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Informazione. Europa 7: la vicenda esemplare in un Paese "normale"

Il diritto di Europa 7 a trasmettere, sentenziato anche dalla Corte di Giustizia Europea. La legge Gasparri e il gioco delle parti della politica italiana

di Adriano Todaro - lunedì 25 febbraio 2008 - 4612 letture

La vicenda che raccontiamo ha dell’incredibile, ma è la dimostrazione come in questo Paese che molti continuano a definire “normale”, la prevaricazione di pochi vince sui diritti dei cittadini. Una prevaricazione costante, arrogante, sicuri di poter impunemente fare i propri comodi, così da aumentare il proprio potere e le proprie ricchezze.

E’ una vicenda lunga, farraginosa, difficile da seguire. Ma vale la pena raccontarla anche a dimostrazione di come il potere politico, qualunque esso sia, è sempre dalla parte del più forte. E di come coloro che si riempiono la bocca di parole come concorrenza, libero mercato e amenità del genere, in realtà sono per un’economia chiusa, sovietica, nemici della concorrenza e fedeli al monopolio.

Dunque, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, interpellata dal Consiglio di Stato, ha affermato il diritto di Europa 7 a trasmettere in chiaro bocciando, di fatto, il sistema italiano di assegnazione delle frequenze tv analogiche. Ma andiamo per ordine, cominciando dall’approvazione della legge Gasparri.

La storia di questa legge è molta lunga con cadute anche di buon gusto come quando il presidente del Consiglio Berlusconi emana un decreto-legge per salvare Rete 4. L’articolo 77 della Costituzione prevede i decreti legge nei “casi straordinari di necessità e d’urgenza”. In questo caso l’unica urgenza era, appunto, una sua proprietà. La legge è approvata il 3 dicembre 2003. Il 13 dicembre, il presidente della Repubblica Ciampi si rifiuta di controfirmarla e la rinvia alle Camere. Il 23 febbraio 2004, la legge è definitivamente approvata a seguito di un decreto legge convertito, appunto, in legge dal voto del Parlamento:124 sì, 91 no e un astenuto.

Il legislatore italiano era intervenuto nel campo audiovisivo sin dal 1975 prendendosi bacchettate dalla Corte costituzionale. A quell’epoca si era inaugurato il cosiddetto “pluralismo interno” alla Rai sotto forma di lottizzazione. Poi più nulla per 15 anni. In tutto questo periodo Silvio Berlusconi, appoggiato dal trio Craxi-Andreotti-Forlani costruisce il suo impero tv-mediatico con tre reti commerciali, una casa editrice, la Mondadori, e la cinematografica Medusa.

Questa concentrazione permette a lui di mettere insieme il 40% dei 7,5 miliardi di euro investiti nella pubblicità sui media. Quando, finalmente, il 6 agosto 1990 il legislatore interviene con la legge Mammì, questa si limita a fotografare l’esistente vale a dire il duopolio costituito da Rai e Fininvest con tre reti nazionali a testa.

Sette anni dopo, il governo di centro-sinistra riesce a far passare la legge Maccanico (31 luglio 1997 n. 249) per tentare di ridurre il peso del duopolio. La legge prevede il limite di due reti nazionali autorizzate per uno stesso gruppo. Il conflitto d’interesse del proprietario di Mediaset non è affrontato ed, infatti, il duopolio (Rai-Mediaset) conserva le tre reti, controllando il 90% dell’audience media e il 97% delle entrate pubblicitarie televisive.

A fianco di queste reti sono apparsi due nuovi protagonisti: l’alleato di sempre di Berlusconi, Robert Murdoch, che occupa la piattaforma digitale a pagamento Stream, la trasmissione satellitare Sky, Tele+bianco e Tele+nero, a dominanza sportiva e cinematografica e Telecom Italia Media che ha acquisito le due reti nazionali di Telemontecarlo, La 7 e la rete musicale Mtv.

Alla fine del 2003 in Italia ci sono 600 televisioni locali e 11 reti nazionali autorizzate: tre della Rai, due del gruppo Mediaset (senza Rete 4 che sarà miracolata dal decreto-legge e che continua a trasmettere ugualmente), le due di Telecom, due rete di teleacquisti (Home Shopping Europe e Telemarket), la rete a pagamento di Murdoch (Tele+bianco, ma non Tele+nero). L’undicesima rete, Europa Tv, si trova in una situazione unica al mondo: dal 1999 è autorizzata a trasmettere, ma non dispone di frequenze. Infine, due altre reti che non coprono tutto il territorio nazionale, Rete A e Rete Capri, nell’attesa dei ricorsi effettuati presso i tribunali.

Su questa materia, la Corte costituzionale era intervenuta a più riprese. Lo aveva fatto nel 1970, contro il monopolio pubblico della Rai e lo fa nel 1988 dichiarando che il duopolio è in contraddizione con i principi costituzionali. Secondo la Corte è necessario garantire “il massimo di pluralismo esterno, per soddisfare, attraverso una pluralità di voci concorrenti, il diritto del cittadino all’informazione”. La risposta sarà la legge Mammì del 6 agosto 1990 n. 223.

Il 7 dicembre del 1994 interviene di nuovo e dichiara incostituzionale il fatto che uno stesso gruppo controlli tre reti nazionali tv. La Fininvest deve separarsi di una rete. La risposta fu la legge Maccanico, nel 1997.

Il 20 novembre 2002, la Corte constata un aggravamento della concentrazione ed esige che Rete 4 e Tele+nero liberino le rispettive frequenze vie etere, migrando sul satellite entro la fine del 2003. Chiede anche che alla stessa data, Rai 3 abbandoni tutte le entrate pubblicitarie (circa 150 milioni di euro in quel momento). La risposta è la legge Gasparri del dicembre 2003.

La legge del ministro di An riorganizza il paesaggio televisivo italiano, mantenendo immutata la situazione di Rete 4 con i suoi 360 milioni di euro di entrate pubblicitarie. Il tentativo è di rispettare le soglie anti-concentrazione della Corte costituzionale, salvaguardando nel frattempo le entrate di Mediaset. Considerato che le soglie non si potevano modificare, bastava allargare il campo sul quale sono calcolate.

Ecco che nasce il Sic (Sistema integrato delle comunicazioni), settore molto ampio che comprende le società di produzioni, di programmazione, di distribuzione televisiva, di edizioni di quotidiani, periodici, libri, dischi, cinema e pubblicità. Il Sic costituisce un ampio paniere di risorse eterogenee che permette con facilità di legittimare una posizione dominante in un settore di attività. L’articolo 15 della legge precisa che “nessun operatore di radiotelevisione può raccogliere risorse superiori al 20% del montante totale del Sic”. Ma poiché il Sic è valutato a più di 30 miliardi di euro, questo lascia alla Fininvest la possibilità di aumentare ancora il proprio fatturato di circa il 50%.

Il servizio pubblico della Rai è confermato per 12 anni, ma il capitale sarà frammentato con una moltitudine di azionisti, poiché una stessa persona non potrà possedere più dell’1% del capitale e non potrà essere stabilito nessun patto tra azionisti superiore al 2% del capitale. Questo non permetterà alla Rai di definire una vera e propria strategia d’impresa, tanto più che l’articolo 25 la obbliga ad investire fortemente nel Tnt (Televisione numerica terrestre), nonostante l’indebitamento elevato.

Fedele Confalonieri, amministratore delegato di Mediaset, all’approvazione della legge Gasparri ha dichiarato che “è evidente che siamo soddisfatti”. Non avrebbe potuto essere diversamente.

La recente sentenza della Corte di giustizia europea relativa alle frequenze di Europa 7, ha rimesso in discussione tutta la materia. E’ una vicenda esemplare quella di questa emittente. Vediamo di ricostruire la vicenda anche se è molta ingarbugliata e per spiegarla è necessario partire dall’inizio.

1999: Europa 7, di proprietà di Francesco Di Stefano, ottiene dallo Stato la concessione per una rete nazionale. Contemporaneamente sono ritirate le frequenze che utilizza Rete 4 e assegnate, appunto, a Europa 7.

Per legge, dopo sei mesi Europa 7 dovrebbe usare le frequenze di Rete 4. La televisione di Di Stefano comincia ad organizzarsi per trasmettere. Acquista a Tor Cervara, nei pressi di Roma, immensi studi (22 mila mq. su 5 piani ). Si procede alle assunzioni dei redattori e dei tecnici e s’introducono innovazioni tecnologiche che pochissime Tv hanno come la possibilità di controllare la temperatura al grado centigrado per tenere sempre efficiente la pista di ghiaccio che, in seguito, servirà a “Ballando sotto le stelle”. Sì perché Di Stefano, per non lasciare inattivi gli studi, li affitta alla Rai e a Mediaset per girare fiction e altro. Gli studi hanno cabine di regia dove è possibile fare contemporaneamente 3 Sanremo. Oggi i dipendenti sono 35. Ma torniamo alla nostra storia.

Per far rispettare il diritto di Europa 7, il governo non fa nulla. In quel momento il presidente del Consiglio è Massimo D’Alema che autorizza Rete 4 a proseguire le trasmissioni analogiche. E’ rimasto famoso l’intervento fatto da Luciano Violante in Parlamento, il 28 febbraio 2002, dove, rivolgendosi ad un deputato di An, così affermava: “Onorevole Anedda, la invito a consultare l’onorevole Berlusconi, perché lui sa per certo che gli è stata data la garanzia piena – non adesso, nel 1994, quando ci fu il cambio di governo – che non sarebbero state toccate le televisioni. Lo sa lui e lo sa l’onorevole letta…”.

Da chi ha avuto il mandato il capogruppo dei Ds per non toccare le Tv di Berlusconi? Questo non è dato sapere.

Intanto Di Stefano comincia la sua battaglia legale sino al novembre 2002, quando la Corte Costituzionale stabilisce che nessun privato possa avere più di due frequenze (sentenza 466/2002). Il termine, per mettersi in regola, è fissato al 31 dicembre del 2003.

In quel periodo, però, c’è in cantiere la legge Gasparri per il passaggio al digitale. Il Parlamento approva la legge nel dicembre 2003, ma il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, la rinvia alle Camere, facendo appello proprio alla sentenza della Corte costituzionale. Piccole modifiche non sostanziali e, alla fine, la firma.

Il governo Berlusconi, come visto, interviene con un decreto (23 dicembre 2003) che assomiglia più ad un autoregalo natalizio grazie al quale la terza rete Mediaset può continuare a trasmettere e Rai Tre può proseguire la raccolta pubblicitaria.

Di Stefano si rivolge al Consiglio Stato che gli dà ragione. Forte di questa sentenza va alla Corte di Giustizia Europea che gli dà ragione. Arriviamo così al nuovo governo di centrosinistra retto da Prodi. Dopo un’accanita resistenza contro il giudizio della Corte di Giustizia Europea da parte della Commissione Europea condotta da Frattini, si giunge all’udienza. E chi va a difendere Rete 4? L’avvocatura dello Stato italiano. In pratica il governo che voleva cambiare la Gasparri, manda l’avvocato di Stato a difendere Rete 4!

L’Italia è messa in mora dalla Commissione Europea per la legge Gasparri. La nuova legge Gentiloni è sempre rimandata. Poi il governo cade e tutto deve ricominciare da capo.

Il 31 gennaio 2008 arriva la sentenza della Corte di giustizia europea che, ancora una volta, dà ragione ad Europa 7. A quella corte si era rivolto il Consiglio di Stato italiano per chiedere lumi sulla bontà della normativa italiana che regola l’assegnazione delle frequenze televisive. Recita la sentenza: “Il regìme italiano di assegnazione delle frequenze è contrario al diritto comunitario”.

Cosa succederà ora? Che Rete 4 finisca sul satellite è compito del governo italiano e non dell’Europa. Se le elezioni le vince Berlusconi sarà certamente difficile per Europa 7 farsi riconoscere un suo diritto, diritto che non riguarda solo quella Tv, ma è un diritto che dovrebbe interessare anche tutti noi proprio per favorire la pluralità dell’informazione. Una fonte della Corte di Giustizia così spiega la sentenza: “La sentenza è chiarissima e dice che il regìme italiano è illegale. Adesso spetta al governo rispettare il verdetto, o cambiando la legge o trasferendo Rete 4 sul satellite, dipende anche da cosa deciderà il Consiglio di Stato. Non dipende comunque da noi. Se nei prossimi mesi l’Italia non farà nulla, potrà arrivare una multa, ma non prima di due anni”. Infatti, per definire un’ammenda comunitaria ci vogliono in media 21 mesi. E a quanto ammonterà? Questa sentenza, se non applicata, costerà ai cittadini italiani 400 mila euro al giorno.

La palla torna, quindi, al Consiglio di Stato e al governo che però è caduto, ma che conserva tutti i suoi poteri anche in questo periodo di crisi. Come sempre è questione di volontà politica.

Intanto Mediaset mette le mani avanti e afferma sicura che “non c’è alcun rischio per Retequattro”. “Il giudizio - si legge in un comunicato - riguarda, infatti, esclusivamente una domanda di risarcimento danni proposta da Europa 7 contro lo Stato e non può concludersi in alcun modo con pronunce relative al futuro uso delle frequenze. Mediaset ribadisce che Retequattro è pienamente legittimata all’utilizzo delle frequenze su cui opera”. In realtà non è proprio così. E’ vero che Di Stefano chiedeva 600 milioni di danni, ma la sentenza afferma che il nostro regìme delle frequenze è fuori norma perché “non rispetta il principio della libera prestazione dei servizi e non segue criteri di selezione obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionali”.

In pratica perché favorisce gli attori che sono già sul mercato. E che la sentenza non riguarda soli i danni, lo conferma anche Viviane Reding, commissaria Ue alle Telecomunicazioni: “Il verdetto è un chiaro segnale in favore di una concorrenza effettiva, di un accesso non discriminatorio alle radiofrequenze e ad una maggiore scelta per il consumatore tra servizi di comunicazione”.

Nel luglio scorso la Gasparri era arrivata al secondo livello di infrazione comunitaria (l’ultimo prima della sentenza della Corte) perché la norma distorce la concorrenza nel passaggio dall’analogico al digitale, favorendo Mediaset, Rai e Telecom Italia/La7. Poi, a dicembre, la Tv italiana è finita sotto processo per l’eccessiva pubblicità. Ora il giudizio sulle frequenze. La Federazione della stampa definisce tutto ciò una “immagine sconfortante del Paese”. Certo. Tutto ciò è sconfortante. Intanto l’informazione è sempre più in mano ad un solo soggetto, il nostro diritto ad informare e ad essere informati viene meno, il conflitto d’interesse non è risolto, il diritto di Europa 7 non è garantito.

In compenso è cominciata una nuova campagna elettorale. Ci diranno che vogliono una nuova legge sulle Tv, sul conflitto d’interesse e sul diritto di far entrare, nel mercato Tv, nuovi soggetti. Dal versante opposto, Berlusconi, griderà al golpe, parlerà di licenziamenti a Rete 4, al suo diritto di fare informazione. Il gioco delle parti continua. E noi pagheremo le conseguenze.


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Informazione. Europa 7: la vicenda esemplare in un Paese "normale"
21 marzo 2008, di : nicola

Io ho ben chiaro se ci sono delle modalità o tempi per evitare la multa o per farla pagare a mediaset. Puoi illuminarmi in breve?
Informazione. Europa 7: la vicenda esemplare in un Paese "normale"
22 maggio 2008

Ma come mai in questo esauriente articolo manca il referendum abrogativo del 1995 dove gli italiani hanno votato contro l’abolizione della legge che permette a mediaset di avere tre reti? Forse perchè questo non le faceva comodo? Lorenzo.