Giro82
/ Movimento Condannata l'informazione antimafia testo diffuso nelle mailinglist di Peacelink
Il 15 gennaio avra' luogo la requisitoria
del pubblico ministero contro il boss
Gaetano Badalamenti nell'ambito del processo sull'assassinio
di Peppino
Impastato. Ma in tribunale ci stanno finendo anche Giovanni,
il fratello di
Peppino, Claudio Riolo dell'universita' di Palermo e Umberto
Santino del Centro
Impastato. Il primo per alcune dichiarazioni rese al Maurizio
Costanzo Show,
gli altri due per le ragioni spiegate da Riccardo Orioles
nell'intervento che
riportiamo di seguito.
Condannati a centinaia di milioni Claudio
Riolo dell'universita' di Palermo e
Umberto Santino del Centro Impastato. Avevano scritto che
Musotto (politico di
Forza Italia) faceva male, come avvocato, a difendere un
mafioso mentre come
politico rappresentava i cittadini; e che alcuni mafiosi
consideravano amico
Mannino (ex ministro dc). Sotto tiro, per le medesime "colpe"
Alfredo Galasso.
Personalmente, sono stato querelato parecchie
volte per aver scritto cose
simili (e anche piu' dure) contro altri esponenti politici.
Alla fine, sono sempre
stato assolto. Qual e' il trucco? Ecco: grosso modo, se
tu sei un pubblico
ufficiale (quasi tutti i politici lo sono) e quereli uno,
gli devi dare "facolta' di
prova": se hai rubato davvero, il giornalista che ti
ha denunciato di solito viene
assolto. Se invece ti fai furbo e gli chiedi i danni civili,
non hai bisogno di
provare niente, ma viceversa. Il processo e' piu' lungo,
ma l'esito e'
matematicamente favorevole al politico.
Esempio: "L'onorevole Al Capone ha
a che fare coi gangster". Querela: il
giornalista presenta tutte le cronache di Chicago, le testimonianze,
ecc; il
giudice decide e probabilmente il giornalista viene assolto.
Danni civili:
l'avvocato di Al Capone dichiara "Il mio cliente e'
un politico galantuomo, difatti
formalmente e' stato condannato solo per una banale evasione
fiscale e tutto il
resto non interessa al processo". E il giornalista
viene condannato ad alcuni
miliardi di risarcimento.
Quand'e' che un politico puo' querelare
e quand'e' che puo' fare causa civile? A
capriccio suo: se e' abbastanza ricco da potersi permettere
i tempi lunghi della
causa civile, di solito fa causa civile e non querela. Cosi',
fra l'altro, puo'
annunciare di aver "denunciato il giornalista"
senza correre il rischio di una
smentita immediata. Negli ultimi anni giornali e tv si sono
concentrati
moltissimo (in Sicilia, addirittura, e' rimasto un editore
solo) e quindi i
giornalisti che fanno informazione sono sempre piu' isolati.
I politici sono
sempre piu' ricchi e forti e dunque un sacco di notizie
non arrivano
semplicemente perche' il giornalista, anche onesto, si spaventa
a metterci il
becco.
Chi ci va di mezzo, alla fine, e' il lettore
che di tutto cio' di quel che succede in
Italia in sostanza e' autorizzato a sapere quanto segue:
"La Roma ha battuto il
Chievo 3 a 0. Fighetto Fighetti e' il nuovo Grande Fratello.
Domani forse
piovera'. Punto". Puo' andarti bene cosi'? Oppure bisogna
cambiare la legge e
mettere il giornalista in condizione di aspettarsi, quando
scrive il pezzo,
un'onesta querela e non una gabola da venti miliardi? Io
giornalista ho il dovere
di scrivere, il politico ha il diritto di difendersi, e
soprattutto tu lettore hai il
diritto (e anche l'obbligo: se no non sei una persona civile
ma un talebano) di
essere informato.
Bene. Ora qui c'e' un appello per "rivendicare
il diritto e il dovere di sottoporre
l'operato di chi ricopra cariche pubbliche al vaglio dell'opinione
pubblica, con la
consapevolezza che ciascun politico ha una responsabilita'
aggiuntiva rispetto
agli altri cittadini nella misura in cui coinvolge la credibilita'
delle istituzioni. In
particolare, sul terreno della lotta contro la mafia, la
piena liberta'
d'informazione e di opinione e' indispensabile per individuare
e stigmatizzare
tutti quei comportamenti che configurino responsabilita'
politiche e morali,
indipendentemente dall'accertamento di eventuali responsabilita'
penali che
spetta esclusivamente alla magistratura". Lo firmano
Arci, Centro Siciliano di
Documentazione "Giuseppe Impastato", Centro Sociale
"San Francesco
Saverio", Il Manifesto, Libera, Mezzocielo, Micromega,
Narcomafie, Palermo
anno uno, Promemoria Palermo, Scuola "Giovanni Falcone",
Segno, Uisp.
[Nota: dopo aver letto questo testo anche l'associazione
PeaceLink ha inviato
la sua adesione]
APPELLO PER LA LIBERTA'
DI STAMPA NELLA
LOTTA CONTRO LA MAFIA
Tratto da: http://www.scirocco-news.org/testi/press.htm
Due recenti sentenze di primo grado del
Tribunale civile di Palermo hanno
condannato Claudio Riolo, politologo presso l'Università
di Palermo, e Umberto
Santino, presidente del Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe
Impastato", al risarcimento danni da diffamazione a
mezzo stampa. Riolo ha
pubblicato sulla rivista mensile Narcomafie, nel novembre
'94, un articolo di
commento critico alla decisione di Francesco Musotto, Presidente
della
Provincia di Palermo e avvocato penalista, di mantenere
la difesa di un suo
cliente, imputato nel processo per la strage di Capaci,
mentre l'ente locale si
costituiva parte civile nello stesso processo. L'articolo,
ritenuto diffamatorio dal
Musotto che ha chiesto 700 milioni di risarcimento, è
stato ripubblicato nel
maggio '95 su Narcomafie e sul quotidiano Il Manifesto a
firma di 28 autorevoli
esponenti del mondo politico e culturale, che lo hanno sottoscritto
"condividendone in pieno i contenuti e ritenendolo
legittima espressione
dell'esercizio della libertà di stampa, di opinione
e di critica politica". Tuttavia
Musotto non ha querelato né citato in giudizio nessuno
dei nuovi firmatari e,
dopo quasi sei anni di lungaggini processuali, Riolo è
stato condannato a
pagare complessivamente 118 milioni. A sua volta, l'ex ministro
Calogero
Mannino ha chiesto una riparazione pecuniaria di 200 milioni
a Umberto
Santino, ritenendosi diffamato per la pubblicazione di alcuni
stralci di un "testo
anonimo" nel libro "L'alleanza e il compromesso"
edito nel 97. Nonostante
l'autore si fosse limitato ad analizzare criticamente quel
documento,
prendendone le distanze con l'affermazione esplicita che
esso proviene "più o
meno
direttamente da ambienti mafiosi", e nonostante quel
testo, circolato nel'92
subito dopo la strage di Capaci, fosse già stato
integralmente e ripetutamente
pubblicato da altri, Santino è stato condannato a
pagare circa 20 milioni. Due
miliardi è, invece, la richiesta di risarcimento
rivolta dallo stesso ex ministro ad
Alfredo Galasso, docente di diritto civile presso l'Università
di Palermo, per aver
riportato il medesimo testo anonimo nel libro "La mafia
politica", pubblicato nel
'93. Ma il procedimento è ancora in corso e si attende
la conclusione.
Questi fatti non rappresentano dei casi
isolati, ma si inquadrano in una
preoccupante tendenza generale alla limitazione del "diritto
di manifestare
liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto
e ogni altro mezzo di
diffusione" garantito dall'articolo 21 della nostra
Costituzione. Negli ultimi anni,
parallelamente ad un preoccupante processo di concentrazione
della proprietà
dei mezzi di comunicazione di massa, gli attacchi dei poteri
forti alla libertà di
informazione e di opinione si sono moltiplicati, e ciò
è tanto più grave e
significativo quando esponenti della prima o della seconda
repubblica, coinvolti
a torto o ragione in procedimenti penali, cercano di far
pagare il conto delle loro
"sfortune" a chi esercita per professione o per
impegno antimafia il diritto di
cronaca e di critica. In particolare stiamo assistendo ad
un crescente uso
indiscriminato del ricorso ai procedimenti civili per risarcimento
danni da
diffamazione a mezzo stampa. Il procedimento civile, infatti,
offre una serie di
vantaggi rispetto a quello penale: il risarcimento danni
può essere chiesto a
distanza di cinque anni dai fatti, mentre per sporgere querela
non si possono
superare i novanta giorni; nel civile si può ottenere
la condanna del presunto
diffamatore senza l'onere di dover dimostrare l'esistenza
del reato di
diffamazione; è, per di più, possibile ottenere
risarcimenti sproporzionati per
"danno morale" anche quando non si riesca a dimostrare
l'esistenza di un
effettivo "danno patrimoniale"; la condanna, infine,
è immediatamente
esecutiva, senza dover attendere l'espletazione di tutti
i gradi del giudizio. Oltre
a tutto ciò il giudizio civile comporta un minor
clamore rispetto a quello penale,
clamore che comunque è sempre controproducente anche
per il presunto
"diffamato". Si sono, pertanto, moltiplicate le
richieste di risarcimenti miliardari
nei confronti di giornalisti, studiosi e familiari delle
vittime (basti, qui, ricordare i
20 miliardi chiesti da Berlusconi a Luttazzi, Freccero e
Travaglio per la
trasmissione televisiva Satyricon, o il miliardo chiesto
da Mannino a
Giuseppina La Torre per alcune interviste rilasciate nel
'95, o ancora il miliardo
e 150 milioni chiesti da Musotto ad Attilio Bolzoni per
gli articoli su Repubblica
riguardanti le sue traversie giudiziarie del '95) il cui
effetto non è la legittima
tutela dell'onorabilità della persona, ma l'instaurazione
di un clima
d'intimidazione nei confronti di chiunque intenda far conoscere,
commentare o
studiare il persistente fenomeno delle contiguità
tra politica, mafia e affari.
Con questo appello intendiamo rivendicare
con forza il diritto e il dovere di
sottoporre l'operato di chi ricopra cariche pubbliche o
ruoli rappresentativi al
vaglio critico dell'opinione pubblica, con la consapevolezza
che ciascun politico
ha una responsabilità aggiuntiva rispetto agli altri
cittadini nella misura in cui
coinvolge la credibilità delle istituzioni. In particolare,
sul terreno della lotta
contro la mafia, la piena libertà d'informazione
e di opinione è indispensabile
per individuare e stigmatizzare tutti quei comportamenti
che configurino delle
responsabilità politiche e morali, indipendentemente
dall'accertamento di
eventuali responsabilità penali che spetta esclusivamente
alla magistratura. Ci
proponiamo, pertanto, di avviare una campagna di sensibilizzazione
e di
mobilitazione dell'opinione pubblica per la realizzazione
dei seguenti obiettivi:
a) una nuova regolamentazione legislativa in materia di
"diffamazione", che
ristabilisca un giusto equilibrio tra diritto di cronaca
e di critica e tutela della
persona, e che uniformi procedimento penale e procedimento
civile per
impedirne un uso distorto e strumentale;
b) la costituzione di un fondo di solidarietà tramite
la sottoscrizione del
presente appello (ad ogni firma corrisponderà la
sottoscrizione di una quota
minima di centomila lire); il fondo sarà utilizzato,
a cominciare dalle due
condanne citate, per difendere la libertà di informazione,
di opinione e di ricerca
limitatamente all'ambito della lotta contro la mafia (sarà
gestito, sulla base di
un regolamento, da un comitato di garanti, di cui faranno
parte, tra gli altri, Rita
Borsellino, Luigi Ciotti e Valentino Parlato).
I promotori: Arci, Centro Siciliano di Documentazione
"Giuseppe
Impastato", Centro Sociale "San Francesco Saverio",
Il Manifesto,
Libera, Mezzocielo, Micromega, Narcomafie, Palermo anno
uno,
Promemoria Palermo, Scuola di formazione etico-politica
"Giovanni
Falcone", Segno, Uisp.
Per sottoscrivere l'appello si può
utilizzare il c/c postale n.10690907 intestato a
Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato",
via Villa Sperlinga
15, 90144-Palermo, specificando nella causale: "Campagna
per la libertà di
stampa nella lotta contro la mafia".
Per comunicazioni e informazioni: tel. 091.333773
(Miro Barbaro c/o Arci) o
091.6259789 - fax: 091.348997 - e-mail: csdgi@tin.it (c/o
Centro Impastato).