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Operai morti a Messina

Gravissimo incidente sul lavoro sulla nave Sansovino, ormeggiata nel porto della città peloritana.

di Piero Buscemi - martedì 29 novembre 2016 - 3482 letture

Questa è una delle notizie che si preferirebbe non trattare mai. Una di quelle che, da troppi anni, non rappresenta ormai più l’eccezione di una normalità che dovrebbe essere accostata sempre alla parola lavoro. Dove normalità è recarsi sul posto di lavoro, svolgere il proprio compito assegnato, salutare i colleghi a fine giornata, dando loro appuntamento per il giorno seguente. Così per diversi decenni della propria vita. Un appuntamento che si colora di routine, a volte stressante, a volte rassegnata, ma che consentirà quella sicurezza economica e quel pizzico di tranquillità che permette di accettare la vita.

A questo appuntamento non si ha più la certezza di essere partecipi. Non più. E’ come una scommessa con il destino, come un imprevisto sottoscritto con un contratto di lavoro. Come un effetto collaterale che si aggiunge alla già consolidata precarietà del moderno mondo del lavoro.

Siamo diventati il paese diviso tra coloro che cercano un lavoro e coloro che vivono nella speranza di non perderlo. Questo sarebbe già drammatico, se si pensa all’ansia e al trauma che si possa vivere soltanto pensando ad una remota ipotesi di poterlo perdere. Il crollo improvviso di sicurezza e la cancellazione disarmante di qualsiasi progetto per il futuro.

E’ già difficile così per poter accettare di abbinare a tutto questo la paura di non ritornare vivi a casa. Incazzati, con i colleghi, con i capi arroganti, con la busta paga sempre la stessa da anni, con la monotonia dei gesti, con le ambizioni accantonate da tempo. E’ ammissibile. E’ necessario. E’ sufficiente per concederci il lusso di lamentarci. Andare oltre è trasformare il lavoro in una condizione disumana.

Disumana. Come la morte che troncato il diritto alla vita degli operai uccisi oggi a Messina da un gas tossico che si è sprigionato all’interno di una cisterna di un traghetto della Caronte & Tourist. Inaccettabile, l’attributo più inflazionato, usato dal mondo politico nazionale davanti a tragedie di una tale assurdità, come quella verificatasi oggi. Inaccettabile è questa sfilata di frasi fatte di circostanza, ripetute quasi a memoria, come fossero previste da un protocollo studiato a tavolino. Ripetute con tono di sofferenza e costernazione, esternate in pochi secondi di commenti istituzionali, e riposte dentro un cassetto dell’oblio, fino alla prossima occasione.

Abbiamo ancora negli occhi e nella mente la tragedia precedente, che ci ritroviamo ad occuparci di una nuova. Un anno fa, dieci, un mese. Non riusciamo neanche più a ricordarlo. Rovigo, Catania, Vasto, Trani, Adria. Città che non sapremmo neanche rintracciare su una carta geografica. Che non ne conoscevano neanche l’esistenza. Accomunate dalla stesso, inspiegabile, assurdo e spesso impunito destino. Inaccettabile.


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