John Lennon

Non sapremmo mai giudicare con onestà intellettuale, se la produzione artistica di John Lennon abbia raggiunto la sublimità con i Beatles o con Yoko Ono. Forse, non ha neanche importanza saperlo.

di Piero Buscemi - mercoledì 24 dicembre 2014 - 4542 letture

God

God is a concept
 By which we measure
 Our pain
 I’ll say it again
 God is a concept
 By which we measure
 Our pain

I don’t believe in magic
 I don’t believe in I-ching
 I don’t believe in Bible
 I don’t believe in Tarot
 I don’t believe in Hitler
 I don’t believe in Jesus
 I don’t believe in Kennedy
 I don’t believe in Buddha
 I don’t believe in Mantra
 I don’t believe in Gita
 I don’t believe in Yoga
 I don’t believe in kings
 I don’t believe in Elvis
 I don’t believe in Zimmerman
 I don’t believe in Beatles

I just believe in me
 Yoko and me
 And that’s reality

The dream is over
 What can I say?
 The dream is over
 Yesterday
 I was the Dreamweaver
 But now I’m reborn
 I was the Walrus
 But now I’m John
 And so dear friends
 You’ll just have to carry on
 The dream is over

Che la religione, o ciò che l’uomo ha trasformato a suo uso e consumo, rappresentasse da sempre il punto di frattura della convivenza dei popoli e l’alibi id una qualsiasi "guerra giusta", John Lennon lo aveva capito da tempo. Sicuramente non prima di altri, né più di altri, aveva avvicinato la sua spiritualità alle paure che l’uomo si trascina da millenni. Quel modo anche bizzarro di nascondere un ossessivo attaccamento alla vita, rifiutando di conseguenza la fine della propria esistenza.

Una paura nascosta dal credo di un "aldilà" che, a varie latitudini, si è manifestata estorcendo all’intelligenza una miscela di creatività, misticismo, idolatria e un pizzico di filosofia. Da un’idea di reincarnazione, bramata anche da costruttori di paradisi, più o meno artificiali, a un’opportunità di redenzione, spesso dopo una vita di soffocati scrupoli di coscienza, ognuno si è creato una giustificazione che assomigliasse a una rassegnazione, vero collante di un destino comune.

Per questo suo realismo mistico, forse John Lennon pagò il suo scotto culturale con la propria vita, ma di quanto ha scritto ci rimangono l’umiltà di un uomo, al quale, altri uomini riconobbero una fama internazionale; il suo struggimento davanti alla vacuità di milioni di parole disperse nel vento, come Zimmermann, per certi versi il suo alter ego americano, ebbe modo di cantare; la sua voglia di dimostrare al mondo che, se l’obiettivo comune dovrebbe essere quello della pace, allora bisognerebbe essere disposti a rinnegare qualsiasi cosa che stimoli una competizione. Tra queste, anche la religione.

Peccato che qualcuno pensò di tappare per sempre la bocca di questo discusso poeta, una sera di dicembre di trentaquattro anni fa. Ma ci riuscì per davvero?


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