La poesia della settimana: Giorgio Gaberscik

Il 1° gennaio 2003 ci lasciava il saltimbanco per eccellenza del panorama artistico italiano: il Signor G.

di Piero Buscemi - martedì 8 gennaio 2013 - 2481 letture

Io se fossi Dio

Io se fossi Dio...
 e io potrei anche esserlo,
 sennò non vedo chi!

Io se fossi Dio,
 non mi farei fregare dai modi furbetti della gente,
 non sarei mica un dilettante,
 Sarei sempre presente!
 Sarei davvero in ogni luogo a spiare
 o meglio ancora a criticare
 appunto cosa fa la gente.
 Per esempio il piccolo borghese
 com’è noioso,
 non commette mai peccati grossi,
 non è mai intensamente peccaminoso.
 Del resto, poverino, è troppo misero e meschino
 e pur sapendo che Dio è più esatto di una Sveda
 lui pensa che l’errore piccolino non lo conti o non lo veda.

Per questo
 io se fossi Dio,
 preferirei il secolo passato,
 se fossi Dio
 rimpiangerei il furore antico,
 dove si odiava, e poi si amava,
 e si ammazzava il nemico!

Ma io non sono ancora
 nel regno dei cieli,
 sono troppo invischiato
 nei vostri sfaceli...

Io se fossi Dio,
 non sarei così coglione
 a credere solo ai palpiti del cuore
 o solo agli alambicchi della ragione.

Io se fossi Dio,
 sarei sicuramente molto intero
 e molto distaccato
 come dovreste essere Voi!

Io se fossi Dio,
 non sarei mica stato a risparmiare,
 avrei fatto un uomo migliore.
 Si vabbè lo ammetto
 non mi è venuto tanto bene,
 ed è per questo, per predicare il giusto,
 che io ogni tanto mando giù qualcuno,
 ma poi alla gente piace interpretare
 e fa ancora più casino!

Io se fossi Dio,
 non avrei fatto gli errori di mio figlio,
 e sull’amore e sulla carità
 mi sarei spiegato un po’ meglio.

Infatti non è mica normale
 che un comune mortale
 per le cazzate tipo compassione e fame in India,
 c’ha tanto amore di riserva
 che neanche se lo sogna,
 che viene da dire:
 "Ma dopo come fa a essere così carogna?"

Io se fossi Dio,
 non sarei ridotto come Voi
 e se lo fossi io certo morirei
 per qualcosa di importante.

Purtroppo l’occasione
 di morire simpaticamente
 non capita sempre,
 e anche l’avventuriero più spinto
 muore dove gli può capitare
 e neanche tanto convinto.

Io se fossi Dio,
 farei quello che voglio,
 non sarei certo permissivo,
 bastonerei mio figlio,
 sarei severo e giusto,
 stramaledirei gli Inglesi
 come mi fu chiesto,
 e se potessi
 anche gli africanisti e l’Asia
 e poi gli Americani e i Russi;
 bastonerei la militanza
 come la misticanza
 e prenderei a schiaffi
 i volteriani, i ladri,
 gli stupidi e i bigotti:
 perché Dio è violento!
 E gli schiaffi di Dio
 appiccicano al muro tutti!

Ma io non sono ancora
 nel regno dei cieli,
 sono troppo invischiato
 nei vostri sfaceli...

Finora abbiamo scherzato!
 Ma va a finire che uno
 prima o poi ci piglia gusto
 e con la scusa di Dio tira fuori
 tutto quello che gli sembra giusto.

E a te ragazza
 che mi dici che non è vero
 che il piccolo borghese
 è solo un po’ coglione,
 che quel uomo è proprio un delinquente,
 un mascalzone, un porco in tutti i sensi, una canaglia
 e che ha tentato pure di violentare sua figlia!

Io come Dio inventato,
 come Dio fittizio,
 prendo coraggio
 e sparo il mio giudizio e dico:
 "Speriamo che a tuo padre
 gli sparino nel culo cara figlia!".
 Così per i giornali diventa
 un bravo padre di famiglia.

Io se fossi Dio,
 maledirei davvero i giornalisti
 e specialmente tutti,
 che certamente non son brave persone
 e dove cogli, cogli sempre bene.
 Compagni giornalisti avete troppa sete
 e non sapete approfittare delle libertà che avete,
 avete ancora la libertà di pensare
 ma quello non lo fate
 e in cambio pretendete la libertà di scrivere,
 e di fotografare immagini geniali e interessanti,
 di presidenti solidali e di mamme piangenti.
 E in questa Italia piena di sgomento
 come siete coraggiosi, voi che vi buttate
 senza tremare un momento:
 cannibali, necrofili, deamicisiani e astuti,
 e si direbbe proprio compiaciuti.
 Voi vi buttate sul disastro umano
 col gusto della lacrima in primo piano.
 Sì vabbè lo ammetto
 la scomparsa dei fogli e della stampa
 sarebbe forse una follia,
 ma io se fossi Dio,
 di fronte a tanta deficienza
 non avrei certo la superstizione della democrazia!

Ma io non sono ancora
 del regno dei cieli,
 sono troppo invischiato
 nei vostri sfaceli...

Io se fossi Dio,
 naturalmente io chiuderei la bocca a tanta gente,
 nel regno dei cieli non vorrei ministri
 e gente di partito tra le "balle",
 perché la politica è schifosa
 e fa male alla pelle.
 E tutti quelli che fanno questo gioco,
 che poi è un gioco di forza, è ributtante e contagioso
 come la lebbra e il tifo,
 e tutti quelli che fanno questo gioco,
 c’hanno certe facce
 che a vederle fanno schifo,
 che sian untuosi democristiani
 o grigi compagni del P.C.
 Son nati proprio brutti
 o perlomeno tutti finiscono così.

Io se fossi Dio,
 dall’alto del mio trono
 vedrei che la politica è un mestiere come un altro
 e vorrei dire, mi pare Platone,
 che il politico è sempre meno filosofo
 e sempre più coglione!:
 è un uomo tutto tondo
 che senza mai guardarci dentro scivola sul mondo,
 che scivola sulle parole
 anche quando non sembra o non lo vuole.

Compagno radicale,
 la parola compagno non so chi te l’ha data,
 ma in fondo ti sta bene,
 tanto ormai è squalificata,
 compagno radicale,
 cavalcatore di ogni tigre, uomo furbino
 ti muovi proprio bene in questo gran casino
 e mentre da una parte si spara un po’ a casaccio
 e dall’altra si riempiono le galere
 di gente che non centra un cazzo!
 Compagno radicale,
 tu occupati pure di diritti civili
 e di idiozia che fa democrazia
 e preparaci pure un altro referendum
 questa volta per sapere
 dov’è che i cani devono pisciare!

Compagni socialisti,
 ma sì anche voi insinuanti, astuti e tondi,
 compagni socialisti,
 con le vostre spensierate alleanze
 di destra, di sinistra, di centro,
 coi vostri uomini aggiornati,
 nuovi di fuori e vecchi di dentro,
 compagni socialisti fatevi avanti
 che questo è l’anno del garofano rosso e dei soli nascenti,
 fatevi avanti col mito del progresso
 e con la vostra schifosa ambiguità!
 Ringraziate la dilagante imbecillità!

Ma io non sono ancora
 nel regno dei cieli,
 sono troppo invischiato
 nei vostri sfaceli...

Io se fossi Dio,
 non avrei proprio più pazienza,
 inventerei di nuovo una morale
 e farei suonare le trombe
 per il Giudizio universale.

Voi mi direte perché è così parziale
 il mio personalissimo Giudizio universale?
 Perché non suonano le mie trombe
 per gli attentati, i rapimenti,
 i giovani drogati e per le bombe?
 Perché non è comparsa ancora l’altra faccia della medaglia.
 Io come Dio, non è che non ne ho voglia,
 io come Dio, non dico certo che siano ingiudicabili
 o addirittura, come dice chi ha paura, gli innominabili,
 ma come uomo come sono e fui
 ho parlato di noi, comuni mortali,
 quegli altri non li capisco,
 mi spavento, non mi sembrano uguali.
 Di loro posso dire solamente
 che dalle masse sono riusciti ad ottenere
 lo stupido pietismo per il carabiniere,
 di loro posso dire solamente
 che mi hanno tolto il gusto
 di essere incazzato personalmente.
 Io come uomo posso dire solo ciò che sento,
 cioè solo l’immagine del grande smarrimento.

Però se fossi Dio
 sarei anche invulnerabile e perfetto,
 allora non avrei paura affatto,
 così potrei gridare, e griderei senza ritegno che è una porcheria,
 che i brigatisti militanti siano arrivati dritti alla pazzia!

Ecco la differenza che c’è tra noi e gli innominabili:
 di noi posso parlare perché so chi siamo
 e forse facciamo più schifo che spavento,
 ma di fronte al terrorismo o a chi si uccide c’è solo lo sgomento.

Ma io se fossi Dio,
 non mi farei fregare da questo sgomento
 e nei confronti dei politicanti
 sarei severo come all’inizio,
 perché a Dio i martiri
 non gli hanno fatto mai cambiar giudizio.

E se al mio Dio che ancora si accalora,
 gli fa rabbia chi spara,
 gli fa anche rabbia il fatto
 che un politico qualunque
 se gli ha sparato un brigatista,
 diventa l’unico statista.

Io se fossi Dio,
 quel Dio di cui ho bisogno come di un miraggio,
 c’avrei ancora il coraggio di continuare a dire
 che Aldo Moro insieme a tutta la Democrazia Cristiana
 è il responsabile maggiore di vent’anni di cancrena italiana.

Io se fossi Dio,
 un Dio incosciente enormemente saggio,
 avrei anche il coraggio di andare dritto in galera,
 ma vorrei dire che Aldo Moro resta ancora
 quella faccia che era!

Ma in fondo tutto questo è stupido
 perché logicamente
 io se fossi Dio,
 la Terra la vedrei piuttosto da lontano
 e forse non ce la farei ad accalorarmi
 in questo scontro quotidiano.

Io se fossi Dio,
 non mi interesserei di odio o di vendetta
 e neanche di perdono
 perché la lontananza è l’unica vendetta
 è l’unico perdono!

E allora
 va a finire che se fossi Dio,
 io mi ritirerei in campagna
 come ho fatto io...

Biografia tratta da www.italica.rai.it

Di origini triestine, nato da una famiglia medio-borghese, Giorgio Gaberscik è nell’ambiente musicale sin dalla fine dei ’50: i primi passi li muove nel rock’n’roll con "Ciao, ti dirò", poi comincia un percorso più personale, nella duplice direzione di canzoni delicate ed eleganti ("Non arrossire", "Geneviéve") o diversamente ritratti ironici di tipi e luoghi della milanesità ("La ballata del Cerutti", "Porta Romana", "Trani a gogò"). In questa fase iniziale della sua carriera, fondamentale risulta l’apporto del paroliere Umberto Simonetta, scrittore e umorista di poco noto talento. La sensazione che Gaber sia un personaggio destinato a non imbrancarsi nella folla di meteore dell’epoca promana già da brani di non comune spessore, da "Le strade della notte" a "Le nostre serate" (verso di essa, Montale sarà prodigo d’elogi in un lungo articolo sul "Corriere letterario"). E’ del 1965 il suo matrimonio con la cantante Ombretta Colli; frattanto, egli procede spedito sulla strada del successo, con pezzi che si chiamano "Goganga", "Torpedo Blu" (composta assieme a Leo Chiosso), "Barbera e champagne". Autore del testo di quest’ultima è Sandro Luporini, pittore toscano che dipoi avrà per lui un ruolo fondamentale. Intanto, canzoni quali "Com’è bella la città" e "Suona chitarra" sono i segnali d’un artista altro, orientato ad un discorso poetico e musicale di marcato impegno e profondità. Così, proprio nel suo periodo di maggior lustro commerciale (trionfali gli esiti di una tournée con Mina, nel ’69), Gaber dedice di accettare una proposta del Piccolo di Milano mettendo su uno spettacolo, "Il signor G", che mescola con abilità canzoni e recitato: è l’atto di nascita della fortunatissima formula del teatro-canzone. Nel ’71 esce l’album "I borghesi", manifestamente segnato dall’influenza di Jacques Brel; nel ’72 s’inaugura il sodalizio Gaber-Luporini che durerà per un trentennio, con risultati impareggiabili per originalità. Gli spettacoli "Dialogo tra un impegnato e un non so" (1972), "Far finta di essere sani" (1974), "Anche per oggi non si vola" (1975), "Libertà obbligatoria" (1976) e "Polli d’allevamento" (1978) propongono una riflessione sui rapporti fra individuo e società che si concretizza in una serie di pezzi memorabili, da "Lo shampoo" a "E’ sabato", da "La libertà" a "Quando è moda è moda". Corrosivo, pungente, sarcastico, Gaber usa l’ironia come un’arma che colpisce senza pietà od esclusioni, giungendo sino all’invettiva di "Io se fossi Dio" (1980): negli anni ’80, la riflessione - da "Anni affollati" (1981) a "Il grigio" (1989) - si fa vieppiù immalinconita, laddove il decennio seguente propone nuovi lampi, da "E pensare che c’era il pensiero" (1995) a "Un’idiozia conquistata a fatica" (1999). Poi, i giorni difficili della malattia, un album che titola "La mia generazione ha perso" (2001) e il commiato postumo di "Io non mi sento italiano" (2003), con vendite sorprendenti per un personaggio così fuori dagli schemi.


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