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Nadia Fusini e i saggi di Virginia Woolf

La foresta della prosa, saggio introduttivo di Nadia Fusini alla raccolta di Virginia Woolf, Prose, saggi, racconti, Meridiani Mondadori

di Pina La Villa - lunedì 28 febbraio 2005 - 9081 letture

Virginia Woolf comincia la sua attività di scrittrice come recensore di libri per varie riviste. All’inizio i suoi testi vengono tagliati, rimaneggiati, e spesso non sono neanche firmati.

Virginia è autodidatta....il che ha i suoi vantaggi - non c’è nessun canone che le sia stato imposto. E’ una outsider per necessità e la sua rimarrà sempre una critica idiosincratica nel senso più letterale: un modo cioé di vedere e gustare le cose, che è frutto di una mescolanza assolutamente speciale di ingredienti che concorrono alla combinazione di un temperamento unico nel gradimento come nella ripugnanza.

Così scrive Nadia Fusini: "la prosa saggistica woolfiana è radicalmente metaforica. Come i romanzi, il saggio woolfiano cresce nel dispiegamento della metafora, e così facendo coinvolge il lettore nella sua (della Woolf) stessa ricerca; lo porta cioé a interrogarsi prima di tutto sulla complessa relazione tra linguaggio realtà fenomenica e pensiero. Che la realtà nel caso del saggio sia spesso un libro, non cambia nella sostanza".

Nei saggi infatti, rispetto alle recensioni, Virginia approfondisce la sua condizione di outsider, ne fa un punto di forza.

"E’ un sentimento di deiezione, di vulnerabilità estrema che pervade i suoi romanzi, e vibra in ogni suo gesto e pensiero. Se la Woolf è la grande saggista che è, è anche per tale sentimento. Chi sente così, non urla mai, tantomeno quando scrive. Non strepita -. Dubita.- che è diverso. Il tono sarà ironico; ironiso all’estremo a volte, quando ad esempio si inarca in quella "Vindications of woman’s right" che sono Una stanza tutta per sé e Le tre ghinee; mai pomposo, mai retorico, né aspro, né mellifluo, né ieratico, né splenetico, né ipocrita, né vitriolico" (esempio Eliot).

"L’arte della vita richiede la libertà di cercare la verità e la bellezza. L’anima vuole comunicare, vuole conoscere - soprattutto se stessa. E’ per tale viaggio che il Seigneur de Montaigne ha fabbricato quel veicolo, l’essai, alla cui guida ora Virginia Woolf si prova. Montaigne è all’inizio del viaggio e con la forma che appresta lo rende possibile"

Il saggio trova la sua forma se è chiara l’idea, dice Virginia.

"La fonte del piacere estetico (così afferma nel saggio su Defoe) è nel fatto che lo scrittore ha soggiogato ogni altro elemento al suo disegno, ha risolto l’universo in armonia": ecco il cosmo! Il lettore che vive è esposto al disordine, al caos, lo scrittore lo guida a rifare quel passaggio dal caos al cosmo, che è sempre una nuova nascita - è la vita nova dell’opera.

L’esperienza dell’armonia, dell’ordine è buona, perciò bella.Se Virginia Woolf ripeterà costantemente "leggere mi fa felice" (e aggiunge "e sbocco sempre in un attacco di scrittrice") è per questo.

La sua idea (vedi Uno schizzo del passato) è di trasferire nel saggio l’immediatezza lo sfolgorio la brillantezza della conversazione non pedante. Pensa il suo rapporto con il lettore, e il suo stesso di lettrice con lo scrittore, come un’immensa infinita inconclusa interminabile conversazione.

"Alla fine, è quello che conta: coltivare le forme dell’attenzione sempre dovuta all’espressione umana, in ogni modo difendersi (difenderci) dalla malattia che insidiava la sua civiltà (e ancora di più la nostra) - l’estinzione della parola."


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