Giro82
/ Movimento / Documenti Le spine del regime di Rina Gagliardi, da Liberazione, 12
gennaio 2002
Chi ha partecipato ieri a Milano allinaugurazione
dellanno giudiziario parla di
una giornata abbastanza straordinaria, e di un clima
da 68 quale non si vedeva
da un pezzo, nella capitale morale dItalia.
Quel grido, triplice e conclusivo, di
Francesco Saverio Borrelli («resistere, resistere,
resistere») è risuonato tra
migliaia e migliaia di persone come un incitamento morale
e civile di tipo
generale: al di là, comunque, dello scontro, pur
durissimo, che oppone la
magistratura al governo di centrodestra. Dunque, a Milano
(e davanti alle
Procure di varie città dtalia) non è
sceso in piazza un partito dei giudici, in
preda a pulsioni antigarantiste o ad istinti forcaioli,
ma, molto più semplicemente,
un popolo che vuole giustizia: che crede cioè nellindipendenza
della magistratura
come cardine dello Stato di diritto. Che non ha introiettato
lultima vulgata del
revisionismo storico, applicata agli anni 90, secondo
cui la questione morale era
soltanto linvenzione a fini strumentali di un pugno
di magistrati. E che sa che, sul
rapporto tra politica e giustizia, come si usa dire, si
gioca oggi una partita
cruciale.
In effetti, malamente dissipati i suoi primi
fatidici cento giorni, il centrodestra -
Berlusconi - ha inaugurato una fase nuova, assai più
attiva e protagonistica della
precedente. Assai più aggressiva, per dirla in breve,
come attestano il caso
Ruggiero e, a seguire, lacutizzarsi dello scontro
con le confederazioni e con i
magistrati. Perché? Perché nel contesto europeo
dinamizzato dal varo della
moneta unica (e, più in generale, dallaccentuarsi
della crisi della
globalizzazione), tendono a scomporsi le alleanze sociali
e politiche: anche quelle
più recentemente stipulate, allinterno della
borghesia. E perché, allora, non è più
il tempo delle mediazioni a tutti i costi, dellindecisionismo,
della furbizia
democristianeggiante. simpone uno scatto, unaccelerazione
verso il "regime",
che affermi, più o meno definitivamente, i poteri
e i valori del berlusconismo.
Per queste ragioni di fondo, oggi convivono due tendenze
di segno
apparentemente opposto: da un lato, un governo che procede
come uno
schiacciasassi e tende a fare tabula rasa di tutto ciò
che gli si oppone; dallaltro
lato, una crescente instabilità generale, un moltiplicarsi
evidente delle
contraddizioni - e delle resistenze. La contraddizione,
appunto, è solo apparente:
è la situazione che si va facendo più complicata,
sono le alternative, già nei fatti,
più radicali.
Accade quindi che Berlusconi dichiari una sorta di guerra
totale a tutto ciò che
lo ostacola nel suo cammino: al movimento e alle soggettività
alternative, che gli
contrappongono una opposizione radicale e una visione incompatibile
della
società e della politica, ma anche a tutti quei poteri
e contropoteri che non
accettano di essere normalizzati, imbavagliati, messi per
sempre a tacere. Come,
appunto, la magistratura. Come i sindacati, o una loro parte
rilevante. Come
linformazione. Come lintellettualità
di massa, espressa dagli studenti e dagli
insegnanti. Questa guerra totale - ecco la novità
- Berlusconi ancora non lha
vinta. Anzi, vanno moltiplicandosi i segnali di quella resistenza
che, in questo
quadro, non è certo un sinonimo di pura difesa.
Qualche esempio? Non è ancora passato
il tentativo di ridurre i magistrati a
fedeli servitori del potere esecutivo. Non è passata
la riforma aziendalistica della
scuola, che, con Letizia Moratti, doveva essere il fiore
allocchiello
dellefficienza del centrodestra: anzi, le contraddizioni
si sono tutte spostate
allinterno della coalizione che governa, segno inequivoco
dellefficacia della
protesta di massa. Non riesce a passare neppure la berlusconizzazione
integrale della Rai, magari nella sua forma di mera spartizione
con lUlivo:
perché la lottizzazione non solo fa un po schifo,
ma diventa un esercizio davvero
ingrato, quando (per dire) un partito come An si scopre
furiosamente diviso in
una dozzina di correnti. E perché non è facile
comporre una rappresentanza del
servizio pubblico che escluda, a priori, una parte rilevante
della società attuale,
dei suoi umori, della sua sensibilità. E se il Polo
dirà di no alla candidatura del
nostro direttore sandro Curzi nel Cda Rai, dovrà
dire che hanno prevalso gli
appetiti e le voracità dei partiti, anche quelli
del centrosinistra. E tutti e due i Poli
dovranno dire che del pluralismo non gliene importa un bel
nulla. E alla fine noi
ne usciremo con la soddisfazione di aver comunque combattutto
una battaglia
giusta e importante; loro si troveranno, vedrete, con una
contraddizione in più. In
casa.