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Il marxismo critico di Antonio Labriola

Antonio Labriola è stato pensatore hegelo-marxiano, la sua analisi si è avvalsa del metodo olistico con il quale interpretare la storia e la sua direzione. Il suo marxismo critico è stato improntato ad un profondo umanesimo.

di Salvatore A. Bravo - venerdì 9 febbraio 2024 - 476 letture

Nichilismo adattivo e capitalismo

Il capitalismo nell’attuale fase logora ogni memoria identitaria al fine di rendere i soggetti funzioni del sistema, perché vi sia l’esodo dal capitale è fondamentale domandarsi che cosa il capitalismo: violenza e dominio mediante l’adorazione idolatra del plusvalore.

Vi è la violenza percettiva e la violenza psichica, entrambe nella loro azione coordinata producono e disseminano in ogni punto della comunità saccheggiata tensione e privazione. L’abbondanza materiale è consustanziale alla privazione ontologica del bene e dei fini oggettivi.

Il capitalismo deforma la natura umana, bombarda “gli stati canaglia” e saccheggia l’ambiente; a livello psichico sottrae memoria, contenuti ed identità per rendere i soggetti flessibili e adattivi. La percezione del mondo è alterata dal frastuono delle immagini e dei suoni, si tutto regna la cinesi della dispersione. La velocità mito e croce della modernità divide il soggetto da se stesso e dalla comunità. Non si ascolta il corpo vissuto, le relazioni si consumano velocemente, per cui la percezione è distorta al punto da fondare il soggetto deterritorializzato, regna la scissione in ogni direzione relazionale. L’alterazione è tale che il soggetto diviene incapace di distinguere il mondo reale dall’immaginario indotto. Confusione e caos sono i mali in cui il soggetto precipita.

Per trasformare i popoli in materiale inerte il capitalismo sottrae loro la lingua e la storia. Senza lingua non vi è logos, ma solo un soggetto sempre più simile al “niente”.

Il caso italiano è emblematico: l’anglo-italiano si coniuga con l’ostracismo perenne alla tradizione culturale e filosofica italiana.

Antonio Labriola

La grande tradizione filosofica italiana hegelo-marxiana tra Ottocento e Novecento è scomparsa dalle Accademie come dai media, al suo posto regna la chiacchiera e l’incultura dello spettacolo. Il grande nulla che stiamo vivendo emerge nelle forme violente del degrado morale sempre più palesi negli episodi di cronaca quotidiana. La pochezza interpretativa degli stessi è il segno più evidente della regressione culturale e civile di questi decenni. Senza identità culturale non è possibile uscire dal degrado antropologico.

L’identità culturale è dialettica, perché consente il dialogo tra storie e tradizioni, senza di esse il linguaggio è solo atto fonatorio senza significato. La grande vittoria del sistema neoliberale è nella convinzione, ormai diffusa e quasi totale, che la storia non abbia un senso, che sia solo il susseguirsi di eventi fatali che cadono “dall’alto dei cieli”. Dinanzi a tale condizione le risposte possono essere molteplici, ma non si può prescindere dal ricordare coloro che il sistema tratta come “cani morti”.

Antonio Labriola [1] è stato pensatore hegelo-marxiano, la sua analisi si è avvalsa del metodo olistico con il quale interpretare la storia e la sua direzione. Il suo marxismo critico è stato improntato ad un profondo umanesimo. Nella storia vi sono processi che dipendono dal modo di produzione e dalle sue forze, ma senza la coscienza di classe che li reinterpreta e li finalizza non vi è razionalità ma solo fatalismo. Il vero motore della storia è la coscienza comunitaria di classe la quale trasforma contingenze e violenze mediante la decodifica delle stesse. “Il moto proletario” è creativo, poiché pensa collettivamente la violenza di cui è oggetto, in tal modo chi è posto nella condizione di vittima e servitù può ribaltare il proprio stato per diventare soggetto responsabile nella storia:

“C’è sì un’analisi, che, separando astrattamente i fattori di un organismo, li distrugge in quanto elementi concorrenti nella unità del complesso: - ma ce n e un’altra di analisi, ed essa sola ha valore per la intelligenza della storia, ed è quella che distingue e separa gli elementi soltanto per ravvisarvi la necessità obiettiva della concorrenza loro nel resultato. Oramai è opinione popolare, che il socialismo moderno sia un normale e perciò inevitabile portato della storia attuale. La sua azione politica, che ammette, sì, d’ora innanzi indugi e ritardi, ma non più riassorbimento totale e annichilimento, cominciò decisamente con la Internazionale. Più indietro però di questa sta il Manifesto. La sua dottrina è innanzi tutto la luce teorica portata sul movimento proletario; il quale, del resto, s’era generato e continua a generarsi indipendentemente dall’azione di ogni dottrina. E poi è più che questa luce. Il comunismo critico non sorge se non nel momento in cui il moto proletario, oltre ad essere un resultato delle condizioni sociali, ha già tanta forza in sé da intendere, che queste condizioni sono mutabili, e da intravvedere con quali mezzi e in che senso possano essere mutate. Non bastava che il socialismo fosse un resultato della storia; ma bisognava inoltre intendere come fosse intrinsecamente cotale resultato, e a che cosa menasse l’agitazione sua. L’enunciazione di tale consapevolezza, che cioè il proletariato, come resultato necessario della società moderna, ha in sé la missione di succedere alla borghesia, e di succederle come forza produttrice di un nuovo ordine di convivenza, in cui le antitesi di classe dovranno sparire, fa del Manifesto un momento caratteristico del corso generale della storia. Esso è una rivelazione, ma non già come apocalissi o promessa di millennio. È la rivelazione scientifica e meditata del cammino che percorre la nostra società civile (che l’ombra di Fourier mi sia benigna); la quale rivelazione, pei modi come è espressa, assume la parola decisiva e direi fulminea di chi enuncia nel fatto la necessità del fatto stesso” [2].

Labriola coglie il nucleo essenziale della filosofia di Marx, ovvero il proletariato è il soggetto che deve riorientare la storia, deve condurre verso l’esodo dall’alienazione nelle sue forme plurali. In Labriola la speranza si coniuga con l’analisi delle condizioni storiche e strutturali. Il proletariato è la classe su cui grava il dolore e l’ingiustizia del modo di produzione capitalistico per cui è la classe deputata alla liberazione dell’umanità tutta. Se il finalismo è tramontato, oggi il motore della storia restano gli ultimi. Il proletariato composito di precari, operai e migranti possono ancora essere la miccia che può far deviare la storia. La speranza è ancora negli ultimi che vivono nella carne la violenza quotidiana del grande capitale.

Comunismo critico

La storia non è iscritta secondo una fatalità binaria: dominatori-dominati, gaudenti-sofferenti, tale condizione ha le sue cause umane e pertanto modificabili. Il grande successo del capitale supportato è nell’aver ipostatizzato tale contraddizione. Nichilismo e pessimismo lavorano per rendere la contraddizione eterna. Non a caso i discepoli di Schopenhauer (Galimberti, Mieli ecc.) hanno ampio spazio e visibilità, descrivono a tinte fosche una contingenza inemendabile, di conseguenza le loro critiche diventano la lastra tombale per un’impossibile prassi. Il sistema incentiva e favorisce la diffusione di questa linea interpretativa del presente per presentarsi come democratico e per “educare” all’adattamento senza speranza.

Il comunismo critico di Labriola conosce la fatalità ideologica, ma per smascherarla e riportare la storia alla prassi possibile, alla speranza radicata razionalmente nella storia:

“Come il proletariato moderno suppone la borghesia, così questa non vive senza di esso. E l’uno e l’altra sono il resultato di un processo di formazione, che tutto poggia sul nuovo modo di produrre i mezzi necessari alla vita; cioè tutto poggia sul modo della produzione economica. La società borghese è sorta dalla società corporativa e feudale, e ne è sorta lottando, e rivoluzionando ciò che aveva dinanzi a sé, per impossessarsi degl’istrumenti e dei mezzi della produzione, i quali tutti poi culminano nella formazione, nell’allargamento, e nella riproduzione e moltiplicazione del capitale. Descrivere la origine ed il progresso della borghesia, nelle sue varie fasi, esporre i suoi successi nello sviluppo colossale della tecnica e nella conquista del mercato mondiale, indicare le conseguenti trasformazioni politiche, che di tali conquiste sono l’espressione, le difese e il resultato, vuol dire fare al tempo stesso la storia del proletariato. Questo, nella sua condizione attuale, è inerente all’epoca della società borghese; ed ebbe, ha ed avrà tante e tante fasi, quante ne ha questa società stessa, fino al suo dissolvimento. L’antitesi di ricchi e di poveri, di gaudenti e di sofferenti, di oppressori e di oppressi, non è un qualcosa di accidentale e di facilmente removibile, come era parso agli entusiastici amatori della giustizia. Anzi è un fatto di necessaria correlazione, dato il principio direttivo dell’attuale forma di produzione; il che apparisce nella necessità del salariato. Questa necessità è in sé duplice. Il capitale non può impossessarsi della produzione se non a patto di proletarizzare, e non può continuare ad esistere, ad esser fruttifero, ad accumularsi, a moltiplicarsi e a trasformarsi, se non a patto di salariare i proletarizzati. E questi, alla lor volta, non possono esistere e rinnovarsi se non a condizione di darsi a mercede, come forza di lavoro, il cui uso è abbandonato alla discrezione, cioè alle convenienze dei possessori del capitale” [3].

Esodo e prassi

La prassi storica non è profezia, ma potenzialità pronta a trasformarsi in atto, se ci si dispone al cambiamento, affinché ciò possa essere sono necessarie le condizioni storiche e la coscienza interpretativa di classe. I due elementi per coniugarsi e diventare operativi hanno bisogno di cultura critica e rappresentanza politica. Il sistema aziendalizza la storia e rende la democrazia pura formalità senza realtà allo scopo di conservare se stesso. Ogni vera rivoluzione, sottolinea Labriola, non può che coinvolgere interamente la comunità sociale; la rivoluzione è partecipazione diffusa, è movimento che necessita della relazione osmotica tra partito e popolo. Se la rivoluzione diventa settaria non può che fallire, perché non è rivoluzione, ma moto di pochi. Il comunismo critico di Labriola è umanistico perché democratico:

“La previsione storica, che sta in fondo alla dottrina del Manifesto, e che il comunismo critico ha poi in seguito ampliata e specificata con la più larga e più minuta analisi del mondo presente, ebbe di certo, per le circostanze del tempo in cui apparve la prima volta, calore di battaglia, e colore vivissimo di espressione. Ma non implicava, come non implica tuttora, né una data cronologica, né la dipintura anticipata di una configurazione sociale, come fu ed è proprio delle antiche e nuove profezie e apocalissi. L’eroico Fra Dolcino non era sorto di nuovo a levar per le terre il grido di battaglia, per la profezia di Gioacchino di Fiore. Né si celebrava nuovamente a Münster la risurrezione del regno di Gerusalemme. Non più Taborriti o Millenarii, Non più Fourier, che aspettasse chez soi, a ora fissa, per degli anni, il candidato della umanità. Non era più il caso che l’iniziatore di una nuova vita cominciasse da sé a mettere in essere, con mezzi escogitati, e in modo unilaterale ed artificiale, il primo nocciolo di una consociazione, che rifacesse, come albero da germoglio, la pianta uomo: - come accadde da Bellers, attraverso Owen e Cabet, fino alla impresa dei fourieristi nei Texas, che fu la catastrofe, anzi la tomba, dell’utopismo, illustrata da un singolare epitaffio, la calda eloquenza di Considérant che ammutolì. Qui non è più la setta, che in atto di religiosa astensione si ritragga pudica e timida dal mondo, per celebrare in chiusa cerchia la perfetta idea della comunanza; come dai Fraticelli giù giù alle colonie socialistiche di America. Qui, invece, nella dottrina del comunismo critico, è la società tutta intera, che in un momento del suo processo generale scopre la causa del suo fatale andare, e, in un punto saliente della sua curva, la luce a se stessa per dichiarare la legge del suo movimento. La previsione, che il Manifesto per la prima volta accennava, era, non cronologica, di preannunzio o di promessa; ma era, per dirla in una parola, che a mio avviso esprime tutto in breve, morfologica” [4].

Il nichilismo imperante non è un destino, ma una condizione contingente storica, la quale non è la conclusione della storia. Uscire dal fatalismo significa riportare la prassi al centro e specialmente leggere l’attualità con categorie teoretiche che ne permettano la razionalità interpretativa. La contingenza storica va strappata al suo vuoto fatalismo, il primo passo per uscire dalla caverna della servitù è dialetizzare il presente.

Antonio Labriola è parte della tradizione critica della cultura italiana, la sua rilettura è un atto politico, poiché è il segno tangibile che il capitale può erodere una tradizione come la natura umana etica e comunitaria, ma non annichilirle. La coscienza pensante è condizionabile, ma non determinabile al punto da renderla ente tra gli enti. La coscienza infelice testimonia l’arsura del capitalismo e il potenziale veritativo inestinguibile della natura umana In ogni circostanza e tempo storico l’essere umano conserva il suo potenziale critico e rielaborativo. Il capitalismo non è l’ultima parola, da questa verità comincia l’esodo dal capitalismo di sangue e merci.

[1] Antonio Labriola (Cassino, 2 luglio 1843 – Roma 2 febbraio 1904)

[2] Antonio Labriola, In memoria del Manifesto del comunisti, Liber Liber ,2002 pag. 10

[3] Ibidem pag. 12

[4] Ibidem pag. 16


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