte di dominare sugli altri; non l’arte di governare, di uccidere, di accumulare terra e capitale. Queste arti richiedono spese generali troppo elevate: stipendi, uniformi, cerimonie. Nel college povero si dovranno insegnare solo le arti che si possono insegnare con poca spesa e che possono essere esercitate da gente povera: la medicina, la matematica, la musica, la pittura, la letteratura. E l’arte dei rapporti umani; l’arte di comprendere la vita e la mente degli altri, insieme alle arti minori che le completano: l’arte di conversare, di vestire di cucinare. Lo scopo del nuovo college, del college povero, dovrebbe essere non di segregare e di specializzare, ma di integrare. Dovrà inventare dei modi per far lavorare insieme la mente e il corpo; scoprire da quali nuove combinazioni possono nascere unità che rendono buona la vita umana. E gli insegnanti saranno scelti fra coloro che sono bravi a vivere oltre che a pensare.” Ma questa è utopia, dirà in qualche modo la stessa Virginia proseguendo su questo tono (la questione del dott.) . Le ragazze devono guadagnarsi da vivere e su queste basi non è possibile....si dovrà fare un college come quello degli uomini...e per far questo occorrerà un’istruzione simile...In conclusione la risposta potrebbe essere: “Neppure una ghinea del denaro guadagnato con il nostro lavoro sarà destinata alla ricostruzione del college sulle stesse basi di prima; alla stessa stregua è escluso che se ne possa spendere una per ricostruirlo su basi nuove. Di conseguenza la nostra ghinea verrà annotata sotto la voce “Stracci. Benzina. Fiammiferi” E Le verrà spedita accompagnata dal seguente biglietto: “Prenda questa ghinea e la usi per radere al suolo l’intera costruzione. Dia fuoco alle vecchie ipocrisie. Che il bagliore dell’edificio in fiamme faccia fuggire gli usignoli atterriti e invermigli i salici. E le figlie degli uomini colti danzino attorno al grande falò, gettando di continuo bracciate di foglie morte sulle fiamme, mentre le loro madri sporgendosi dalle finestre più alte gridano: “Che bruci! Che bruci! Non sappiamo che farcene di questa istruzione!”.

Ma nel frattempo , per prevenire la guerra, è meglio che le donne abbiano comunque un’istruzione, solo se sono indipendenti possono avere una qualche influenza.

La conclusione finale sarà quindi : “A quanto pare possiamo chiedere che non facciano nulla; che seguano la vecchia strada fino alla fine di sempre; la nostra influenza, in quanto siamo fuori dalle istituzioni, può essere solo di tipo molto indiretto”[...] Dobbiamo dare un contributo per la ricostruzione del college che, con tutte le sue carenze, costituisce l’unica alternativa alla casa paterna. Non ci resta che sperare che col tempo quel’educazione cambierà. Quella ghinea va data per prima, prima di darne una a Lei per la sua associazione. Ma è un contributo per il medesimo fine, la prevenzione della guerra. Le ghinee sono rare, sono preziose; ma ne invieremo una , senza porre condizioni, alla signora tesoriere onorario del fondo per la ricostruzione del college per le figlie degli uomini colti, perché sappiamo, così facendo, di dare un contributo concreto alla prevenzione della guerra.”

Indifferenza

E’ la risposta alla richiesta di entrare a far parte dell’associazione pacifista dell’avvocato, a partire dalla quale VW affronta il tema della indifferenza (che stranamente, nota Fusini, è legato alla “differenza” femminile”. Infatti dice: “Quale nuova esitazione, quali nuovi dubbi [...] quale pensiero o quale emozione ci può fare esitare a divenire membri di un’associazione i cui scopi approviamo, ai cui fondi abbiamo contribuito? Forse non si tratta né di un pensiero né di un’emozione, ma di qualcosa di più profondo, di più fondamentale. Di una differenza, forse. E diversi lo siamo, come hanno dimostrato i fatti, per sesso e per educazione. E’ da quella differenza, ancora una volta, che può venirvi l’aiuto, se aiutarvi possiamo, per difendere la libertà per prevenire la guerra. Ma se firmiamo il modulo che ci impegna a diventare membri attivi della sua Sua associazione, sarebbe come perdere quella differenza e quindi sacrificare la possibilità di aiutarvi” . Le ragioni di questo rifiuto sono oscure, ancestrali, dice VW (proverà a spiegarle nelle pagine successive) e la conclusione è la necessità della Società delle Estranee.

“Tale sarà dunque la natura della sua indifferenza, e da quell’indifferenza dovranno scaturire certe azioni. L’Estranea si impegnerà a non prendere parte a manifestazioni patriottiche; a non dare il suo avallo a alcuna forma di orgoglio nazionale; a essere assente da qualunque parata militare “

Antigone VW parla di Antigone nel dare indicazioni alle donne su come regolarsi riguardo al potere: (alla ricchezza, al sapere , insomma rispetto alla società che abbiamo ereditato): “L’Antigone di Sofocle. [...] Prenda il personaggio di Creonte. In esso troviamo la più profonda analisi condotta da un poeta, uno psicologo in azione, degli effetti del potere e della ricchezza sull’anima umana. Prenda la pretesa di Creonte al dominio assoluto sui suoi sudditi. E’ un’analisi della tirannide di gran lunga più istruttiva di tutti i discorsi dei politici del nostro tempo. Lei vuole sapere quali sono i fittizi legami di fedeltà che dobbiamo disprezzare e quali invece quelli veri, che dobbiamo onorare? Pensi alla distinzione che fa Antigone tra le leggi e la Legge. E’ una formulazione dei doveri dell’individuo verso la società di gran lunga più profonda di qualunque definizione ci viene offerta dai sociologi del nostro tempo. Per quanto pallida possa essere la traduzione, quelle cinque parole di Antigone valgono tutti i sermoni di tutti i vescovi del mondo. [“Non compagna dell’odio, ma compagna nell’amore io nacqui”] (p. 527) Ma l’insegnamento di Antigone è più chiaro nelle pagine precedenti, quando VW spiega cosa intende per povertà, castità, derisione: “Per povertà s’intende denaro sufficiente per vivere. Cioé, guadagnare abbastanza da non dipendere da nessuno altro essere umano e da poter comperare quel minimo di salute, di tempo, di sapere e così via che occorre per sviluppare appeno il corpo e la mente. Ma nulla di più, non un centesimo di più. Per castità s’intende che quando con il vostro lavoro vi sarete assicurate quanto basta per vivere, dovrete rifiutarvi di vendere il vostro cervello per denaro. Cioé dovrete rifiutarvi di lavorare, oppure farlo solo per amore della ricerca [...] Ma non appena vi sentite attirare nel vortice del girotondo, smettete subito. Spezzate il cerchio con una risata. Per derisione - brutta parola, ma, ancora una volta, la lingua inglese è così povera, occorrerebbero nuove parole - s’intende che dovrete rifiutare tutto ciò che serve a fare pubblicità al merito, e tener per fermo che il ridicolo, l’oscurità e la disapprovazione sono preferibili, per ragioni psicologiche, alla fama e alla lode. Non appena vi offrono insegne, onorificenze o titoli, sbatteteli subito in viso a chi ve li offre. Per libertà da fittizi legami di fedeltà s’intende che dovrete liberarvi in primo luogo dell’orgoglio per la vostra patria; e anche dell’orgoglio per la vostra religione, per la vostra università, scuola, famiglia, sesso, e da tutti i fittizi legami di fedeltà che queste forme di orgoglio creano.” (p. 525)

Di Antigone - più esattamente di Creonte - Virginia Woolf torna a parlare a proposito del fascismo, quello di Hiler e Mussolini, ma anche quello che c’è, strisciante, in Inghilterra, soprattutto nella volontà di relegare le donne di nuovo nel loro vecchio ruolo. Il contesto del discorso è infatti quello della fissazione infantile degli uomini [vedi biografia]: “Ebbene, restiamo in Inghilterra, Signore, e sintonizziamoci sull’onda della stampa quotidiana: sentiremo la risposta che danno oggi a quelle domande i padri colpiti oggi dal morbo della fissazione infantile. «Il posto della donna è in casa....Che le donne ritornino fra le pareti domestiche....Il Governo dovrebbe dare lavoro agli uomini[...] Le donne non sono capaci....Non sono capaci....Non sono capaci....»[...] Mentre ascoltiamo ci sembra di udir piangere un bambino nella notte, la notte nera che copre oggi l’Europa; è un pianto senza parole, Uh-è, uh-è...Ma non è un pianto nuovo, è antichissimo. Spegniamo la radio, ascoltiamo il passato. Siamo in Grecia, ora; Cristo non è ancora nato, e neppure San Paolo. Ascoltiamo...

«Colui che lo Stato ha scelto per suo capo, a costui bisogna ubbidire, nelle questioni piccole come nelle grandi, nelle cose giuste come nelle ingiuste...la disubbidienza è il male più grande che ci sia....Bisogna difendere l’ordine; mai, in nessun modo lasciarsi vincere da una donna. ...Servi, riportatele in casa: d’ora in poi dovranno essere donne, non essere libere». E’ la voce del tiranno Creonte. Così gli risponde Antigone, che sarebbe dovuta diventare sua figlia: «Non sono queste le regole sancite tra gli uomini da Giustizia, colei che abita con gli dei degli inferi». Ma Antigone non aveva alle spalle né capitale né potere, e Creonte può decidere: «La farò condurre dove è più deserto il sentiero e in una fossa di pietra, viva, la chiuderò». [...] è come se avessimo di nuovo sotto gli occhi le fotografie di cadaveri e di macerie che il governo spagnolo ci invia quasi settimanalmente. Le cose si ripetono. Immagini e voci sono le stesse oggi come duemila anni fa” (pp. 599-600)

Virginia torna quindi alle foto, alla lettera dell’avvocato. La paura che impedisce la libertà nella casa paterna, dice, è la stessa paura che è all’origine della sua lettera. In pratica patriarcato e fascismo coincidono, ancora una volta nelle parole di Virginia Woolf. Alle foto, via via, dice VW, si è sovrapposta un’altra immagine. “E’ l’immagine di un uomo; secondo alcuni, anche se altri lo negano, si tratta dell’Uomo per eccellenza, la quintessenza della virilità, l’idea perfetta di cui tutti gli altri sono solo l’ombra imperfetta. Di sicuro si tratta di un uomo. Ha gli occhi vitrei: feroci. Il corpo, irrifidito in una posa innaturale, è inguainato nell’uniforme. Sul petto sono cucite diverse medaglie e altri simboli mistici. La mano poggia sull’elsa della spada. In tedesco e in italiano si chiama Fuhrer o Duce; nella nostra lingua, tiranno o dittatore. Dietro di lui si vedono macerie e cadveri - uomoni, donne, bambini. Non le mostriamo questa fotografia per suscitare una volta di più la sterile emozione dell’odio. Al contrario, vogliamo che ne vengano fuori le altre emozioni, quelle che la figura umana, sia pure in fotografia, suscita in noi che siamo esseri umani. Perché ci suggerisce un collegamento che per noi è molto importante. Ci suggerisce che il mondo pubblico e il mondo privato sono inseparabilmente collegati; che le tirannie e i servilismi dell’uno sono le tirannie e i servilismi dell’altro. Ma la figura umana, anche in fotografia, evoca altre e più complesse emozioni. Ci fa capire che non possiamo dissociarci de quell’immagine, ma siamo noi stessi quell’immagine. Ci fa capire che non siamo spettatori passivi condannati all’ubbidienza, ma possiamo con i nostri pensieri e con i nostri gesti modificare quell’immagine. [....] cadaveri e macerie saranno il nostro destino se voi, nell’immensità delle vostre astrazioni pubbliche, dimenticherete l’immagine privata, e se noi, nell’intensità delle nostre emozioni private, dimenticheremo il mondo pubblico. Entrambe le case, quella pubblica e quella privata, quella materiale e quella spirituale, verranno distrutte, perché sono inseparabilmente collegate” (pp. 600-601)

Fascismo e antifascismo Guerra

“Nel giugno del 1938 Virginia Woolf pubblicò Le tre ghinee, riflessioni coraggiose e poco apprezzate sulle radici della guerra. Scritto nel corso dei due anni precedenti mentre Woolf, insieme a gran parte dei suoi amici e colleghi, era tutta presa dall’avanzare dell’insurrezione fascista in Spagna, il libro si presentava come la tardiva risposta a una lettera di un illustre avvocato londinese che le aveva rivolto la seguente domanda: “ Cosa, secondo lei, noi dobbiamo fare per prevenire la guerra?”. Woolf comincia con l’osservare causticamente che un sincero dialogo fra loro potrebbe forse non essere possibile. Anche se appartengono alla stessa classe, la “classe colta”, un profondo abisso, infatti, li separa: l’avvocato è un uomo e lei è una donna. Gli uomini fanno la guerra. Gli uomini (quasi tutti) amano la guerra, dal momento che nel combattimento trovano “un po’ di gloria, una certa necessità, e qualche soddisfazione” che le donne (quasi tutte) non provano né gradiscono. Che cosa può sapere della guerra una donna colta - vale a dire, privilegiata, benestante - come lei? E’ possibile che la sua repulsione alle lusinghe della guerra sia simile a quella di lui?” Genericità e ricaduta nel “noi” - questa l’accusa di Susan Sontag - di Wollf a partire dalle foto della guerra civile in Spagna. Ma ci da una notizia importante sul contesto storico in cui Virginia scrisse Le tre ghinee. “Oggi ci è forse difficile prestar fede al disperato proposito indotto dallo shock successivo alla Prima guerra mondiale, quando prese finalmente corpo la percezione della rovina che l’Europa aveva provocato a se stessa. Ma condannare la guerra in quanto tale non sembrava così futile o irrilevante all’indomani delle fantasie cartacee del Patto Kellogg-Briand del 1928, col quale quindici importanti nazioni, fra cui Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia e Giappone, rinunciavano solennemente alla guerra come strumento di politica nazionale; nel 1932 persino Freud e Enstein furono coinvolti nel dibattito con un pubblico scambio epistolare intitolato “Perché la guerra?”. Le tre ghinee di Woolf, apparso dopo quasi due decenni di accorate condanne della guerra, aveva almeno l’originalità (che ne fa il meno apprezzato dei suoi libri) di concentrarsi su ciò che era ritenuto così ovvio o inappropriato da non poterne parlare, e men che meno rifletterci sopra: che la guerra è uno sport maschile, che la macchina bellica ha un genere sessuale, ed è maschile. Ciò nonostante, la temerarietà della versione woolfiana del “Perché la guerra?” non basta a rendere la ripugnanza meno convenzionale nella sua retorica, nelle sue generalizzazioni zeppe di frasi ripetute. E le fotografie delle vittime di guerra sono anch’esse una sorta di retorica. Reiterano. Semplificano. Scuotono. Creano l’illusione del consenso. Evocando questa ipotetica esperienza di condivisione - “stiamo guardando insieme gli stessi corpi privi di vita, le stesse case in macerie” - Woolf sostiene di credere che lo shoc prodotto da tali immagini non possa non affratellare le persone di buona volontà. Ma è davvero così? Certo, Woolf e l’innominato destinatario di questa lettera in forma di libro non sono due persone qualsiasi. Le secolari affinità di condotta e sentimenti caratteristici cei loro rispettivi sessi li separano, ma l’avvocato, come la stessa Woolf gli ha ricordato, non è certo il tipico maschio bellicoso. In fin dei conti , non le ha chiesto: “Cosa ne pensa della possibilità di prevenire la guerra?”. Bensì: “Cosa, secondo lei, noi dobbiamo fare per prevenire la guerra?” Quel “noi” è proprio ciò che Woolf mette in discussione all’inizio del libro: non permette al suo interlocutore di dare un “noi” per scontato. Ma in quel noi, dopo alcune pagine dedicate alla questione femminista, finisce poi per ricadere. Non si dovrebbe dare mai un noi per scontato quando si tratta di guardare il dolore degli altri.”(Incipit da: Susan Sontag, Davanti al dolore degli altri, Mondadori, 2003)

(testo preparato per le lezioni tenute al corso sulle pari opportunità organizzato dall’istituto tecnico Cannizzaro e dall’istituto tecnico De Felice di Catania, nell’ambito del Pon 7b, anno scolastico 2004-2005)


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