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Paga e non incendieremo il negozio!

In Italia i commercianti vittime dell’usura sono 160mila, e di questi 122 mila vivono nelle quattro regioni con più alta concentrazione mafiosa: Sicilia, Campania, Calabria e Puglia...

di Vincenzo Raimondo Greco - mercoledì 4 ottobre 2006 - 4519 letture

In Italia i commercianti vittime dell’usura sono 160mila, e di questi 122 mila vivono nelle quattro regioni con più alta concentrazione mafiosa: Sicilia (50.000 pari al 70% del totale), Campania (40.000 pari al 40% del totale), Puglia (17.000 pari al 30% del totale), Calabria (15.000 par al 50% del totale). Un vero e proprio business dato che l’usura movimenta 30 miliardi di euro su circa 78 che rappresenta il giro di affari complessivo di tutti i reati.

Il pizzo è fenomeno diffuso innanzi tutto nelle grandi città metropolitane del sud. In Sicilia sono colpiti l’80% dei negozi di Catania e Palermo. Pagano il pizzo il 70% delle imprese di Reggio Calabria, il 50% di quelle di Napoli, del nord Barese e del Foggiano con punte, nelle periferie e nell’hinterland di queste città, che toccano la quasi totalità delle attività commerciali, della ristorazione, dell’edilizia.

Ogni attività economica-imprenditoriale viene “avvicinata” dai “signori del pizzo” con il volto “conveniente” della collusione, piuttosto che quello spietato della minaccia, per evitare forme d’allarme sociale e di ribellione.

Una richiesta diventata soft ma che non risparmia nessuno; neppure gli ambulanti che lo scorso anno scioperarono contro l’aumento della tangente “salita a 100 euro la settimana per ciascuna ‘bancarella’ a fronte delle precedenti 20 euro”. “Non c’è traffico, mercato, commercio su cui –denuncia SOS Impresa, diretto da Lino Busà - non abbiano le mani: droga, immigrazione clandestina, estorsioni, ciclo del cemento e dei rifiuti”.

La riscossione del ‘pizzo’ è un vero e proprio lavoro nel quale sono impiegati tutti i componenti della ‘famiglia’: non a caso nei mercati rionali di Napoli l’esazione delle tangenti è affidata a donne e bambini, i cosiddetti ‘muschilli’. Ma è in Sicilia che si vive la situazione più drammatica. Da una ricerca del Dipartimento minorile del Ministero della Giustizia risulta che a Gela il 40,3% dei minori accusati di mafia ha un familiare perseguito dalla legge per lo stesso motivo. Giovani estortori che non propongono il ‘pizzo’ in cambio di protezione, ma minacciano le vittime, eseguono attentati disastrosi e plateali, impongono con la violenza la tangente.

A questo aumento fa da pendant il silenzio, pressoché totale, dei commerciati. Le cause sono tante: vergogna nell’ammettere il fatto, rischio di chiudere la propria attività e ovviamente la paura di ritorsioni. E allora, “meglio pagare per quieto vivere”. Con la ‘tassa della malavita organizzata’ si provvede al sostentamento delle famiglie, dei clan, delle ‘ndrine, si assicura lo stipendio ai “carusi”, si aiutano i carcerati, si pagano gli avvocati.

Il “pizzo garantisce – si legge nel documento della Confesercenti ‘Le mani della criminalità sulle imprese’ - la quotidianità dell’organizzazione, accresce il suo dominio, conferisce un sempre maggiore prestigio ai clan, misura il tasso di omertà di una zona, di un quartiere e di una comunità”. Ed è così che la mafia si fa Stato. Non solo controlla il territorio, ma risolve controversie, distribuisce lavoro e favori, elargisce raccomandazioni. E quanto più forte ed incisiva è l’azione dello Stato tanto più pressante diventa la ‘richiesta’ di denaro da parte delle cosche che devono mantenere un alto numero di carcerati.

Qualcosa, comunque, si muove. Lo dimostra l’attività svolta dai giovani siciliani che hanno fondato l’associazione Addiopizzo (www.addiopizzo.org) che nel maggio 2005 ha lanciato la campagna “Contro il pizzo cambia i consumi” alla quale continuano ad aderire i commercianti siciliani. “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità” è lo slogan che i ragazzi si sono dati e che portano in giro per la Sicilia. Esperienza simile, e altrettanto degna di nota, è quella messa in piedi dai ragazzi di ‘Contracamorra’ . “Non possiamo aspettarci che singoli operatori denuncino in un clima di indifferenza collettiva” si legge nel loro manifesto “ma se questo è vero, è vero pure che possiamo sostenere concretamente e direttamente commercianti e imprenditori che decidono di opporsi al ricatto estorsivo orientando consapevolmente le nostre scelte di consumatori”.

E’ questo l’elemento, non secondario, che differenzia le strategie del gruppo napoletano da quello siciliano. A Napoli, dove molti commercianti hanno, da tempo, dato vita al coordinamento antiracket l’azione dei ragazzi di ‘contracamorra’ (www.contracamorra.it) è finalizzata “a promuovere una sorta di ‘patto di solidarietà’ tra commercianti che dicono ‘no’ al pizzo e consumatori che si impegnano a sostenerli con i propri acquisti”. Il mezzo è una raccolta di firme di consumatori messa in piedi dai commercianti aderenti al Coordinamento. L’obiettivo è giungere a quota 3.000 consumatori che invitano i commercianti a scrollarsi di dosso la ‘tassa della camorra’.

Vincenzo Greco


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