Elena Bono

Occultata da rigide leggi di mercato "culturale", il suo nome è tornato tra le pagine di giornale, come spesso accade, solo con la sua morte avvenuta il 26 febbraio di quest’anno.

di Piero Buscemi - mercoledì 12 novembre 2014 - 2492 letture

Lamento di David sul gigante ucciso

La notte è troppo pesante sopra il mio capo,
 la luna non s’alza
 non s’alza dalle colline,
 io grido
 e non mi risponde la terra di bronzo.

Ma ieri chiamavo la luna su quelle colline
 e il giovane vento a giuocare
 nella foresta
 e i cani e le nuvole
 l’acqua del fiume
 ed il sonno.

Docile sonno, o mio agnello perduto
 io non so dove.
 Giuochi che David
 non giuocherà mai più.
 Se io fossi morto, mia madre
 piangerebbe su me,
 s’io fossi ferito, qualcuno
 laverebbe il mio sangue.

Non piange nessuno
 se in qualche parte ho perduto
 il mio vergine cuore;
 se grondo del sangue di un altro
 nessuno mi lava.

Tutti laggiù fanno festa,
 io sono qui solo
 con quello che ho ucciso.
 Alzati, rosso gigante
 ammucchiato ai miei piedi,
 riprenditi il tuo respiro
 le cento teste
 e l’ira
 e le armi di bronzo.

Ridammi la semplice fionda
 e il mio cuore
 il mio veloce cuore
 in corsa sulle colline.

Tu non rispondi, gigante di bronzo.
 Terra, tu non rispondi.
 E sia pure così.
 E’ inutile gridare.
 Dunque la luna ieri
 non si alzava per me.

Il quinto comandamento contempla "non uccidere", ma le leggi sono state concepite per essere aggirate. Si trova sempre un sistema pseudo-democratico per giustificare un’accezione della regola che, solo in parte, prova a pulire le coscienze.

Gli stati mondiali, che con questo raggiro, hanno vestito i panni dei giustizieri in terra, sono così notori che non ci sembra il caso di nominarli. Quanto meno per non suggerirne emuli, che non ci sentiamo di condividere.

Ma se in nome di un dio, si sono giustificate guerre, figurarsi se per le stesse motivazioni, non si possa dar forza a antichi testamenti, sotto l’emblema dell’occhio per occhio, dente per dente.

Poi, si sa, le "nostre" sono sempre le leggi migliori rispetto alle "altre". Sono quelle che dovrebbero regolare i rapporti umani di un intero pianeta e che, spesso non riescono a livellare un senso di giustizia neanche all’interno di piccole comunità.

La contraddittorietà è uno dei vanti che l’essere umano si trascina nei secoli. Non ha importanza se sia ingrediente di quello sputo vitale o di qualsiasi ricostruzione storica e mistica di quello che, nel trascorrere del tempo, assume sempre più valenza di un tragico errore.

E’ davanti a questo scontro millenario di vita e morte che si concentrano le tesi, le interpretazioni, oseremo dire anche le manipolazioni, dei dettami che avrebbero dovuto stabilizzare l’incerto passo dell’uomo su questa terra e il suo rapporto inevitabile con i suoi simili.

In questa poesia, scritta da Elena Bono che, lo ricordiamo, è passata alla storia della letteratura italiana come una delle maggiori rappresentanti della poesia così detta "religiosa", il contrasto tra senso del dovere, patria, eroismo e una coscienza che chiede risposte, rimorso e rassegnazione davanti alla consapevolezza di aver vestito i panni dell’onnipotente e aver posto fine alla vita di un altro essere umano, scivola dai versi, attraverso il buio più infimo di ogni animo umano, per sprofondare nella terra delle proprie debolezze, oscurati da una luna che rifiuta di illuminare un peccato che non sarà mai espiato.


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