Col beneficio del dubbio

Eppure qualche domanda dovrebbe essere spontanea senza il rischio di essere tacciati di complottisti. Così, tanto per essere coerenti con la libertà di parola.

di Piero Buscemi - giovedì 30 aprile 2020 - 2367 letture

Questione mascherine. È notizia di questi giorni, sapientemente diffusa attraverso i canali informativi nazionali che, nella prospettiva dell’avvio della Fase 2 sull’emergenza Covid-19 prevista per il prossimo 4 maggio, 12 milioni di mascherine saranno rese disponibili ad un prezzo calmierato di 50 centesimi di euro ed esenti da IVA. Potremmo aggiungere che questo provvedimento con le relative rassicurazioni da parte del governo che, solo in questa fase dovrebbero impedire una speculazione che si poggia sulle confuse e incomplete informazioni messe a disposizione della cittadinanza, non ha trovato i consensi delle farmacie che, a detta loro, rischierebbero di svolgere un servizio del quale avrebbero riscontri economici negativi. Lasciamo ai lettori qualsiasi considerazione sui rapporti tra emergenza salute della collettività e legittimo profitto.

Non discostandoci eccessivamente dall’argomento, vorremmo scavare nella memoria del nostro recentissimo passato, quello che non va indietro oltre gli ultimi mesi, quelli che consegneremo alla Storia col titolo di "quelli del Covid-19". In materia di mascherine anticontagio, ci permettiamo di sollevare una domanda: se la prima fase era così drammatica e la necessità di ampia disponibilità era un prerequisito per affrontare il virus, come si spiega la carenza di questo bene primario, oggetto di speculazione con prezzi applicati che superavano diverse centinaia per cento del prezzo abituale? Arrivammo a ringraziare donatori di tutto il mondo per avercele fornite. Abbiamo esaltato e pubblicizzato artigiani, massaie, confezionatrici improvvisate di mascherine variopinte e create con qualsiasi materiale la creatività potesse suggerire. Adesso, milioni di mascherine pronte all’uso che consentiranno la ripresa di molte attività da mesi lasciate in letargo. Meglio tardi che mai? Ma prima cosa facevano e dov’erano i responsabili della Sanità regionale (in primis, dato che il nostro sistema pubblico è stato regionalizzato e in Lombardia soprattutto è stato privatizzato)?

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Questo virus ha evidenziato un particolare, forse subdolo come lo stesso virus anche nei mesi precedenti, ma che si è manifestato in tutta la sua influenza sulla libertà di pensiero dei cittadini. Ci riferiamo al diritto di porre domande per rivendicare il diritto di libertà di espressione, ma anche di chiarire il percorso che stiamo collettivamente affrontando prendendo almeno in parte coscienza a cosa ci porterà tutto questo. La sensibilità dei relatori che ci comunicano le novità, i doveri e le regole da rispettare, i diritti sicuramente in quantità minore, non ammette domande scomode o pareri, anche medici o scientifici che si discostino dalle direttive impartite e necessariamente condivise da tutti.

Non ha importanza da quali voci provengano, neanche se ci troviamo di fronte a luminari in vari settori della scienza, apprezzati e riconosciuti nel passato, ma denigrati e messi nell’ombra alla prima dichiarazione che non rientri tra quelle diffuse alla massa. Ci pensano già i mass media ad inserirli di diritto nel calderone degli artefici delle fake news, ma in questi giorni va maggiormente di moda la locuzione "non scientificamente provato". Poi l’esperto di turno, dalle reti televisive quasi unificate, ci relaziona le motivazioni che dovrebbero smontare con efficacia il parere opposto di colui che non riconoscono neanche come collega.

Nel mezzo ci siamo noi, cittadini. La materia è fin troppo vasta per avere un minimo di barlume di conoscenza che non vada oltre al sentito dire. Forse neanche chi opera in campo sanitario da anni ha la possibilità di analizzare la situazione e fornire un parere sull’argomento. Anche se riuscisse nell’impresa, rischierebbe di essere catturato nel girone di chi non ha diritto ad un’idea personale.

Un particolare che ha colpito la nostra attenzione. Abbiamo avuto la possibilità di esaminare dei dati statistici relativi ai decessi annuali registrati anagraficamente al Comune di Bergamo, località al centro delle attenzioni internazionali in materia di Covid-19, essendo la città inserita tra le località dove si sono riscontrati i numeri maggiori di contagio e di decessi. Ebbene, questa città, con dati aggiornati a pochi giorni fa, ha fatto registrare 1.072 decessi totali, tra i quali ovviamente non è possibile ricavarne quelli effettivamente certificati per Covid-19.

Andando a ritroso negli anni, troviamo registrati questi dati: 3.362 nel 2019, 1.473 nel 2018, 1.295 nel 2017, 1.363 nel 2016 e, facendo un balzo indietro, 15.002 nel 2010 e 11.724 nel 2007. Abbiamo voluto volontariamente segnalare i dati del 2010 e del 2007, sia perché è evidente un’impennata consistente in questi due anni, sia perché se confrontati con i decessi del 2020 al primo quadrimestre, si può notare che la differenza è stratosferica. Lo stesso 2020, se mantenesse la media a quadrimestre, avrebbe una proiezione di circa tremila decessi annui, un trend che dovrebbe invece diminuire con il calo dell’incidenza del Covid nei prossimi mesi, rientrando molto probabilmente nella media riscontrabile degli anni precedenti.

Il 2007 e il 2010 sono stati anni che, sotto l’aspetto meteorologico sono considerati di caldo anomalo. In questi due anni le impennate delle temperature, specie nel mese di luglio, furono riscontrate in tutta Europa, anche in località conosciute per temperature non eccessivamente calde neanche in piena estate. Questo giustificherebbe gli oltre 15.000 morti del 2010 e gli 11.000 nel 2007.

Fatta questa premessa, rivolgiamo ai nostri lettori un semplice invito, quello di cominciare a porsi delle domande, se non lo abbiano già fatto, e provare a formulare delle risposte che abbiano una logica.


Per ulteriori approfondimenti sulla controversa questione, oggetto di analisi da parte di esperti e operatori del settore: Dati ISTAT sul numero dei decessi. - Una analisi del giornale online Open sulla questione della mortalità - Intervista su Avvenire al direttore dell’Istat.



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