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Persone: Ismail Kadare

di Redazione Zerobook - lunedì 1 luglio 2024 - 129 letture

Nato il 28 gennaio 1936, Ismail Kadare, il più importante scrittore albanese degli ultimi decenni, è venuto a mancare all’età di 88 anni, a Tirana (per un attacco di cuore). Come riporta l’Ansa, la notizia della sua morte è stata confermata all’AFP dal suo editore e da un ospedale di Tirana.

Autore, poeta, saggista e sceneggiatore, durante il regime comunista Kadare è stato membro dell’Assemblea del Popolo per 12 anni (1970-82) e vicepresidente del Fronte Democratico dell’Albania.

Kadare, che ha cominciato con la poesia, ha debuttato nel romanzo con Il generale dell’armata morta. Ben presto il suo nome varcò i confini albanesi. A far notizia, anche la censura del regime e la messa al bando delle sue opere in patria. Kadare ha sempre dimostrato grande coraggio nella sua sfida a ogni totalitarmo: “La letteratura autentica e le dittature sono incompatibili… lo scrittore è nemico naturale delle dittature“.

Vincitore di numerosi premi, Ismail Kadare è stato più volte candidato alla selezione finale per il Premio Nobel, ed è membro d’onore all’Accademia Francese (nel 1990 Kadare chiese asilo politico in Francia).

Fonte: Il Libraio.it


La scheda di Kadaré su Antenati.


È morto Ismail Kadare

L’autore del romanzo "Il generale dell’armata morta" era lo scrittore albanese più conosciuto al mondo; aveva 88 anni

Lunedì 1 luglio 2024 a Tirana è morto Ismail Kadare, uno degli scrittori albanesi più conosciuti al mondo: spesso se ne era parlato come di un possibile vincitore del premio Nobel per la Letteratura. Aveva 88 anni, a comunicare la notizia della sua morte è stata la sua casa editrice albanese, Onufri.

Kadare ottenne una fama internazionale negli anni Settanta grazie al suo primo romanzo, Il generale dell’armata morta, uscito in Albania nel 1963. Venne pubblicato in Francia sette anni dopo e poi fu tradotto in 45 lingue. Racconta la storia di due uomini italiani, un generale dell’esercito e un sacerdote, che viaggiano per l’Albania col compito di recuperare i resti dei soldati italiani morti nel paese durante la Seconda guerra mondiale. Nel 1983 dal libro fu tratto un film italiano omonimo, diretto da Luciano Tovoli e interpretato da Marcello Mastroianni, Anouk Aimée e Michel Piccoli.

Dopo il primo Kadare scrisse decine di altri romanzi. Molti contenevano attacchi al regime totalitario comunista al potere in Albania nella seconda metà del Novecento: per questo lo scrittore ebbe molti problemi in patria, sebbene dagli anni Settanta in poi la sua fama all’estero abbia impedito al regime di perseguitarlo troppo duramente. Il primo dei suoi romanzi critici nei confronti del regime, Il mostro (1965), fu inizialmente pubblicato su una rivista: per la censura non poté uscire come libro in Albania fino al 1990. Come altri libri di Kadare usava riferimenti alla storia, alla mitologia e alla letteratura per creare metafore sul mondo contemporaneo (per questo approccio alla narrazione letteraria negli anni lo scrittore fu paragonato sia a Franz Kafka che a George Orwell). Il mostro in particolare era una riscrittura del mito greco della guerra di Troia.

Nel 1981 uscì Il palazzo dei sogni, un romanzo ambientato in un Impero Ottomano usato come modello di uno stato totalitario che ha per protagonista un uomo che lavora in un’istituzione che analizza i sogni di tutti i sudditi dell’impero per cercare di decifrarli e usarli per controllare la popolazione. A causa di questo libro nel 1982 Kadare venne accusato di lavorare per i servizi segreti francesi.

Nell’autunno 1990 Kadare andò in esilio in Francia per ragioni politiche, dopo anni di censure da parte del regime, che finì pochi mesi dopo. Da allora lo scrittore aveva vissuto a lungo a Parigi. Nel 2020 aveva ricevuto il titolo di grand’ufficiale della Legion d’onore, il terzo titolo più alto che lo stato francese assegna a persone meritevoli per i servizi offerti al paese.

Negli ultimi anni la casa editrice La nave di Teseo ha ripubblicato vari dei suoi vecchi libri e altri più recenti. L’ultimo pubblicato in italiano è Le mattine al Café Rostand (2017), tradotto da Liljana Cuka Maksuti.

Fonte: Il Post.


Morto Ismail Kadare, voce dell’Albania e della sua storia / di ANTONIO CARIOTI

Lo scrittore aveva 88 anni. Tollerato dal regime comunista del suo Paese, più volte candidato al Premio Nobel, trasfuse nelle sue opere una portata universale

Per quanto provenisse dal Paese più chiuso, tiranneggiato e povero d’Europa, lo scrittore e poeta albanese I smail Kadare, scomparso all’età di 88 anni, aveva trasfuso nelle sue opere un respiro di portata universale, che ne aveva decretato la fama mondiale, con traduzioni in circa quaranta lingue.

Il brutale regime comunista del dittatore Enver Hoxha lo aveva tollerato, pur sottoponendolo a diverse vessazioni. Dal 1990 si era poi trasferito in Francia e sul piano internazionale aveva ottenuto importanti riconoscimenti. Kadare era senza dubbio una figura di primo piano della letteratura europea. La potenza evocativa della sua scrittura e la denuncia dell’oppressione totalitaria avevano indotto i giurati ad assegnargli il Man Booker Prize nel 2005, il premio Principe delle Asturie nel 2009 e il premio Nonino nel 2018. Più volte era stato anche selezionato tra i candidati al Nobel.

Nato ad Argirocastro — la stessa città natale di Hoxha — il 28 gennaio 1936, Kadare si era laureato in Storia e filologia, poi si era dedicato alla poesia. Aveva trascorso due anni a studiare letteratura all’Istituto Gorkij di Mosca, che però aveva lasciato quando il Cremlino aveva rotto con l’Albania, che si era schierata con la Cina, all’inizio degli anni Sessanta, nella disputa che divideva il movimento comunista internazionale. Risale al 1963 il primo romanzo di Kadare, Il generale dell’armata morta, dal quale sarete stato tratto un film diretto da Luciano Tovoli con Marcello Mastroianni, Michel Piccoli e un giovanissimo Sergio Castellitto.

Accolto negativamente dalle autorità del Paese balcanico, al cui brutale ateismo di Stato dava fastidio che un prete venisse «descritto come un uomo simpatico», il libro racconta di un generale e di un sacerdote italiani che viaggiano in Albania per recuperare le salme di militari caduti durante la Seconda guerra mondiale. Da noi venne tradotto soltanto nel 1982 da Longanesi, mentre in Francia aveva già da tempo ottenuto un notevole successo. Tuttavia l’anno prima era uscito in Italia, sempre con Longanesi, un altro romanzo di Kadare, I tamburi della pioggia (1970), ambientato all’epoca delle guerre contro i dominatori turchi, che era stato accolto favorevolmente sul «Corriere della Sera» da Giorgio Manganelli, il quale l’aveva definito «un libro naturalmente arcaico», apprezzandone l’«accurata narrazione di strazi guerreschi, di orrori senza lacrime, di furori sapienti».

Intanto erano proseguiti i problemi di Kadare con il regime. Alcuni zelanti burocrati si erano addirittura stupiti che Hoxha permettesse la pubblicazione all’estero dei suoi libri grazie al prestigio che lo scrittore aveva conquistato sulla scena internazionale. Un giorno Kadare era stato convocato dallo stesso dittatore, il quale con lungo sproloquio si era lamentato del fatto che l’autore scrivesse sempre «cose tristi» e l’aveva esortato a decantare i presunti successi dell’«eroico partito albanese». Kadare però era andato avanti per la sua strada e a un certo punto, tra censure e intimidazioni, si era trovato a dover stilare un’umiliante autocritica, nella quale ammetteva di aver «scritto cose contrarie al bene del popolo», comportandosi come «un nemico del comunismo». Un pegno pagato alla retorica del regime per non subire guai peggiori.

Ciò non era bastato però ad evitare la censura subita nel 1981 dal suo libro Il palazzo dei sogni (Longanesi, 1991). Era abbastanza chiaro a qualsiasi lettore che l’edificio in cui, nel romanzo, si raccolgono i sogni di tutti i sudditi dell’Impero ottomano richiamava il sistema poliziesco e burocratico dal quale la patria dell’autore era oppressa. Per molti versi, come aveva acutamente osservato Claudio Magris, alcune opere di Kadare evocavano la distopia descritta da George Orwell in 1984, con la differenza che la narrazione dello scrittore albanese proveniva dall’interno del meccanismo totalitario perché frutto di un’esperienza diretta. «Kadare — scriveva a tal proposito Magris — è un po’ come se avesse realmente vissuto sotto lo sguardo del Grande Fratello».

Negli anni Ottanta, dopo la morte di Hoxha, il regime comunista albanese aveva cominciato a mostrare la corda e Kadare aveva sperato in una liberalizzazione. Ad ogni buon conto aveva depositato in Francia nel 1986, dove aveva potuto soggiornare per qualche tempo grazie al suo prestigio internazionale, tre manoscritti di opere apertamente critiche verso l’establishment del suo Paese. Poi Kadare aveva intrattenuto una corrispondenza con il successore di Hoxha, Ramiz Alia, per capire se fosse animato da sinceri propositi riformatori e aveva concluso che non era affatto così. «Lo Stato albanese — avrebbe dichiarato più tardi lo scrittore in un’ intervista radiofonica — prometteva ogni cosa senza cercare effettive soluzioni, ingannava i cittadini continuamente, ma in realtà nessuno aveva intenzione di fare qualcosa».

Così Kadare, nauseato da quella «totale ipocrisia», nel 1990, poco prima della caduta del regime, aveva lasciato il suo Paese per la Francia, dove aveva potuto esprimere più liberamente la sua avversione al totalitarismo in opere di forte impatto come La figlia di Agamennone (Longanesi, 2007). Un altro tema ricorrente, nelle opere di Kadare, è il cosiddetto Kanun, codice d’onore non scritto ma rispettato rigidamente, in parte ancora oggi, dalle popolazioni albanesi delle zone montuose: una legge arcaica e spesso crudele che gioca un ruolo fondamentale in romanzi come Chi ha riportato Doruntina? (Longanesi, 1989) e Aprile spezzato (Guanda, 1993; Longanesi 2008).

Grande ammiratore dell’Alighieri, al quale aveva dedicato l’importante saggio Dante o l’inevitabile (Fandango, 2008), Kadare ricordava come la Divina Commedia avesse ricevuto grande attenzione negli ambienti letterari del suo Paese prostrato dal dispotismo di Hoxha. In quegli anni, aveva scritto, «l’inferno della realtà albanese» aveva indotto gli studiosi «a tradurre nel modo più integrale, commovente, pio l’Inferno descritto dal Poeta».

Per La nave di Teseo, che sta ripubblicando tutti i suoi libri, ad ottobre uscirà Quando un dittatore chiama, l’ultimo suo romanzo. Tradotto da Cettina Caliò, il volume era stato selezionato per l’International Booker Prize 2024 e racconta la telefonata intercorsa tra Josif Stalin e il romanziere e poeta Boris Pasternak nel 1934, per discutere dell’arresto del poeta Osip Mandel’stam.

Fonte: Il Corriere della Sera.



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