Giro83
/ Movimento "A Genova il potere ha esploso
18 colpi di pistola..." di Andrea Di Nicola. - Casarini: "Il
futuro siamo noi la sinistra storica ha chiuso"
"Ormai la vecchia sinistra ha chiuso
il suo ciclo storico, i partiti,
la forma partito sono un qualcosa di antico. Noi siamo orfani,
dobbiamo
pensarci soli con la nostra memoria e su questo costruire
il nuovo". Per
spiegare le diversità del movimento che chiama "movimento
dei movimenti"
dandogli finalmente un nome, per quanto vago, Luca Casarini
abbandona per un
attimo l'immaginifico linguaggio che lo ha reso famoso dalle
"moltitudini in
marcia", alla "guerra ai signori dell'impero",
quelle frasi mutuate dal
linguaggio tipico del comandante Marcos che, nell'occidente
globalizzato,
hanno portato spesso a drammatici equivoci e non pochi guai
a chi le ha
pronunciate.
Casarini, come lo definirebbe questo movimento
per il quale è difficile
anche trovare un nome?
"Parliamo di movimento dei movimenti per far capire
che c'è stata una
rottura anche con le dinamiche classiche della sinistra
extraparlamentare.
Questo è il prodotto di diverse reti sociali che
hanno costruito quel fare
società che è la nostra rivoluzione. Prima
si parlava di una dinamica unica
che vedeva nel futuro la trasformazione, oggi questo è
superato ci sono
contaminazioni fra differenze, nessuna omogeneità
ma l'intreccio di percorsi
lontani. Il fatto stesso che il portavoce sia Vittorio Agnoletto,
un medico
che si occupa di Aids è emblematico della diversità
di approccio rispetto al
passato".
Dove sono le origini di questa diversità? "Non possiamo dimenticare Seattle come passaggio
culturale. Per noi Tute
Bianche, poi, la carovana zapatista dello scorso anno è
stato un passaggio
fondamentale, un corso di formazione per stare dentro al
movimento dei
movimenti. Per altri può essere stata la campagna
di cancellazione del
debito. L'incrocio di tutto questo ha prodotto Genova, i
nuovi linguaggi, lo
spirito del movimento dei movimenti. A noi lo spirito di
Genova ci è entrato
dentro a Nuryo durante il Congresso nazionale indigeno con
i comandanti
zapatisti. Per tutti è stato un cammino, diverso,
che ci ha portato a
Genova".
Va bene lo spirito, ma a Genova c'è
stato un morto. Non avete nulla da
rimproverarvi? "Certo, il fatto di non essere riusciti ad impedirlo.
I morti non servono,
non servono ai familiari e non servono a noi che abbiamo
perso un fratello.
Certo è che anche il potere ha fatto il suo cammino
in un crescendo di
violenza culminato a Goteborg. Il fatto è che nessuno
pensava che a Genova
avrebbero esploso 18 colpi di pistola contro manifestanti
disarmati,
pericolosi per l'ordine ma non per la vita di alcuno. Ero
a Praga, ho visto
i carri armati, gli arresti senza garanzie, ma non ho visto
sparare,
uccidere un ragazzo in canottiera...".
Non aveva solo la canottiera ma anche
un estintore in mano... "Ormai è chiaro che non c'è relazione
fra pistola ed estintore. Con 18 colpi
sparati un morto ci poteva scappare, bastava un'inclinazione
sbagliata per
uccidere qualcuno, tralasciando Bolzaneto, la Diaz eccetera.
Comunque dicevo
a Quebec c'era il muro della vergogna ma non ho visto uccisi.
A Goteborg
hanno sparato nella schiena ad un ragazzo di 20 anni. Poi
c'è stata Genova.
Un crescendo che non può essere addebitato al movimento.
Noi ci siamo
espressi in forme dure ma non violente. Vorrebbero che ci
dislocassimo sul
piano militare ma noi abbiamo rifiutato quel livello. Ci
siamo chiesti che
fare? Stiamo a casa o li affrontiamo ancora? E come li affrontiamo?
Poi, pur
con la paura addosso abbiamo deciso di evitare la spirale
della violenza".
Dopo Genova, non ci sono stati più
scontri, la situazione si è normalizzata? "No, a Roma per la contestazione agli Stati generali
c'erano i blindati, i
poliziotti con le maschere antigas, i lacrimogeni Cs, quelli
non ammessi, i
carabinieri che provocavano, i cavalli con i paraocchi.
Questo è l'apparato,
quello il livello, per questo sbaglia la sinistra a dire
che a Genova sono
state sospese le libertà. Genova ha segnato una restrizione
permanente delle
libertà, la respiriamo ogni volta che andiamo in
piazza".
Se questa è la ricostruzione voi
siete caduti nel meccanismo in pieno... "E' stata una cosa mai vista".
E' saltato quel meccanismo di "simulazione"
dello scontro che aveva retto
fino a Genova?
"Ci aspettavamo uno scontro duro ma dentro uno spazio
di garanzie, senza una
radicalizzazione dello scontro. Noi a Genova potevamo anche
andare a fare i
black bloc e poi? Abbiamo scelto diversamente perché
vogliamo cambiare le
cose".
Però una qualche lezione l'avrete
tratta. "A Genova dovevamo fermarli, eravamo impauriti.
Se avessero avuto più
esperienza intorno alla jeep Carlo e gli altri non ci sarebbero
stati così a
lungo. Stiamo riflettendo sul significato della disobbedienza,
dobbiamo
trovare la maniera di esprimersi nel meccanismo conflitto-consenso
rifiutando il confronto militare ma sapendo che lo scontro
sarà durissimo.
D'altra parte per avere più democrazia lo scontro
con il potere è necessario
e allora si tratta di capire come disobbedire all'impero
senza trasformarci
in un esercito., Un discorso che riguarda noi disobbedienti
ma anche quel
che a Genova avevano le mani alzate. Questo è il
nodo da sciogliere".
Come vi rapportate con la sinistra istituzionale? "Ci vuole la dissoluzione dei Ds. Se si dissolve
quel partito si liberano
energie positive. D'altra parte la scelta dell'internazionale
a favore delle
politiche neoliberiste fa scuola. Ormai quella sinistra
ha chiuso il suo
ciclo. Sulle altre sinistre va fatto un lavoro politico
ma chi vuole mettere
il cappello sarà sconfitto".
Avremo un nuovo soggetto politico? "Nel futuro deve esserci il movimento vedo più
delle sperimentazioni locali,
magari con liste civiche, che rompono lo schema classico
dei partiti
piuttosto che una struttura nazionale. Sono per l'autorganizzazione
sociale,
i partiti non si fanno attraversare dallo spirito del movimento
forse per la
loro forma antica".