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La Gazzetta
Letteraria ungherese del 2 novembre...
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Annotazioni: Siamo nel 1956, l'anno
è quella della "rivolta ungherese". Un evento
che fino a due decenni fa era immediatamente identificato
da chiunque. La "rivolta" ebbe ripercussioni notevoli
nella pubblicistica dell'epoca. L'Ungheria allora era
nel cosiddetto "blocco sovietivo", e qualsiasi cosa
che si muovesse "oltre cortina" era subito strumentalizzato
"da questa parte del muro". Nel nostro occidente le
cose in realtà erano molto più complesse
di quanto non è facile oggi ritenere. Forze politiche
di destra e di sinistra si affrontavano sulle questioni
riguardanti l'est-europeo, da angolature diverse. All'interno
del monolitico Partito Comunista Italiano degli anni
Cinquanta, controllato da Palmiro Togliatti, si agitava
una vasta discussione politica e culturale: prima Silone,
poi Vittorini. I "fatti d'Ungheria" contribuitono a
alimentare questo dibattito interno che non era privo
di asprezze e incomprensioni. Fu con i "fatti d'Ungheria"
che un gruppo notevole di intellettuali fino ad allora
legati al PCI e alla sua politica culturale, firmò
un manifesto (il "manifesto dei 101", tra essi c'era
anche Carlo Muscetta) di dissenso rispetto alla posizione
assunta dal PCI di difesa dell'intervento sovietico
nella repressione dei rivoltosi ungheresi. Dieci anni
dopo ci sarebbero stati i "fatti di Praga", a portare
a una nuova generazione di intellettuali e di dissidenza,
in un contesto poi mutato - se non altro perché
non c'era più Stalin... -.
Gli editori Laterza, coraggiosa e prestigiosa
casa editrice barese (prestigiosa per le pubblicazioni
prodotte in collaborazione con Benedetto Croce),
nel 1957 si inseriscono nel dibattito fortemente
politico di allora pubblicando nel 1957 questo libricino,
che raccoglie il contenuto dell'ultimo numero della
rivista letteraria ungherese uscito il 2 novembre
1956. "Irodalmi Ujság" si chiamava questa
rivista (ed è il titolo scelto per la pubblicazione).
Un modo per esprimere il cordoglio della cultura
italiana alla cultura ungherese colpita dalla repressione
sovietica. Cultura verso la quale la cultura di
sinistra ha sempre avuto attenzione, se non altro
per la presenza di un intellettuale come György
Lukács (1885\1971), che fino agli anni Cinquanta
fu figura di riferimento per molti anche in Occidente.
Oggi c'è la tendenza a qualificarsi "né
di destra né di sinistra". Uno dei motivi
di tale molluschismo sta certamente nelle sanguinose
repressioni di cui sia la destra che la sinistra
sono stati capaci nel nostro secolo. Il non riuscire
a sentire come propria una storia fatta di carneficine
e di campi di concentramento, oltre alla tradizionale
vigliaccheria propria del ceto piccolo-borghese
intellettuale cui si appartiene, è certamente
la prima superficiale reazione che uno può
avere. Quando non è solo alibi per la propria
pigrizia intellettuale e per la propria bolsaggine,
si tratta tuttavia di un movimento di fuga non meditato
e che non tiene conto dello spessore delle cose,
di ciò che un tempo si chiamava "storia"
- o meglio, si vuole leggere quella storia in un
determinato modo -. I "fatti d'Ungheria" misero
in crisi definitivamente la cultura progressista
italiana nei confronti del maggior partito progressista
del tempo (il Pci). Dopo di allora questi rapporti
furono tutti e sempre "in salita" e fatti di reciproci
sospetti. E tuttavia la cultura progressista italiana
non si è certamente fermata, ha continuato
a pensare, elaborare, studiare e, soprattutto, a
"esserci" politicamente e storicamente. Con il proprio
emstiere innanzitutto e assumendosi responsabilità
pubbliche, non smettendo mai di dire il proprio
pensiero. La "sinistra" è stata anche questo.
uomini e donne che hanno continuato a manifestare
il proprio dissenso, anche in Italia, all'interno
del proprio "campo politico". Quando questo dissenso
significava fine di carriere e sbarramenti e ostracismi
reali (che coinvolgevano anche la propria famiglia
e le possibilità di fare, il lavoro). Allora,
in quella generazione che aveva conosciuto la guerra,
la fame, la resistenza al nazifascismo, assumersi
le proprie responsabilità era un fatto etico,
intimamente connesso con il proprio essere di sinistra
(o, come si diceva allora, "comunisti"). Cosa che
non è ormai facile trovare, a tutti i livelli.
Tra gli intellettuali presenti nel libro, e che
hanno pubblicato su quest'ultimo numero della rivista,
troviamo Tibor Tardos, Gyula Háy, Ottó
Major, Sándor
Petöfi, György Pálóczi-Horváth,
Lajos Kassák,
Tibor Déry,
László
Németh, Lajos Tamási, Tamás
Bárány, Lajos Kónya, Gyula
Illyés, Imre Szász, József
Fodor, Milan Füst,
Lörinc Szabó, Aron Tamási, Károly
Jobbágy, Sándor Dallos, László
Benjámin, Miklós Hubay. Un dibattito
sulla "libertà di discussione" è portato
avanti da Sándor Gergely, Gyula Háy,
Endre Enczi, János Földeak, Péter
Kuczka.
La "Gazzetta letteratia" ungherese del 2 novembreUn
documento interessante: il gioco degli specchi: la storia
del proprio paese vista da un gruppo di intellettuali
ungheresi nell'anno di svolta del 1956 - la storia ungherese
vista con gli occhi occidentali nel 1957 - quello che
vediamo noi oggi dopo il crollo dei "muri".
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