Il giornalista

C’è uno che desidera farlo. Perché non assumerlo a girodivite?

di Adriano Todaro - mercoledì 13 gennaio 2016 - 4229 letture

Il piccolo Sergio, detto familiarmente, Sergino, abitava a Chieti. Era un ragazzino tenero come un batuffolo che all’apparenza non sembrava molto sveglio. Amava stare da solo e giocava solo a Monopoli. Il suo faccino era sovrastato da occhiali molto grandi che gli davano un aspetto da saputello, quello che in classe, per non far copiare il compito al compagno di banco, scriveva tutto sghimbescio.

Quelle poche volte che un compagno di scuola andava a casa sua a giocare, finivano sempre per litigare perché Sergino voleva sempre imporre agli altri i suoi giochi preferiti, in pratica solo il Monopoli. Attorno ai 14 anni, proprio per farlo svegliare un po’, i genitori gli fecero un bel discorso: “Caro Sergino ormai sei grande, devi decidere cosa fare nella vita. Non puoi andare avanti così. Sei sempre solo, non hai amici, non vuoi mai cambiarti il maglioncino. Insomma, facci sapere cosa vuoi fare da grande”. Sergino, li guardò un po’ in tralice, poi sbottò: “Voglio diventare il padrone della Fiat!”.

I genitori si guardarono increduli e scossero sconsolati la testa. Nella mente del padre passò un orribile pensiero: “Ma questo è pazzo!”. Nella mente della madre no perché, come risaputo, per le mamme “Ogni scarrafone è bello ‘ a mamma soja”. Si consultarono con uno strizzacervelli, con i parenti, con gli amici fidati e alla fine decisero di far cambiare aria a Sergino in modo che nuove esperienze potessero distogliergli dalla mente pensieri così osceni. E decisero di mandarlo a studiare in Canada.

Dove c’è un freddo boia. Sergino ubbidì. E anche lì si fece notare. Un po’ perché usciva sempre solo con il maglioncino e un po’ perché invece di andare a pomiciare con le ragazze del liceo, come facevano tutti, invece di andare a ballare o in qualche pub, Sergino studiava la partita doppia e la tripla, i massimi sistemi e gli economisti di tutto il mondo. E giocava, ancora, da solo, a Monopoli. Al punto che qualcuno pensò di fargli un Tso, un trattamento sanitario obbligatorio. Poi però i canadesi seppero che era un immigrato italiano e allora…

Eppure in Canada Sergino mise a punto la sua strategia e, nel giro di un po’ di anni, poté fare il bilancio della sua pur breve esistenza:

Diventare padrone della Fiat → obiettivo raggiunto.

Licenziare gli operai e prendere soldi dallo Stato → obiettivo raggiunto.

Lavorare in Italia e prendere il domicilio in Svizzera così da non pagare le tasse → obiettivo raggiunto.

Smembrare la Fiat con sedi in Olanda e a Londra così da non pagare le tasse → obiettivo raggiunto.

Diventare un manager pagatissimo → obiettivo raggiunto.

Ormai aveva raggiunto tutti gli obiettivi mentre attraversava, come Picasso, vari periodi (il periodo rosa, blu…). Soltanto che lui si era fermato al periodo grigio, un po’ triste per la verità ed era per quello che i maglioncini, dopo un fugace periodo blu, erano sempre grigi.

Cosa gli poteva restare di fare ancora? Beh, intanto doveva quotare in Borsa la Ferrari. Ed ecco che la piazza dove ha sede la Borsa di Milano è stata pavesata da bandiere rosse che però non c’entravano nulla con i comunisti. Di fronte all’entrata di Palazzo Mezzanotte, in piazza degli Affari, una quindicina di auto rosse, sogno di tutti i padroncini brianzoli. E chi c’era a presentare il tutto? Il bravo presentatore italiano, il Democristiano con i Nei. Cioè un presidente del Consiglio che sponsorizza un’industria privata. In Canada sarebbe stato impossibile ma qua siamo in Italia. Lui – il chietino-canadese-svizzero – si è presentato con il solito triste maglioncino incurante dell’umidità meneghina e ha detto almeno tre cose importanti.

La prima.I livelli di liquidità sono piuttosto alti, ci sarà un pay out abbastanza elevato, lanceremo un bond ma non ho chiesto il rating”. Avete capito? Come il solito siete delle schiappe. Tradotto, significa che ci saranno più dividendi per gli azionisti e meno soldi per gli operai.

La seconda.Non succerà mai che scenda in politica”. Tradotto, significa che qualcuno gli ha già fatto delle proposte. Usa però un verbo, scendere, che la dice lunga. Infatti, la politica è oramai una cosa bassa e per farla, quindi, bisogna scendere.

La terza.Vorrei fare il giornalista”. Ohibò! Questa non ce la aspettavamo proprio. Poi ha precisato meglio: “Fare domande senza avere la responsabilità delle risposte, rompere le scatole agli altri. E’ il mio sogno”. Intanto diciamo tranquillamente che lui le scatole le ha rotte pur non essendo giornalista. In questa sua dichiarazione c’è il compendio del lavoro giornalistico e di come lo considera Maglioncino. Insomma, lui fa le domande, l’altro non risponde e amici come prima.

Ora, è vero che questa professione è scaduta, è vero che mezzo parlamento è formato da giornalisti (gli altri sono avvocati), è anche vero che spesso ci si vergogni di fare questo mestiere al punto che un famoso detto così recita: “Non dite a mia madre che faccio il giornalista ma il suonatore di piano in un bordello”. Tutto vero, certo. Ma come gli è venuta in mente una cosa del genere all’amico canadese-svizzero del boy-scout?

Penso comunque che la buona volontà vada premiata. M’impegno io a farlo assumere a girodivite. Per la paga stia tranquillo: a girodivite è ottima e abbondante. A un patto però: che si metta un maglioncino più vivace, magari a pallini rosa e blu e che ogni tanto gli dia una bella lavata.


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