La poesia della settimana: Wislawa Szymborska
Accanto a un bicchiere di vino
Con uno sguardo mi ha resa più bella,
e io questa bellezza l’ho fatta mia
Felice, ho inghiottito una stella.
Ho lasciato che mi immaginasse
a somiglianza del mio riflesso
nei suoi occhi. Io ballo, io ballo
nel battito di ali improvvise.
Il tavolo è tavolo, il vino è vino
nel bicchiere che è un bicchiere
e sta lì dritto sul tavolo.
Io invece sono immaginaria,
incredibilmente immaginaria,
immaginaria fino al midollo.
Gli parlo di tutto ciò che vuole:
delle formiche morenti d’amore
sotto la costellazione del soffione.
Gli giuro che una rosa bianca,
se viene spruzzata di vino, canta.
Mi metto a ridere, inclino il capo
con prudenza, come per controllare
un’invenzione. E ballo, ballo
nella pelle stupita, nell’abbraccio
che mi crea.
Eva dalla costola, Venere dall’onda,
Minerva dalla testa di Giove
erano più reali.
Quando lui non mi guarda,
cerco la mia immagine
sul muro. E vedo solo
un chiodo, senza il quadro.
Annullare l’essere umano al cospetto di una natura, più meritevole di essere descritta, o cantata con i versi. L’essere umano, con le sue contraddizioni, capace di annientare milioni di anni di evoluzioni e mutamenti del mondo. L’essere, contaminato di presunzione e forza distruttrice, che con uno stolto amor proprio, si ostina ad accostarsi all’attributo "umano".
La verità non piace a nessuno. Sentirsela sbattuta in faccia da una donna, in un mondo bigotto e chiuso al più severo maschilismo, ancor meno. Se poi, dolcezza espressiva, poetica e una comunicazione semplice e diretta, accompagnano questo scrupolo di coscienza, che assale il lettore smarrito tra immagini metaforiche che mettono a nudo la vacuità dell’ambizione. Si, questa è poesia.
Wislawa Szymborska ha saputo costruirsi uno stile personale, fuori dai canoni e da un pregiudizio culturale verso il mondo letterario femminile, che non saprebbe esprimersi al di fuori dei dogmi e degli argomenti della tradizione romantica e nostalgica delle opere dell’Ottocento.
Polacca, nata a Bnin, Poznań, nel 1923, ha assistito adolescente all’invasione del suo paese da parte dei panzer tedeschi. Fa riflettere la sua clandestinità nel suo percorso di studi, che la portarono al diploma nel 1941. Da questa sua umiltà, ha gettato le basi di una poetica, dove la semplicità di un’intelligente ironia finisce per spiazzare un lettore disattento, trascinato in una logica lirica, che apparentemente conduce a una conclusione, contraddetta dai versi conclusivi.
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