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Allevare immaturi

Sono in corso gli esami di maturità. Si assiste in questi giorni alla società dello spettacolo che divora ogni gesto, comportamento e finalità. La società dello spettacolo è totalitaria per sua essenza...

di Salvatore A. Bravo - sabato 29 giugno 2024 - 597 letture

Allevare immaturi

La decadenza antropologica di un popolo si svela nelle pratiche sociali ed educative. Sono in corso gli esami di maturità. Si assiste in questi giorni alla società dello spettacolo che divora ogni gesto, comportamento e finalità. La società dello spettacolo è totalitaria per sua essenza, essa procede per svuotamento dei contenuti e del senso, alla fine di tale operazione pianificata non resta che la forma con il suo gracile guscio vuoto al cui interno c’è solo l’avanzata dell’ignoranza. Durante la prova orale i maturandi, non tutti, ma in un numero sempre maggiore di anno in anno, sono accompagnati dai genitori. La maturità presuppone l’autonomia del sapere e del fare, per cui i genitori consapevoli della rilevanza del “momento”, in passato, non erano presenti durante la prova che sanciva l’indipendenza simbolica del figlio. Essi effettuavano un passo indietro, affinchè il figlio potesse fare un passo in avanti verso l’indipendenza e la libertà. L’orgoglio era nella preparazione che si coniugava con l’autonomia. Crescere un figlio significava renderlo adulto.

I genitori che accompagnano i figli alla maturità, in qualche modo evidenziano la dipendenza del figlio dai genitori. I figli sono liberi in tutto, ma in realtà dietro l’eterno “sì” ai desideri dei giovani, c’è sempre la mano dei genitori a sorreggerli.

La presenza dei genitori durante il colloquio assume aspetti al limite dell’irrazionale tanto più che l’esame è a zero rischio di bocciatura. Dalla maturità si esce sempre diplomati con il voto che oscilla sempre intorno alla media dell’ultimo anno. La commissione in generale incoraggia l’alunno, se avverte il minimo segno di cedimento emotivo. I docenti sono ormai sempre meno professori e sempre più “prof”, ovvero psicologici e amici. La relazione emotiva dev’esserci, ma gli eccessi distorcono la funzione docente coprendola a volte di imbarazzante ridicolo.

Insomma la prova non incontra in media difficoltà di nessun genere. Fior di pedagogisti e di medici entrano in scena in questo contesto per denunciare l’inutile stress a cui sono sottoposte le nuove generazioni. Gli stessi tacciono sullo stress in campo lavorativo, sull’aziendalizazione della scuola, sulla cultura umanistica ridotta a semplice presenza senza spessore e si potrebbe continuare, perché il male ha le sue ramificazioni rizomatiche, poiché ogni elemento porta con sé nell’abisso dell’analfabetismo dello Stato-Mercato tutto il resto.

Le sciocchezze dovute all’impreparazione di taluni sono abilmente baipassate e giustificate. Per essere bocciati bisogna impegnarsi davvero tanto, ma questo fortunatamente avviene in casi eccezionali, ed anche se non ci si presenta, c’è sempre la possibilità di recuperare tra certificati medici e supplettive.

Superate le forche caudine dell’orale che verte “sugli interessi” dell’alunno, fuori dall’aula si festeggia lo scampato pericolo con coriandoli, selfie e applausi.

Il voto finale su cui pende la spada di Damocle del TAR non ha valore alcuno, non è più titolo di accesso ai concorsi dal 2015.

Per scoraggiare allo studio e avvilire i docenti i test universitari si esplicano durante l’anno, perché si sa, saranno tutti promossi. La società dello spettacolo festeggia una farsa con la complicità di generazioni addestrate a trasformare ogni esperienza in visibilità social. Ci sono alunni seri e preparati, anche, ma che forse avranno un’esistenza più difficile degli adattati, perché ciò che fa la differenza, per il dopo, è il reddito famigliare e non certo la preparazione culturale oggetto di discredito continuo in questi anni. Si pensi ai test per entrare nella Facoltà di Medicina, chi ha denaro studia nei paesi dell’est o nelle Università private, se non riesce a superare lo sbarramento finale.

C’è da temere per il futuro, chi a prescindere dai meriti ricoprirà ruoli da cui dipende la salute e la vita dei più fragili, potrebbe recare seri danni. In questo clima di incoscienza generale si continua a festeggiare; la società dello spettacolo non ha né razionalità né realtà, essa procede per automatismi. Il male non ha profondità, è superficiale, pertanto ci viene incontro con innocenza.

Vallisneria

I nostri alunni hanno bisogno di cura reale e razionale. La cultura non è un ballo, è conquista quotidiana, è crescita qualitativa che umanizza e insegna a partecipare alla vita politica e sociale e affinchè ciò possa essere, i contenuti sono imprescindibili. Non c’è ragionamento critico senza contenuti. Il carattere si forma anche nelle difficoltà e nella capacità acqusita con esperienza graduale di resistere alle ordinarie difficoltà e ansie che ogni vita deve affrontare. Il facilismo e lo spettacolo ad esso associato destruttura le menti e rende i caratteri dipendenti. Non più cittadini, ma consumatori compulsivi adattabili al sistema deve formare-deformare la scuola.

La scuola è uno dei corpi medi, in cui si imparava a vivere la democrazia; i corpi medi erano forze che contenevano il capitalismo. Il capitalismo era relativo, in quanto formazione, partiti e sindacati ne contenevano gli effetti. Ora invece nei corpi medi si annida il capitale. Se desideriamo aver cura dei nostri giovani, i quali sono i custodi del nostro martoriato patrimonio, dobbiamo deviare dalla società dello spettacolo con i suoi laschi inganni per rientrare nella realtà. Senza tale Rivoluzione copernicana il nichilismo porterà con sé tragedie che dobbiamo comprendere per poterle evitare. La misura è la buona regola di ogni formazione, ma questo principio in un’epoca di smarrimento capitalistico sembra essere stato perso.

La maturità ha un senso, ed è un bene che ci sia, ma bisogna ridonarle senso e serietà. Gli alunni seri e motivati saranno più gratificati dalla prova, in cui mostreranno le capacità acquisite.

Gli alunni meno impegnati saranno motivati ad impegnarsi maggiormente, se il clima è didattico è nell’ottica della crescita comune. La scuola è ancora una comunità, possiamo salvarla se docenti, genitori e alunni non sono lasciati soli a difenderla dall’assedio del mercato. In ultimo poniamoci la domanda principale: A chi giova allevare giovani immaturi e ignoranti? Ciascuno cerchi la risposta.

In attesa di parole nuove che possano riportare la scuola ad “organo costituzionale” come affermava Calamandrei, ebbene riflettere sulle sue parole per avere la chiarezza del disastro in cui annaspa la scuola:

La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente. La formazione della classe dirigente, non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede in Parlamento e discute e parla (e magari urla) che è al vertice degli organi più propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti. Questo è il problema della democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine. No. Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall’afflusso verso l’alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le categorie.

Ogni classe, ogni categoria deve avere la possibilità di liberare verso l’alto i suoi elementi migliori, perché ciascuno di essi possa temporaneamente, transitoriamente, per quel breve istante di vita che la sorte concede a ciascuno di noi, contribuire a portare il suo lavoro, le sue migliori qualità personali al progresso della società.

Vi ho detto che io sono un giurista; ma ho l’abitudine, che mi deriva forse un po’ da una certa affezione toscana al disegno ben fatto, di associare i concetti giuridici e politici a qualche immagine, che poi mi serve ad affezionarmi a questi concetti. Ora, quando io penso a questo concetto della classe dirigente aperta in continuo rinnovamento, che deriva dall’affluire dal basso di questi elementi migliori, cui la scuola deve dare la possibilità di affiorare, mi viene in mente (se c’è qui qualche collega botanico mi corregga se dico degli errori) una certa pianticella che vive negli stagni e che ha le sue radici immerse al fondo, che si chiama vallisneria e che nella stagione invernale non si vede perché è giù nella melma. Ma quando viene la primavera, quando attraverso le acque queste radici che sono in fondo si accorgono che è tornata la primavera, da ognuna di queste pianticelle comincia a svolgersi uno stelo a spirale, che pian piano si snoda, si allunga finché arriva alla superficie dello stagno: e insieme con essa altre cento pianticelle e anche esse in cerca del sole. E quando arriva su, ognuna, appena sente l’aria, fiorisce, ed in pochi giorni la superficie dello stagno, che era cupa e buia, appare coperta da tutta una fioritura, come un prato. Anche nella società avviene, dovrà avvenire qualche cosa di simile. Da tutta la bassura della sorte umana originaria, dall’incultura originaria dovrà ciascuno poter lanciare su, snodare il suo piccolo stelo per arrivare a prendere la sua parte di sole. A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole e di dignità. Ma questo può farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali” [1].

La vallisneria è l’immagine della scuola che non lascia indietro nessuno, ma insegna a crescere anche a coloro che vivono le condizioni più difficili, ma senza impegno, contenuti, continuità e disciplina del pensiero ciò non è possibile. Una scuola che non insegna a disporsi verso l’universale è istituzione che agonizza con la società tutta e di questo bisogna prendere atto per mutare radicalmente comportamenti adattivi, i quali sono complicità mascherate e lardellate di “belle parole con cui si commettono cose terribili”.

[1] Piero Calamandrei al III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale (ADSN), tenutosi a Roma l’11 febbraio 1950 e pubblicato in Scuola democratica, periodico di battaglia per una nuova scuola, Roma, iv, suppl. al n. 2 del 20 marzo 1950


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