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Frane

Ancora disagi e preoccupazioni per i cittadini che vivono sulla riviera jonica messinese, a causa delle frane causate dai nubifragi.

di Piero Buscemi - mercoledì 7 ottobre 2015 - 4776 letture

Sono passati solo pochi giorni dalla ricorrenza per i morti dell’alluvione del 1° ottobre 2009 nel messinese, tra Scaletta Zanclea e Giampilieri. Quasi a voler rendere più mistica la giornata del ricordo, le condizioni metereologiche, ogni anno, fanno registrare perturbazioni di notevole violenza, da far temere sempre una replica della tragedia.

Puntualmente anche quest’anno un passaggio di bassa pressione ha interessato la zona. Le piogge, spesso di forte intensità, hanno rilasciato preoccupanti nubifragi che hanno evidenziato uno stato di messa in sicurezza del territorio, ancora precario. Le conseguenze sono state immediate e, in due punti nevralgici della circolazione locale e autostradale, si sono registrati smottamenti con conseguenti frane. Il primo all’altezza del Capo Alì, nella statale 114 più vicina al capoluogo peloritano. La caduta di detriti e massi sul manto stradale ha costretto l’Anas a chiudere il tratto che, solo dopo qualche giorno ha visto una parziale riapertura del traffico a senso unico alternato, regolamentato da un semaforo.

La seconda ha interessato il tratto autostradale della A18 Messina-Catania nel tratto compreso tra Roccalumera e Taormina che, a causa di un grosso smottamento collinare, ha bloccato la circolazione nei due sensi di marcia. Un disagio che si è aggravato lunedì mattina quando, per consentire la rimozione delle tonnellate di fango e detriti dalle carreggiate, il traffico è stato riversato sulla statale 114. Centinaia di mezzi pesanti si sono aggregati al già copioso traffico locale creando delle lunghe code di automezzi sulle vie di transito nei paesi della riviera jonica che, di fatto, sono parte integrante della strada statale. Percorrendo questa strada alternativa, la lunga fila di mezzi pesanti e di auto ha dovuto affrontare una serie di tornanti e restringimenti, quest’ultimi causati da piccoli smottamenti non ancora risolti sulla strada che giunge fino a Letojanni.

La situazione che, come unica nota positiva non ha fatto registrare conseguenze dirette alle persone e per un puro caso fortuito legato all’orario mattutino della frana, non sembra di facile e veloce risoluzione. Perché il ripristino della circolazione nei prossimi giorni non rappresenta la soluzione definitiva di un problema che si trascina da anni, senza un vero e proprio programma di intervento che unisca le forze delle singole realtà della zona, coinvolte in alternanza, ma spesso anche in contemporanea, nel far fronte alle conseguenze metereologiche delle stagioni.

Da più parti arrivano proposte e convocazioni in dibattiti che finiscono per rimanere degli atti dovuti, ingarbugliati da chiacchere fine a stesse e dalle quali, non traspare una reale volontà comune a muoversi verso la messa in pratica di quelli che hanno assunto solo un valore di slogan propagandistici. Annunciare con enfasi frasi fatte quali "Mai più morti inutili" forse non riesce neanche più a pulire le coscienze. Confidare nella fortuna del momento che ha evitato altre occasioni di future ricorrenze, non è certo una scelta saggia.

Le voci di popolo e quelle di ipotetici esperti in materia di territorio trovano, negli ultimi tempi, il loro punto d’incontro nella loro inutilità e banalità che accende grosse preoccupazioni sulle persone che in questi luoghi ci sono nati e ci vivono. Da quel tragico 1° ottobre 2009, diversi cantieri sono stati aperti, in modo particolare a ridosso dei luoghi dell’alluvione, e se il completamento dei lavori per la messa in sicurezza lascia spazio a dubbi e perplessità, sapere che tutta la riviera che va da Giardini Naxos, un altro comune interessato dalle esondazioni delle scorse settimane, a Messina con circa sessanta chilometri coinvolti, apre un baratro di conseguenze imprevedibili.

Ci siamo chiesti, in questi giorni, cosa accadrebbe se queste zone ti trovassero ad affrontare l’emergenza di un fenomeno atmosferico come quello registrato sulla Costa Azzurra nei giorni scorsi, che ha provocato diversi morti e feriti. La tattica dell’intervento a tampone e solo in caso di tragedia compiuta, senza un programma di prevenzione e recupero della stabilità del territorio, suggerisce scomode risposte. La conformazione di questi luoghi, non dimentichiamolo ad alto sfruttamento turistico, prevede una lunga fila di paesi separati da torrenti lasciati all’incuria e pericolosissimi in caso di alluvioni e il mare che, a causa della sua consistente profondità e dei venti invernali, è interessato da fortissime mareggiate. Questo determina uno strozzamento delle abitazioni tra le colline adiacenti e appunto, il Mar Jonio. Colline che, come dimostra il tratto interessato dalla frana, sono state selvaggiamente deturpate da una cementificazione turistica che si è aggiunta all’abusivismo già presente da anni.

Sentire i commenti degli abitanti che, tra le notizie ereditate dalle persone più anziane e i ricordi di infanzia, raccontano di colline e campagne ricche di vegetazione, dove le piante di limone e d’ulivo erano una garanzia di compattezza dei terreni, grazie alle loro salde e lunghissime radici, possono sembrare discorsi di piazza o leggende metropolitane. Le bancarelle di frutta e verdura della zona darebbero, invece, credibilità a queste teorie, non solo per il fatto che ci si ritrova davanti a limoni e arance di inizio autunno, provenienti dalla Spagna o da qualche altro paese globalizzato e al prezzo, pazzesco per queste zone, di un euro e ottanta centesimi al chilo.

Più assurde appaiono le proposte risolutive di alcuni amministratori locali e regionali, che vanno dalla costruzione di un paio di mega gallerie da realizzarsi a ridosso del Capo Alì e di del Capo Scaletta, dentro la quale gli automobilisti non rischierebbero frane e smottamenti vari, a quella dell’apertura di nuovi svincoli autostradali per defluire il congestionamento, specialmente in estate, del traffico locale. Ci auguriamo vivamente che le amministrazioni locali trovino quel barlume di saggezza e mettendo da parte stupidi campanilismi, creino un accordo con il quale chiedere un serio intervento anche al governo centrale. E, soprattutto, ci consentirebbe di non essere costretti a documentare nel futuro altre tragedie.


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