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Nuovo bavaglio all’informazione

In direttrice finale il decreto legge sulla diffamazione. Non più il carcere per i giornalisti ma multe da 5 a 100 mila euro. Colpiti, soprattutto, i piccoli giornali. Tutto per risparmiare la galera ad Alessandro Sallusti

di Adriano Todaro - mercoledì 24 ottobre 2012 - 2833 letture

Ammettiamo di dover fare un’inchiesta per girodivite. Chessò su una discarica, sui soldi spesi da un assessorato oppure sui soldi spesi dalla Regione Lombardia (o Lazio, o Emilia ecc.) in un determinato settore. Come mi comporterò? Oppure un’inchiesta su una fabbrica che inquina. Come mi muoverò?

Diligentemente comincerò a tracciare una scaletta, sentirò le parti interessate, gli abitanti che stanno vicino alla fabbrica, l’assessore competente che ha stanziato fondi pubblici, farò qualche intervista, sentirò l’Arpa, cercherò, oltre alle fonti ufficiali e quindi interessate, altre fonti. Poi tramuterò il tutto in un articolo-inchiesta. Semplice no?

Beh mica tanto. Perché qua cominciano a nascere i problemi. Sì perché con il cambiamento radicale che è avvenuto nelle ultime ore del decreto in discussione sulla diffamazione a mezzo stampa, bisogna proprio avere un gran coraggio e, soprattutto, tanti soldi a disposizione per poter rispondere all’eventuale querela.

Entro il 30 ottobre potremmo avere una nuova legge sulla diffamazione con un testo che sarà relazionato da due esponenti, uno del Pd e uno del Pdl. A prima vista la legge sembra migliorativa rispetto alle proposte precedenti quando per i giornalisti era previsto il carcere. Ma i nostri legislatori bipartisan si sono inventati di aumentare le multe, da un minimo di 5 mila sino a 100 mila euro che dovrà pagare il giornalista supportato dall’editore, quando c’è.

E se il giornalista lavora in un piccolo giornale? Potrebbero mai pagare multe così salate quell’esercito di persone che lavora spesso a 3 euro al pezzo o i free lance? E dietro di loro, certo, non potrà pagare l’editore del piccolo giornale dove in alcune realtà è anche il direttore responsabile. Oltre a questo aspetto, la nuova legge prevede l’obbligo di rettifica senza commento, entro sette giorni dalla richiesta della persona offesa. E se uno è recidivo alla diffamazione, ecco che i finanziamenti pubblici al giornale verrebbero bloccati. Per non farsi mancare nulla, la nuova legge prevede anche l’interdizione dalla professione di giornalista da uno a sei mesi.

Non sono assolutamente norme innovative. Sono norme già contemplate negli ordinamenti giornalistici com’è il caso dell’obbligo di rettifica. L’art. 8 della legge 1948, n. 47 sulla stampa, già prevede l’obbligo di rettifica che deve essere pubblicata "non oltre due giorni da quello in cui è avvenuta la richiesta, in testa di pagina e collocata nella stessa pagina del giornale che ha riportato la notizia cui si riferiscono". Lo prevede, fra l’altro, anche la Carta dei doveri del giornalista ("Il giornalista rispetta il diritto inviolabile del cittadino alla rettifica delle notizie inesatte o ritenute ingiustamente lesive. Rettifica quindi con tempestività e appropriato rilievo, anche in assenza di specifica richiesta, le informazioni che dopo la loro diffusione si siano rivelate inesatte o errate, soprattutto quando l’errore possa ledere o danneggiare singole persone, enti, categorie, associazioni o comunità"). Il problema, come sempre, sono i controlli. E poi la possibilità che ha un cittadino qualsiasi, senza potere, di esigere che la sua rettifica sia riportata dal giornale così come dice la legge. In genere la rettifica va a finire nella rubrica "Lettere in redazione", in corpo 8. Non ti garba? Bene, fammi causa. Potrebbe mai questo cittadino portare a giudizio il grande quotidiano per una mancata rettifica? Quanto costerebbe l’avvocato? Quanti anni starebbe in ballo prima della sentenza? Tre/quattro anni? La media, per queste cause, sono 1.500 giorni.

A questo punto riprendiamo la nostra simulazione iniziale. Con questi spauracchi sulla testa scriverò ugualmente la mia inchiesta? E girodivite, se mi querelano, sarà disponibile a pagare, facciamo un esempio, 50 mila euro di multa? Ecco che scatta l’autocensura. Per non rischiare di pagare multe irraggiungibili, non scrivo l’articolo o lo annacquo al punto da farlo diventare acqua fresca. D’altronde, è risaputo, che è molto meno faticoso lavorare sulle fonti "ufficiali", le notizie che provengono dalle istituzioni o dai diretti interessati piuttosto che fare il segugio per trovare le notizie. Certo, l’informazione "ufficiale" sarà più piatta, banale. Però, in questo modo, non ci sono rischi di denunce per diffamazione.

Ma c’è di più. C’è che un senatore del Pdl, Lucio Malan, ex leghista, ha presentato un emendamento in cui si dice che la multa aumenti di cinque volte nel caso in cui la diffamazione sia nei confronti di un politico e un altro, sempre dello stesso schieramento, Giacomo Caliendo, prevede l’illegittimità delle clausole contrattuali che coprono il giornalista dalle possibili cause. Quest’ultimo emendamento si riferisce, ad esempio, ai giornalisti Rai come quelli di Report.

Tutto questo gran lavorìo ha un solo obiettivo: non fare andare in galera Alessandro Sallusti. E qualcuno, finalmente, si sveglia. Avevamo già scritto, la scorsa settimana, che attendevamo con ansia la presa di posizione dei grandi soloni del giornalismo italico anche sui giornalisti senza potere (come era il caso della cronista di Sedriano) considerato che c’era stata una levata di scudi nei confronti del direttore de Il Giornale, dipinto come un gran cultore della libertà di stampa.

Non è stato proprio così perché nessuno ha parlato. Ma la Federazione della Stampa (il sindacato dei giornalisti), a proposito di questo decreto legge lo ha definito una "vendetta" nei confronti di giornalisti e editori. "E’ la legge peggiore di sempre ‒ dice il sindacato ‒ il Senato si fermi!". Il Senato, naturalmente, si fa un baffo del sindacato dei giornalisti e, come detto, entro il 30 ottobre invierà il tutto alla Camera per l’approvazione. A meno che non interverranno nuove disposizioni e ripensamenti dell’ultima ora.

Insomma, è l’ennesimo tentativo di salvare il soldato Sallusti il quale continua a travestirsi da paladino della stampa libera. E per salvarlo non si esita, destra e sinistra, a mettere il bavaglio a tanti giornalisti che vorrebbero poter fare il proprio mestiere con la schiena dritta e raccontare non la Verità, ma quello che loro hanno appreso o visto perché il diritto costituzionale non è solo quello d’informare ma anche quello di essere informato.

In una recente dichiarazione, Sallusti si permette anche di lanciare provocazioni ai magistrati: "Tengono l’ordine di carcerazione nel cassetto perché si vergognano di venirmi a prendere... Chi ha emesso questa sentenza [quella nei suoi confronti-Ndr] dovrebbe essere radiato".

A nostro parere ad essere radiato dovrebbe essere solo lui. Per dare dignità a questa professione spesso, a ragione, bistrattata


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