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La vita e il caso Welby

Con un appello per il diritto alla vita e alle cure, *Fulvio De Nigris, direttore del Centro Studi per la Ricerca sul Coma di Bologna, interviene nel dibattito sul caso Welby, sollecitando il Parlamento a prendersi carico di chi soffre e chiede cure e attenzione da parte di tutta la società.

di Enzo Maddaloni - giovedì 4 gennaio 2007 - 5836 letture

Con un appello per il diritto alla vita e alle cure, *Fulvio De Nigris, direttore del Centro Studi per la Ricerca sul Coma di Bologna, interviene nel dibattito sul caso Welby, sollecitando il Parlamento a prendersi carico di chi soffre e chiede cure e attenzione da parte di tutta la società.

Fondatore de Gli amici di Luca, l’associazione che dal 1997 si occupa di assistenza alle persone in coma e ai loro familiari, nella sua lettera aperta Fulvio De Nigris vuole dar voce alle migliaia di famiglie che convivono ogni giorno con la malattia, dovendosi confrontare con le carenze del sistema sanitario.

“La scelta di fine vita di Welby deve aiutarci a riflettere e a riconoscere i problemi di una minoranza silenziosa che aumenta sempre più e sempre più chiede aiuto e assistenza - scrive De Nigris -. Come ha detto il ministro Rosi Bindi, anche chi ha fede non può sperare nella vita eterna come soluzione dei problemi che in questa vita si possono e si devono affrontare. E’ qui, su questa terra, che va combattuta una battaglia contro le ingiustizie, le carenze, le opportunità negate di quelle persone che sopravvivono grazie ai progressi delle tecniche rianimatorie, restituite sofferenti e con disabilità ad una società che poi stenta a riconoscerli. A questi “nuovi emarginati” dobbiamo dare diritti di cura, diritti sociali, diritti di vita”.

“Non bisogna lasciare sole le famiglie di quelle 2.500 persone che in Italia sono in stato vegetativo - aggiunge De Nigris -. Hanno bisogno di un’assistenza specifica, che al momento non viene garantita in maniera uniforme su tutto il territorio. Lo Stato deve assicurare a tutti il diritto di cura, ma invece in molte regioni mancano centri dedicati. L’esperienza della Casa dei Risvegli Luca De Nigris dell’ospedale Bellaria-Azienda Usl di Bologna può essere esportata anche in altre regioni, per dare aiuto e sostegno alle persone con esiti di coma e ai loro familiari”.

“Le famiglie che chiedono il diritto alla vita, alla cura e alla condivisione della sofferenza e i professionisti della sanità che attorno a loro cercano di sviluppare progetti di vita, sono un’entità rappresentativa e non trascurabile - continua Fulvio De Nigris -. Bene ha fatto allora il ministro Livia Del Turco a istituire una commissione sui temi delle cure palliative, della terapie del dolore, degli stati vegetativi, del diritto di fine vita. Il dibattito in corso ne trarrà sicuramente giovamento”.

Gli amici di Luca Via Saffi 10 - 40131 Bologna Tel. 051 6494570, fax 051 6494865, cell. 3356535122 www.amicidiluca.it, amicidiluca@tin.it

Il 1° marzo 2006 si è costituita in Campania l’Associazione "GLI AMICI DI ELEONORA onlus", gli scopi sociali sono la promozione e la realizzazione (almeno) di una "Casa dei Risvegli" dal coma in Campania e delle attività ad essa collegate: http://www.gliamicidieleonora.com/home.htm

(*Fulvio De Nirgris è anche componente della Commissione Nazionale del Ministero della Salute per le Cure Paliative)


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La vita e il caso Welby
4 gennaio 2007

Le problematiche legate al pieno riconoscimento del diritto all’assistenza sanitaria allo scopo di garantire il più fondamentale dei diritti (il diritto alla vita) non sono strettamente connesse con le questioni poste dal caso Welby. Appare una forzatura sostenere che la scelta di Welby finisca con il ledere il principio del diritto alla vita. Quella che Welby era costretto a vivere era una vita non-vita. La scelta di porvi fine, in quantro scelta individuale è stata una scelta libera.

Quello di Welby è però un caso limite: non possiamo generalizzare partendo da questa esperienza per trarre da essa regole che valgano anche per altri, né in senso permissivo, né in senso restrittivo.

Chi ritiene di condannare Welby, la chiesa cattolica lo ha fatto negandogli i funerali religiosi, stia attento a ciò che dice; altrettanto facciano tutti coloro che ne esaltano la scelta per estenderla a mo’ di regola ad altre persone che versano in condizioni similari.

Non vi è necessità di fare alcuna legge in materia. I medici sono certamente più qualificati dei parlamentari nello stabilire se un paziente è oggetto di accanimento terapeutico. Il consiglio superiore di sanità deve semplicemente evitare di farsi ingabbiare nelle pastoie di un certo cattolicesimo oscurantista.

Caso per caso, questo organo autonomo è chiamato a valutare le circostanze concrete e le condizioni cliniche in cui versa un determinato paziente. Se per Welby non si è parlato di accanimento terapeutico ciò deriva da una interpretazione di questo su cui influisce in maniera preponderante la morale cattolica. Una morale che si basa sull’esistenza di una vita ultraterrena e che, incoerentemente, ha stabilito, attraverso i suoi più alti prelati, che è lecito costringere un uomo a non morire di morte naturale, trattenendolo contro la sua volontà in una dimensione esistenziale virtuale nella quale staccato da una macchina cesserebbe di vivere quasi all’istante.

Chi sceglie di resistere sopravvivendo in questo stato deve essere libero di farlo ed incoraggiato a farlo. Ma quando, come nel caso Welby, questa condizione di vita è divenuta una tortura, la libertà di dire basta non può essere negata in forza di stupide verità assiomatiche che negano l’evidenza dei fatti. Una legge in materia avrebbe l’effetto perverso di limitare la libertà degli uni a scapito di quella degli altri. Solo un atteggiamento improntato all’equità può rendere giustizia in siffatti casi, non certo una legge che poi per via interpretativa verrebbe a subire le consuete applicazioni distorte tipiche del sistema normativo italiano.

Per un cristiano la vera vita inizia con la morte. Scientology con il cristianesimo non ha nulla a che fare, ma sembra che abbia una qualche relazione con l’attuale cattolicesimo.

Un’ultima notazione: quando si parla di diritto alla vita sarebbe opportuno evidenziare primariamente le mille carenze del sistema sanitario italiano che spesso lascia morire pazienti nelle corsie dei pronto soccorsi senza che un solo medico abbia avuto la possibilità di fare una minima diagnosi. Ricordatelo alla Bindi che è stato un fulgido esempio quando "pontificava" da ministro della sanità del nostro paese, minimizzando sulle carenze di personale e di strutture per difendere l’operato del suo dicastero.