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Persone: Arnaldo Cestaro

Scuola Diaz: addio a Cestaro, la prova vivente che smontava le bugie della polizia. Un articolo di Mario Portanova.

di Redazione - domenica 23 giugno 2024 - 375 letture

È morto a 85 anni uno dei protagonisti della lotta per le verità e la giustizia sul G8 di Genova. A 62 anni fu pestato dagli agenti nel sanguinoso blitz, riportò fratture e danni permanenti, si ritrovò accusato di essere un "giovane" del black bloc. Diventando così l’emblema di una ricostruzione ufficiale che, fin da subito, non poteva reggere.

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Arnaldo Cestaro

“Quale resistenza attiva e violenta avrebbe potuto porre in essere Arnaldo Cestaro (di anni 62) per costringere gli operatori a reagire, provocandogli la frattura dell’ulna e del perone?”. La domanda l’hanno messa nero su bianco i giudici di primo grado al processo per la sanguinosa irruzione della polizia alla scuola Diaz, la notte del 21 luglio 2001, al termine del G8 di Genova. In effetti Arnaldo Cestaro, rottamaio ad Agugliaro in provincia di Vicenza, morto a 85 anni, era la prova vivente che smentiva la versione poliziesca sulla “perquisizione” al liceo genovese adibito a dormitorio per i manifestanti che protestavano contro il vertice dei “Grandi della terra” (l’ottavo Grande, pensate un po’, era Vladimir Putin. Altri tempi).

Perché la prova vivente? Perché bastava incontrarlo, guardarlo, sentirlo raccontare con la sua marcata cadenza vicentina per capire che quella notte alla Diaz non poteva essere andata come raccontava la Polizia di Stato (e il governo, guidato allora da Silvio Berlusconi). All’epoca Cestaro era appunto un signore di 62 anni con gli occhiali, non certo alto, abbastanza esile. L’ipotesi che potesse essersi scagliato contro agenti corazzati di caschi e protezioni, e dotati dei micidiali manganelli tonfa, appariva surreale.

Eppure dopo l’irruzione finì, come tanti altri all’ospedale Galliera, dove i sanitari compilarono il seguente referto: “Frattura scomposta con distacco osseo del III distale dell’ulna destra, distacco del processo stiloideo, frattura lievemente scomposta del II distale del perone destro, fratture costali multiple a destra, ricoverato dal 23 al 27/7/01, lesioni gravi con conseguente incapacità di attendere alle normali occupazioni per oltre 40 gg., nonché indebolimento permanente dell’organo della prensione e della deambulazione”. Per alleviare i danni “permanenti” subiti quella notte, Cestaro tornò più volte sotto i ferri.

La perquisizione alla Diaz fu giustificata dal sospetto che la scuola fosse un covo di “black bloc“, i manifestanti del blocco nero che avevano innescato gli scontri più violenti fin dalla mattina del 20 luglio. Anche in questo caso, la storia di Cestaro smentiva tutto e subito. Lui era un militante di Rifondazione comunista, arrivato in “corriera”, come diceva lui, da Vicenza. Aveva pensato di fermarsi a dormire a Genova per portare un fiore sulla tomba della figlia di una compaesana, e aveva chiesto consiglio su dove andare a dormire. A lui, come a tanti altri, era stata indicata la scuola, in parte concessa dalla Provincia di Genova ai manifestanti come dormitorio. Cose note a tutti, nei giorni del G8: quel complesso scolastico non era un “covo” del black bloc, ma un posto dove chiunque poteva accomodarsi. C’erano anche dei manifestanti del blocco nero, mescolati a tutti gli altri? Non lo sapremo mai, data la modalità violenta e caotica della “perquisizione”.

Ultimo oltraggio di Stato, a tutti gli arrestati alla Diaz – ben 93 persone – fu contestato il reato associazione per delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio, una cosetta che può costare una quindicina d’anni di galera. Toccò anche a Cestaro finire nel novero dei “giovani” – così recitava il verbale di arresto collettivo – di cui era “certa” l’appartenenza “all’organigramma del blocco nero”. E davvero facevi molta fatica a figurartelo mentre si calava in testa il cappuccio di una felpa nera per dare fuoco a un bancomat. L’accusa crollò poi in fase istruttoria, per tutti i 93.

Arnaldo Cestaro, militante di sinistra e di tante cause, dai No Tav al pacifismo, diventò presto una colonna del Comitato Verità e giustizia per Genova, sempre presente alle commemorazioni e alle udienze clou dei processi. Il suo nome resterà impresso anche nella giurisprudenza internazionale. La sentenza della Corte europea per i diritti umani che nel 2015 gli diede ragione nel caso “Cestaro vs Italia” fu la prima a condannare il nostro Paese per aver permesso e non aver punito in modo adeguato la pratica della tortura. Nel frattempo la sentenza definitiva sull’irruzione alla Diaz aveva confermato in pieno quello che la prova vivente poteva fin da subito dimostrare a tutti.


L’articolo di Mario Portanova è stato diffuso da Il Fatto quotidiano.


Morto Arnaldo Cestaro, fece condannare Italia per torture Diaz

Militante di Rifondazione, denunciò i pestaggi al G8

È morto a Vicenza Arnaldo Cestaro, 85 anni, il militante di Rifondazione Comunista che fece ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo per le torture alla scuola Diaz durante il G8 di Genova, ottenendo la condanna dell’Italia nel 2015.

Lo annunciano il segretario nazionale Maurizio Acerbo, e quello veneto, Paolo Benvegnu.

"Arnaldo - scrivono Acerbo e Benvegnu - fu uno dei tanti compagni di Rifondazione che partecipò alle giornate del luglio 2001 quando in centinaia di migliaia contestammo il G8 e le politiche neoliberiste che producono la catastrofe climatica, la crescita delle disuguaglianze e la guerra globale.

Dobbiamo tutte/i ringraziare Arnaldo per aver con determinazione portato avanti la lotta per la verità e la giustizia. Continueremo a lottare per un altro mondo possibile e sempre più necessario".

Fonte: ANSA.


Arnaldo Cestaro. Storia di un uomo buono, un rivoluzionario / di Lorenzo Guadagnucci

È mancato il militante cui si deve la prima condanna inflitta al nostro Paese per aver permesso e non punito in modo adeguato la pratica della tortura. È il caso della scuola Diaz di Genova, nel 2001, dove Arnaldo fu tra le vittime della “macelleria” commessa dalla polizia. Il ricordo di Lorenzo Guadagnucci, con lui quella notte di luglio e poi in tante altre battaglie

Ho conosciuto Arnaldo Cestaro il 22 luglio 2001 a Genova. Eravamo insieme, ma in stanze diverse, all’ospedale Galliera. Io da solo in una camera a due letti, lui nella stanza attigua con altri pazienti. Entrambi feriti, entrambi in arresto.

Ci avevano portati lì, da detenuti, dopo la notte della Diaz. Dal mio letto lo sentivo concionare rivolto ai degenti, e anche agli agenti che lo piantonavano. Parlava della grande manifestazione del giorno prima, del movimento che si era messo in marcia in tutto il mondo e che aveva colmato di vita e di spirito rivoluzionario le vie di Genova nei giorni del G8. Ero stupito. Io me ne stavo rattrappito, dolorante, impaurito e confuso nel mio letto, sorvegliato da due agenti, arrestato chissà perché, e lui era pieno di ardore e di coraggio. Chi sarà mai questo tipo, mi chiedevo.

Poi lo portarono nella mia stanza, nel letto vuoto, e mi trovai davanti a quest’uomo, allora sessantenne, con un braccio e una gamba ingessati, messo peggio di me. Eppure arringava gli agenti che ci sorvegliavano, a quel punto quattro, due a testa, ed era travolgente. Mischiava italiano e dialetto veneto. Riusciva anche a scherzare. “Ma non vedete che avete fatto?”, disse a un certo punto agli agenti. “Lui lavora al Resto del Carlino, un giornale di destra, e l’avete riempito di botte”. E ghignava sotto i baffi, mentre io facevo fatica a ridere per il dolore procurato dalle botte al ventre.

Arnaldo se n’è andato l’altra notte, facendoci piangere, ma lasciandoci anche il ricordo di una persona speciale. Era un militante politico, orgogliosamente comunista, pieno di umanità e di gentilezza. Era arrivato a Genova per il G8 da Vicenza, con un pullman organizzato da Rifondazione comunista, il suo partito, ma non era rientrato col resto del gruppo. Si era fermato a Genova con l’intenzione di portare un mazzo di fiori al cimitero di Staglieno, sulla tomba della figlia di una compaesana, una ragazza morta in un incidente stradale. Arnaldo era così, un uomo gentile, fedele alle amicizie, attento alle persone che aveva vicino.

Quel sabato 21 luglio aveva chiesto consiglio per un luogo in cui passare la notte, e una signora genovese gli aveva indicato la scuola Diaz di via Battisti. Arnaldo si era sistemato con le sue borse proprio vicino al portone d’ingresso della scuola. Fu uno dei primi a essere travolto. “Pensavo che fossero quelli del black block –avrebbe poi raccontato- e invece era la nostra polizia”.

Nei mesi successivi, con altre persone, fummo fra i fondatori del Comitato Verità e Giustizia per Genova. Arnaldo ne era un simbolo. Si portava dietro una lunghissima esperienza di militanza politica nella sinistra rivoluzionaria, nel pacifismo, nei nuovi movimenti sociali. Per dirla con le sue parole: “Ho fatto le scuole alte. La quinta elementare al mio paese era al terzo piano…”. Non era uomo di studi, ma era sempre preparato e informatissimo. Leggeva ogni giorno almeno il manifesto e, finché possibile, Liberazione; al tempo del G8 si abbonò anche ad Altreconomia. Era pieno di curiosità, aperto a nuove idee e nuove prospettive. Aveva sposato il movimento dei movimenti senza rinnegare la sua fiducia nel “socialismo scientifico”, che non mancava mai di evocare.

Si spostava di continuo, coi suoi borsoni, su e giù per l’Italia, dormendo nelle stazioni e altri luoghi di fortuna. Dal No Tav al No Dal Molin, dalla Sicilia in lotta contro il Muos alla Perugia Assisi, lui c’era sempre. La sua casa, ad Agugliaro, era un presidio militante, pieno di bandiere e manifesti esposti sulla strada. Faceva il rottamaio, girava le province di Padova e Vicenza e anche oltre col suo furgoncino, raccogliendo ferraglie che poi rivendeva a peso. Nei tempi buoni si faceva aiutare e “assumeva” qualcuno di “quei mori”, come chiamava gli immigrati africani che abitavano in una vecchia casa del paese. Nel basso Veneto lo conoscevano tutti.

Arnaldo a suo modo ha fatto storia. La sentenza “Cestaro vs Italia” della Corte europea per i diritti umani sul caso Diaz (aprile 2015) ha creato un precedente giuridico e politico: è stata la prima condanna inflitta al nostro Paese per aver permesso e non punito in modo adeguato la pratica della tortura. Qualche tempo dopo la sentenza, Roberto Castello, coreografo fra i più noti in Italia, fondatore della compagnia Aldes, dedicò ad Arnaldo una sala nella sede in provincia di Lucca. Aveva colto il rilievo del fatto: un attivista, una persona comune, aveva chiesto e ottenuto giustizia contro lo Stato e a nome di tutti. Arnaldo fu giustamente orgoglioso di quella intitolazione.

Arnaldo è stato e resta un esempio di militanza. Sempre aperto, mai fazioso, una persona gentilissima. Una volta in tribunale a Genova, durante un’udienza davanti al Gip, si avvicinò a Francesco Gratteri, l’indagato più alto nel caso Diaz, poi condannato in via definitiva, e con garbo si presentò, gli strinse la mano e gli mostrò una fotografia: “Dottor Gratteri, volevo mostrarle come ci avete ridotto”. Nella foto, scattata poco dopo il luglio 2001, Arnaldo era in carrozzina, con braccio e gamba ingessati, l’immancabile fazzoletto rosso al collo. Gratteri, colto di sorpresa, borbottò qualcosa, Arnaldo gli strinse ancora la mano e salutò. È stato l’unico faccia a faccia tra uno dei responsabili della “macelleria messicana” e uno dei “macellati”.

Resta d’esempio anche la sua apertura mentale. Veniva spesso a Firenze, ospite a casa mia, per portare fiori sulla tomba dell’avvocato Angiolo Gracci, il partigiano Gracco, suo amico e compagno di lotte. Gli feci conoscere Nunzio e Carlotta, due maiali “da compagnia” di un vicino di casa: grazie a loro, capì meglio il mio animalismo e diventò vegetariano.

Arnaldo ha lottato sempre, senza risparmio, col sorriso sulle labbra. L’ultima volta che l’ho visto, pochi giorni fa in ospedale, era ormai stremato. Non riusciva più a parlare. Alla visita precedente, il primo maggio, non aveva riconosciuto né me né Paolo Fornaciari, che era con me. L’altro giorno invece mi ha almeno riconosciuto, mi ha sorriso, e posso ricordarlo così, come un uomo che lotta e non perde mai la sua umanità, la sua attitudine all’empatia, alla solidarietà.

Lo dobbiamo ricordare per quel che era. Un uomo buono, un rivoluzionario. Ciao, Arnaldo.

Lorenzo Guadagnucci è giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri “Noi della Diaz” e “Parole sporche”


Questo articolo di Lorenzo Guadagnucci è stato diffuso da AltraEconomia.



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