Le tartine

Una sobria parata e una altrettanto sobria magnata. "Non piangiamoci addosso" è il monito di Napolitano. Ha ragione. Facciamoci una bella risata

di Adriano Todaro - martedì 5 giugno 2012 - 2345 letture

Avrei voluto anch’io, magari a mia insaputa, essere fra i duemila invitati da Giorgio Napolitano nei giardini del Quirinale. E’ andata male. Sì perché era stato detto che la festa della Repubblica era la festa di tutti gli italiani. Ora che io sia italiano non c’è alcun dubbio. Ma che faccia festa con Giorgino il migliorista, non è possibile. Mia moglie mi aveva già preparato il vestito buono, quello che utilizzo per matrimoni e funerali, ma l’invito di Giorgio non è arrivato e mi sembrava un po’ cafone fare l’imbucato e presentarmi al Quirinale.

Così sono restato a casa con molta invidia per quel bel mondo che ha potuto essere invitato alla sobria, anzi alla "particolarmente sobria" cerimonia mangereccia. Già m’immaginavo di arrivare al Colle e mischiarmi fra i notabili, attori, faccendieri di dubbia professione, presidenti di enti con stipendi adeguati, diplomatici, militari con tante stellette, direttori di giornali, parlamentari, ex parlamentari ed umanità varia inquisita. Tutta gente rispettabilissima, certo. Come è certo che non c’era neppure un lavoratore a reddito fisso, pagatore di tasse.

In realtà Giorgino nostro avrebbe voluto avere almeno un operaio e si era rivolto a Bersani. Bersani, intento a pettinare bambole, era andato nel panico perché lui di operai non ne conosceva nessuno. Si era, allora rivolto ad un comunista d’altri tempi, Emanuele Macaluso il quale, al telefono, non l’aveva neppure fatto parlare ed aveva cominciato con la solita tiritera, a 15 giorni dalla fine delle elezioni amministrative, che non bisogna votare Orlando a Palermo. E così era stato interpellato un giovane pioniere del Pci, tal Baffetto, il quale aveva guardato nel suo armadio di famiglia ma aveva trovato solo un vecchio imprenditore socialdemocratico.

A questo punto Bersani, ormai disperato, con la faccia ancor più mesta, aveva ritelefonato al presidente per comunicargli che loro operai non ne avevano più, era merce d’altri tempi quando c’era un certo sardo, quello che, figuriamoci, parlava dell’esigenza di moralizzare i partiti. Ma senza operai si poteva fare il ricevimento? Certo che sì. E così sono partiti gli inviti sobri, ricamati in oro. Duemila invitati a magnare, bere e, pardon, fare qualche ruttino per via delle bollicine Ferrari serviti in bicchieri di vetro pregiato. E poi tartine a volontà e delizie varie, sino ai dolci e ai vini, rigorosamente italiani, anche perché era la festa della Repubblica italiana.

Alcuni buontemponi si sono scandalizzati, sia del ricevimento e sia della parata. I soliti mestatori a cui ha risposto con garbo e acutezza di pensiero l’ex ministro Ignazio, che dopo essersi consultato con suo cugino Gasparri, che è il vero intellettuale della famiglia, ha domandato: "Ma se fosse stato il 25 aprile anziché il 2 giugno qualcuno avrebbe insistito per impedire le celebrazioni?". Domanda pregnante che va a sondare le nostre coscienze. Nessuno si è sentito di rispondere a una domanda così fatta e Ignazio è stato lasciato solo a macerarsi nel dubbio psichiatrico.

Chi invece non si fa troppe domande è il sobrio presidente Monti che ora, con la bella stagione, ha dismesso il loden e ha messo la giacca grigia. Tenendo conto che c’è stato il terremoto e che migliaia di persone vivono fuori casa tra mille privazioni, ha deciso che i danni li dobbiamo pagare noi. Subito con l’aumento della benzina e, prossimamente, con l’aumento dell’Iva. D’altronde Napolitano l’aveva detto chiaro che era necessario fare sacrifici. Lui, infatti, al ricevimento invece di due tartine ne ha mangiate solo una. Ha ribadito Monti: "La festa della Repubblica ci ricorda che il Paese è fondato sulla solidarietà...". Veramente io ricordavo che era fondato sul lavoro. Comunque sia, Monti dice il vero perché quando succede qualche disastro, si fa appello sempre alla solidarietà. Anche i duemila invitati erano solidali, soprattutto quando hanno cominciato ad abbuffarsi, azzannando sormontè con cioccolato fondente e bianco.

Giorgino però dice anche un’altra cosa che mi ha fatto molto pensare: "L’impegno dello Stato e la solidarietà nazionale non mancheranno per assistere le popolazioni che soffrono e per far partire la ricostruzione. Ce la faremo". E’ un grido, il suo, di speranza. Sì ce la faremo. Intanto ci facciamo una bella mangiata e una sfilata di soldatini così che i vari Ignazio possano inebriarsi, sobriamente. Certo che ce la faremo. Noi siamo un popolo di santi, navigatori e poeti e qualcosa escogiteremo per farcela.

Ce la faranno, senza dubbio, i concessionari delle slot machine che riceveranno 285 milioni di euro dallo Stato; ce la faranno i consiglieri dell’Emilia e del Molise a cui si era chiesto (in Emilia da parte del consigliere 5 Stelle e in Molise da alcune liste civiche) di rinunciare a rimborsi elettorali e indennità. Ce la faranno a mantenere tutto perché, a grande maggioranza, i consigli hanno votato contro, tutti abbracciati appassionatamente, dal Pdl al Pd che hanno giudicato la richiesta "cinica speculazione"; ce la faranno i partiti in attesa del loro rimborso elettorale di luglio. E continueranno a farcela tutti quegli ex ministri, e non solo, che seguitano a mantenere la scorta e macchine a disposizione ‒ probabilmente a loro insaputa ‒ come Fassino, Mastella, Alfano, Castelli.

Sì, presidente. Ce la faremo. Nonostante la disoccupazione al 10,9 per cento, malgrado che il 36% dei giovani sia senza lavoro, nonostante i suicidi di coloro che hanno perduto il lavoro o non possono pagare i mutui, malgrado quelli che muoiono sotto le macerie di un capannone che nessuno ha voluto controllare prima, nonostante le ruberie continue, le speculazioni, le malversazioni. Sì, ce la faremo, anche se vi dobbiamo mantenere ancora per tanti anni, anche se ci depredate continuamente, se ci pigliate per il culo, se vi fate un baffo dei terremoti e dei bisogni della povera gente.

Voi, intanto, non preoccupatevi di queste miserie. Continuate a bere Ferrari, a mangiare tartine speciali preparate dagli chef del Quirinale. "Non dobbiamo piangerci addosso", ci ha ricordato Napolitano. Ecco, non piangiamo. Quando andrà nelle zone terremotate, Napolitano lo dica ai parenti delle vittime. E se qualcuno, il solito sobillatore, l’accuserà di non aver voluto abolire la parata del 2 giugno, risponda, signor presidente, con la stessa frase che ha ribadito alcuni giorni orsono: "In caso di necessità, sarebbe l’ultima cosa da fare".

Sì. E’ l’ultima cosa. La prima cosa da fare sarebbe quella di licenziarvi, tutti, per incapacità gestionale. Siete morti da tempo e non ve ne siete accorti, anche se avete le tartine in bocca.


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