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Cuore sacro: il ritorno di Ozpetek al cinema

Un thriller dell’anima per il ritorno di Ozpetek al cinema

di calogero - mercoledì 9 marzo 2005 - 6013 letture

O lo si ama o lo si trova irritante! Non ci possono essere molte altre alternative o vie di mezzo di fronte alla visione del nuovo ed atteso film di Ferzan Ozpetek "Cuore Sacro" che spiazza per scelte narrative coraggiose ed una regia quasi piatta ed "incolore" nel farsi (e questo a suo vanto) semplice ed ossessivo "occhio/testimone" di storie di vita al confine.

Come quella della giovane Irene (Barbara Bobulova è d’impressionante rigore ed emozionante fissità espressiva) che ha ereditato dal padre non solo le sue aziende ma anche un talento negli affari che l’ha portata ad accrescere il patrimonio paterno con l’aiuto della zia Eleonora (una ritrovata Lisa Gastoni da brividi), spesso usando logiche affaristiche prive di scrupoli.

Ma l’incontro con il fantasma rimosso della madre, morta in circostante misteriose "rinchiusa" nel palazzetto di famiglia, genera in Irene un conflitto che è alla base di un grande cambiamento. Comincia così la storia di un percorso di redenzione laica, un viaggio nella follia dell’altruismo a tutti i costi, un’immersione nel bisogno di spiritualità che nelle intenzioni dell’autore/regista Ozpetek dovrebbe essere lo specchio del profondo malessere quotidiano e della disperata ed affannata ricerca del sacro che è in tutti noi e che si respira, in questo momento, in tutto il mondo. Ma nel piccolo universo di Ozpetek si procede per schemi, tutto è doppio… o bianco o nero… tutto è patinato e rincorre un gusto estetico del "bello"che rende l’operazione poco sincera ed artificiosa.

Il prete bello, il barbone maledetto ed affascinante, i cunicoli popolati dai "nuovi" poveri truccati ed illuminati come comparse di un video musicale sono alcune delle note stonate di un film certamente coraggioso nella sua forza e purezza d’intenti. Ma che arriva dritto al cuore o infastidisce a seconda dell’individuale disponibilità o a lasciarsi nuovamente ammaliare dal modo di fare cinema di Ozpetek - sempre uguale a se stesso ma capace indiscutibilmente di emozionare - oppure a restare insensibili di fronte alla proposta laica di inabissarsi nelle zone più sacre di noi stessi, viaggio ardimentoso che inevitabilmente diventa amore e conoscenza del mondo al di fuori di sé.


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