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La storia

Come nasce la questione palestinese, alcune vicende e i trattati, l’intifada.

di Pina La Villa - venerdì 30 maggio 2003 - 14112 letture

Il Medio Oriente e la questione palestinese

Siamo nel periodo fra la prima e la seconda guerra mondiale. Il riconoscimento dell’indipendenza della Siria, del Libano, dell’Iraq e della TransGiordania da parte delle potenze occidentali non avvenne senza contrasti e resistenze, soprattutto della Gran Bretagna e della Francia, che esercitavano il loro dominio in quella importantissima area, ma fu relativamente precoce (fra il ’37 e il ’46) e si consolidò dopo la guerra. I nuovi stati formarono una lega, alla quale si aggregarono anche l’Egitto, l’Arabia Saudita e lo Yemen.

Nella Palestina rimaneva aperto il problema della sistemazione degli Ebrei immigrati, che vi si erano insediati dopo la prima e la seconda guerra mondiale, e dei loro rapporti con la popolazione araba che risiedeva nella regione.

La proposta di creare due Stati fu sostenuta dalla Gran Bretagna - che esercitava il protettorato sul territorio - e successivamente anche dalle Nazioni Unite, ma non fu accolta dai Palestinesi.

Gli Ebrei avevano creato intanto, con il sostegno degli Stati Uniti e di altri paesi nuove strutture civili, organizzazioni culturali e di ricerca scientifica, istituzioni sociali (come i kibbutzim, comunità agricole collettivistiche) e una forte organizzazione militare.

Il conflitto tra Arabi ed Ebrei, che si instaurò fin dai primi insediamenti, si svolse inizialmente sotto forma di attività terroristiche, che coinvolsero anche i mediatori inglesi, tendenzialmente favorevoli a mantenere rapporti di allenaza con gli Stati Arabi.

Un attentato sionista distrusse nel 1946 il King David Hotel di Gerusalemme, provocando lo sterminio del quartier generale inglse che vi era insediato. Incapace di domare la guerriglia e di imporre il proprio progetto, la Gran Bretagna decise di mettere fine al proprio mandato il 14 luglio 1948; nello stesso giorno il governo provvisorio ebraico diretto da David Ben Gurion proclamò lo Stato d’Israele, con capitale Tel Aviv, immediatamente riconosciuto dall’Unione Sovietica e dagli Stati Uniti.

Scoppia la prima guerra arabo-israeliana. Le forze militari dell’Egitto, dell’Iraq e della Transgiordania attaccano il nuovo Stato. Le operazioni militari, che si svolgono tra il maggio 1948 e il gennaio 1949, si concludono con la sconfitta delle truppe della lega araba, numericamente superiori ma prive di comandi efficienti e di adeguata preparazione tecnica.

Mantenendo il possesso delle zone occupate durane la guerra, lo Stato di Israele acquisisce circa l’80 per cento del territorio palestinese, estendosi oltre i confini stabiliti precedentemente dall’ONU. A sua volta la Transgiordania mantenne il territorio occupato dalle sue truppe a ovest del fiume Giordano, assumendo il nome di regno hascemita di Giordania.

Seconda guerra arabo-israeliana

Anche questo territorio fu occupato da Israele - insieme alle alture del Golan e alla striscia di Gaza - nella guerra arabo-israeliana del 1967 (guerra dei sei giorni, 5-10 giugno) che si concluse con una ulteriore sconfitta dei paesi arabi. In questa occasione il governo di Israele procedette unilateralmente anche all’incorporazione del settore arabo di Gerusalemme.

L’esodo della popolazione araba della Palestina raggiunse allora vaste proporzioni: al milione di profughi del 1948-1949, rifugiati per la maggior parte in Giordania, si aggiunsero nel 1967 altre centinaia di migliaia di palestinesi provenienti dalla riva del Giordano e dalla striscia di Gaza.

Nel nodo della questione palestinese si intrecciano diversi aspetti. La permanente ostilità tra Stati Arabi e Israele diventa un ulteriore motivo di tensione nei rapporti tra le grandi potenze (Stati Uniti-Unione sovietica), mentre i contrasti tra Arabi ed Ebrei all’interno dello stato di Israele, la situazione esplosiva dei territori occupati, l’incerto destino della nazione arabo-palestinese in gran parte dispersa e l’estensione della lotta armata e del terrorismo anche all’interno dei paesi confinanti con Israele, sconvolgono tutto il Medio Oriente. Le azioni di guerriglia e terroristiche dei combattenti palestinesi (feddayn) e le rappresaglie degli Israeliani sono per lunghi anni la manifestazione quasi quotidiana di un conflitto che spesso si è svolto anche oltre i confini del Medio Oriente. Tra gli altri movimenti politici palestinesi, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) ha acquisito lentamente, sotto la presidenza di Yasser Arafat (dal 1967), il ruolo di maggiore e più autorevole rappresentante politico della nazione palestinese.

Altre vicende del conflitto arabo-israeliano:

1973:La guerra dei sei giorni (terza guerra arabo-israeliana): La causa della guerra dei sei giorni, è la controversia sull’acquedotto del fiume Giordano. I crescenti bisogni agricoli e industriali israeliani portano Tel Aviv a pompare acqua dal lago di Tiberiade attraverso un acquedotto che procedendo da sud verso nord, urta contro le necessità di approvvigionamento idrico degli stati arabi.

Nel 1967 il presidente egiziano Nasser chiese il ritiro delle forze dell’ONU che presiedono il confine del Sinai, proclama la chiusura del Golfo di Aqaba, vitale per gli approvvigionamenti israeliani, e stringe un patto militare con la Giordania. Gli israeliani rispondono sferrando un attacco preventivo contro Egitto, Giordania e Siria. La guerra dura appena sei giorni, ma il suo esito è disastroso per gli arabi. L’Egitto perde la penisola del Sinai, la Giordania tutti i territori della riva occidentale del Giordano e Gerusalemme. La fine della "guerra dei sei giorni" ha per gli arabi conseguenze di vasta portata. Segna il declino di Nasser e della sua politica di radicalismo panarabo (unità tra tutti i popoli arabi). Inoltre, portò ad un atteggiamento più prudente la Giordania e gli altri stati moderati della zona.

Guerra del Kippur Il 6 ottobre del 1973, giorno della festa del Kippur, le truppe egiziane attaccarono di sorpresa la linee israeliane dilagando nel Sinai. Ma Israele riuscì a capovolgere le sorti del conflitto grazie anche agli aiuti americani, respingendo gli attacchi. Con la guerra del kippur, malgrado il successo israeliano sul piano territoriale, da un lato fu scosso il mito dell’invincibilità israelina, dall’altro la chiusura del canale di Suez e il blocco petrolifero stabilito dagli arabi contro i paesi occidentali diedero alla crisi una dimensione globale.

All’indomani della guerra del Kippur, il presidente Sadat si convinse della necessità di trovare una soluzione politica al conflitto con Israele e dunque di avvicinarsi agli Stati Uniti. Nel 1974-75 con un clamoroso rovescio di alleanze, espulse i tecnici sovietici dall’Egitto congelando i rapporti con l’URSS e impresse alla sua politica estera un segno filo-occidentale. Nel 1977 compì un viaggio a Gerusalemme e formulò un discorso al parlamento israeliano chiedendo la pace. Si giunse nel 1978 agli accordi di CAMP DAVID fra Sadat e il primo ministro israeliano Begin. L’Egitto ottenne la restituzione del Sinai e stipulò con Israele un trattato di pace. Questi accordi prevedevano ulteriori negoziati per un regolamento globale nella regione e per la soluzione al problema palestinese.Ma questi negoziati non furono mai avviati. L’ostacolo principale venne dagli stati arabi e dall’OLP che denunciarono il tradimento dell’Egitto e rifiutarono ogni trattativa col "nemico storico". (Sadat viene assassinato nell’ottobre del 1981).

La crisi libanese Costretti ad abbandonare la Giordania dopo la strage operata da quel governo (settembre nero, 1970), 200.000 palestinesi si stabiliscono in Libano, risollevando antichi conflitti (i cristiano-maroniti si oppongono alla presenza dei palestinesi dato che mirano all’egemonia sulla maggioranza musulmana, profondamente divisa al suo interno) . Le mire siriane e israeliane sul Libano e le azioni terroristiche dei fedayn precipitano il Libano in lotte incrociate tra gruppi palestinesi, siriani, libanesi, israeliani. Nel 1982 gli israeliani invasero il Libano meridionale in un’azione decisiva contro i palestinesi. Tentativo fallito dell’Onu di pacificare il paese. A partire dalla metà degli anni ’80 Giordania e Arabia Saudita e la stessa dirigenza dell’OLP assunsero una posizione più morbida e sfidando la condanna del cosiddetto "fronte di rifiuto" (FDLP: fronte di liberazione della palestina ) si dissero disposte a trattare con Israelee a riconoscerne l’esistenza in cambio del suo ritiro dei territori occupati,dove sarebbe dovuto sorgere uno stato palestinese. Ma a questo punto furono i dirigenti dello stato ebraico a rifiutare la trattativa con l’OLP, considerata un organizzazione terrorista, e a opporsi alla creazione di uno stato palestinese.

Mentre era in atto la guerra interna del Libano tra cristiani e musulmani, un altro focolaio si accese nei territori occupati da Israele (Cisgiordania e striscia di Gaza), dove si sviluppò dalla fine del 1987 una rivolta popolare (intifada) condotta da giovani palestinesi armati di pietre con quotidiane manifestazioni duramente represse e contrastate dagli Israeliani. L’asprezza di questo stato di tensione, la drammaticità delle sue conseguenze e la pressione del governo degli Stati Uniti indussero le due parti a dare inizio a una serie di trattative che furono condotte da Arafat e dal nuovo ministro laburista israeliano Yitzhak Rabin, eletto nel 1992. Con gli accordi di Oslo e di Gaza-Gerico, stipulati nel 1993, lo stato di Israele riconobbe l’amministrazione palestinese della striscia di Gaza e di una parte della Cisgiordania e si impegnò per il ritiro delle truppe da quei territori. La firma dell’accordo, su richiesta di Rabin e Arafat, avvenne solennemente alla Casa Bianca il 13 settembre 1993, a riconoscimento dell’intensa attività di mediazione svolta dal presidente americano Clinton che nel 1994 presenziò anche alla firma del successivo accordo tra Rabin e il re Hussein di Giordania. La destra estremista e integralista di Israele reagì con l’assassinio di Rabin (4 novembre 1995). Il gravissimo episodio rese da allora problematica l’attuazione degli accordi. Dopo un tentativo infruttuoso con Netanyahu (rappresentante della coalizione dei partiti di destra, le speranze di pace rinacquero con l’elezione del primo ministro laburista Ehud Barak. Nell’incontro che si svolse a Camp David tra Arafat e Barak, quest’ultimo accettò la restituzione ai Palestinesi del 92 per cento dei territori occupati (inclusa la valle del Giordano) e uno statuto per Gerusalemme che avrebbe che avrebbe concesso loro il controllo della Montagna del Tempio. Ma anche questa volta le paure e gli odi ebbero la meglio sulla volontà di accordo. In seguito a nuove elezioni il governo Barak fu sostituito da un governo presieduto dall’esponente della destra Ariel Sharon, ma con l’appoggio dello stesso Peres che era stato l’artefice degli accordi di Oslo. Il 28 settembre 2000 è cominciata una nuova intifada a cui hanno fatto seguito la ripresa del terrorismo da parte delle organizzazioni islamiche integraliste contrarie all’accordo con Israele, le azioni punitive e di ritorsione dell’esercito israeliano e numerosi casi di Kamikaze palestinesi. Con la presidenza Bush (gennaio 2001) le prospettive di soluzione del conflitto hanno subito una grave battuta d’arresto. Il resto è cronaca di questi giorni.


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