Né obbedienti né disobbedienti da "Umanità Nova" n.
8 del 3 marzo 2002
"Il giorno in cui Eva colse la mela
non nacque il peccato ma una bellissima
virtù: la disobbedienza autorizzata e pianificata
dal Potere"
(Oriana Fallaci riveduta e corretta dal Comidad)
In considerazione del frequente ricorrere
nel linguaggio e nelle
elaborazioni politiche di settori del "movimento"
No e new global - ma non
solo - di definizioni quali disobbedienza civile, disobbedienza
sociale,
area dei disobbedienti, etc. vale la pena soffermarsi, seppure
in modo
sommario, su questi termini.
In apparenza la disobbedienza, analogamente
all'idea di trasgressione, può
apparire molto radicale, ma in realtà non lo è;
certo può essere
apprezzabile una scelta di disobbedienza, specie in un contesto
ove questa
ipotesi è negata a priori come quello, ad esempio,
dei cappellani militari a
cui si rivolgeva don Milani quando affermava "l'obbedienza
non è più una
virtù", ma normalmente di per sé non
nega l'autorità che impone il rispetto
e l'obbedienza verso una norma, un dovere, una legge.
Il bambino disobbediente infatti non contesta
la figura paterna o
l'istituzione scolastica, ma soltanto un obbligo o un divieto
che non
accetta, magari soltanto perché gli viene imposto
in una forma immotivata o
troppo prepotente.
La disobbedienza per esistere ha infatti
bisogno di una legge come fosse
ossigeno e, tendenzialmente, chiede una legge diversa da
quella vigente.
Un esempio recente ci è fornito ad
esempio dalla criticata Legge Bossi-Fini;
i "disobbedienti" sostengono giustamente che si
tratta di una legge razzista
perché la libertà di circolazione e soggiorno
su questo pianeta non può
essere limitata da chicchessia, ma poi finiscono per chiedere
una nuova
legge sull'immigrazione, riducendo i bisogni vitali e le
libertà individuali
a "diritti di cittadinanza", che dovrebbero essere
concessi, riconosciuti e
rispettati da quelli stessi poteri che quotidianamente li
ignorano e li
calpestano.
Purtroppo invece, come avvertiva Kropotkin,
le libertà non si danno, ma si
prendono.
Ma i paradossi sono anche altri.
Che senso ha, ad esempio, l'invito alla diserzione
per disobbedire alla
guerra... in obbedienza all'Art. 11 della Costituzione,
la stessa per cui
"la difesa della patria è sacro dovere di ogni
cittadino"?
Possibile che certa "sinistra"
debba sempre raccogliere le bandiere dismesse
della borghesia?
L'anarchismo, al contrario, ponendosi sia
oltre la legalità che l'illegalità
ritenute comunque categorie ingabbianti stabilite dal potere
costituito,
parla di pratica a-legale della libertà e nega ad
ogni governo il diritto di
decidere - anche se in nome della maggioranza - i destini
della collettività
e degli individui; questo potere può essere quello
dello Stato come quello
esercitato da un sindaco di un paese, ma la sostanza non
cambia, in quanto
comunque tale sistema politico nega non soltanto la prospettiva
di una
società non gerarchica, ma anche quella dell'autogestione
generalizzata,
implicando la necessità della legge e quindi, di
conseguenza,
dell'istituzione-sbirro.
Non casualmente, peraltro, politica e polizia
hanno la stessa origine
etimologica.
L'identità sovversiva non ha bisogno
di leggi statali a cui obbedire o
disobbedire, tanto meno chiede nuove leggi o reclama il
rispetto della legge
da parte di chi detiene il potere, ma vive nella critica
radicale contro
ogni forma di dominio e di subordinazione.