Giro81
/ Movimento La nonviolenza è in cammino Numero 326 del 29 dicembre 2001. Riportiamo,
invitando i nostri lettori a iscriversi per riceverlo direttamente.
Sommario di questo numero:
1. Simone de Beauvoir, contro l'infelicita'
2. Tre raccomandazioni su formazione alla difesa nonviolenta,
obiezione alle
spese militari ed istituzione dei Caschi Bianchi accolte
dalla Camera dei
Deputati nel 1998 3. Jeremy Brecher, la folle corsa alla
guerra globale 4.
Stefano Levi Della Torre ed altri: un appello per la ripresa
del negoziato
per la pace fra israeliani e palestinesi 5. Una breve storia
delle donne in
nero 6. Umberto Santino, Stati-mafia 7. Un appello di alcuni
insegnanti
italiani per un dialogo di pace con le scuole dei vicini
paesi arabi e
islamici 8. Letture: Tahar Ben Jelloun, L'Islam spiegato
ai nostri figli 9.
Riletture: Carmela Baffioni, Storia della filosofia islamica
10. Riletture:
Giulio Basetti Sani, L'Islam nel piano della salvezza 11.
Riletture: Olivier
Carre', L'Islam laico 12. Riletture: Henry Corbin, Storia
della filosofia
islamica 13. Riletture: Augusto Illuminati (a cura di),
Averroe' e
l'intelletto pubblico 14. Riletture: Khalida Messaoudi,
Una donna in piedi
15. Riletture: Rashid Mimouni, Dentro l'integralismo 16.
Riletture: Taslima
Nasreen, Vergogna 17. Riletture: Biancamaria Scarcia Amoretti,
Tolleranza e
guerra santa nell'Islam 18. Riletture: Giuliana Sgrena (a
cura di), La
schiavitu' del velo 19. La "Carta" del Movimento
Nonviolento 20. Per saperne
di piu'
1. MAESTRE. SIMONE DE BEAUVOIR: CONTRO L'INFELICITA'
[Da Simone de Beauvoir, A conti fatti, Einaudi, Torino 1973,
1980, pp.
447-448] E' proprio perche' odio l'infelicita' e sono poco
incline a
prevederla, che quando la incontro essa m'indigna e mi sconvolge;
e provo il
bisogno di comunicare la mia emozione. Per combatterla,
bisogna prima
rivelarla, e pertanto dissipare le mistificazioni dietro
le quali la si
nasconde per evitare di pensarci. E' proprio perche' rifiuto
le evasioni e
le menzogne, che mi si accusa di pessimismo; ma questo rifiuto
implica una
speranza: che la verita' puo' esser utile; e' un atteggiamento
piu'
ottimistico che non scegliere l'indifferenza, l'ignoranza,
le false
apparenze. Dissipare le mistificazioni, dire la verita',
e' uno dei fini che
ho piu' ostinatamente perseguiti attraverso i miei libri.
2. DOCUMENTAZIONE. TRE RACCOMANDAZIONI SU
FORMAZIONE ALLA DIFESA
NONVIOLENTA, OBIEZIONE ALLE SPESE MILITARI E ISTITUZIONE
DEI CASCHI BIANCHI
ACCOLTE DALLA CAMERA DEI DEPUTATI NEL 1998 [Nel 1998 fu
discussa ed
approvata la nuova legge sull'obiezione di coscienza al
servizio militare e
sul servizio civile alternativo. La Camera dei Deputati
in quella
circostanza accolse come raccomandazioni tre ordini del
giorno, il cui testo
di seguito riportiamo. Come e' noto le successive vicende
legislative e
parlamentari, ed alcuni terribili eventi internazionali,
hanno profondamente
modificato il contesto, ma le proposte contenute in quelle
raccomandazioni
restano valide ed anzi per molti versi sono oggi piu' necessarie
ed urgenti
di allora. Le riproponiamo all'attenzione dei nostri interlocutori,
ringraziando Alessandro Marescotti per aver nuovamente richiamato
l'attenzione su questi documenti con una sua segnalazione
nel sito
www.peacelink.it che di seguito riproduciamo] Il 14 aprile
1998 la Camera ha
votato a larga maggioranza il nuovo testo della legge sull'obiezione
di
coscienza, approvata in via definitiva nel luglio dello
stesso anno.
Collegati alla legge sono stati accolti come raccomandazione
anche tre
ordini del giorno (sull'obiezione alle spese militari, sulla
costituzione
dei caschi bianchi e sulla formazione alla difesa nonviolenta)
che per noi
costituiscono un importante passo in avanti. Ne riportiamo
integralmente il
testo.
* Sulla formazione alla difesa nonviolenta
Ordine del giorno accolto come raccomandazione
La Camera,
premesso che:
l'articolo 8, punto 2, comma e), incarica l'Agenzia per
il servizio civile a
predisporre forme di ricerca e di sperimentazione di difesa
civile non
armata e nonviolenta; impegna il Governo a costituire entro
6 mesi
dall'entrata in vigore della nuova legge sull'obiezione
di coscienza un
organismo di consulenza avvalendosi anche della collaborazione
dei
principali Istituti di Ricerca sulla pace (Peace
research) italiani ed europei (quali L'UNIP
di Rovereto, l'IPRI di Torino,
il Centro studi di formazione sui diritti dell'uomo e dei
popoli di Padova,
il BEOC di Bruxelles, L'IRNC francese, l'Austrian Study
Center for peace and
conflict resolution di Vienna); ad avviare la formazione
dei formatori di
obiettori di coscienza utilizzando le esperienze gia' in
atto degli Enti per
il Servizio Civile e delle associazioni di obiettori, per
la pace ed i
diritti umani (Lega Obiettori di Coscienza, Movimento Internazionale
Riconciliazione, Movimento Nonviolento, Caritas, Associazione
Papa Giovanni
XXIII, ecc.); ad istituire un "Centro Studi nazionale
sulla difesa civile
nonviolenta" in collaborazione con le Universita',
gli Istituti di ricerca
sulla pace ed i Centri studi e documentazione dei movimenti
nonviolenti
italiani gia' riconosciuti dagli enti locali (Torino, Brescia,
Verona,
Padova, Perugia, Roma); a convocare almeno ogni due anni
un Convegno
nazionale sullo stato della ricerca scientifica e sulle
esperienze concrete
europee ed internazionali di difesa nonviolenta, peacekeeping,
peacemaking,
peacebuilding; a proporre in sede UE la creazione di un
Corpo Civile Europeo
di Pace da utilizzare in ambito ONU per la prevenzione dei
conflitti armati,
cosi come gia' contenuto nell'Agenda per la Pace di Boutros
Ghali.
* Sull'obiezione alle spese militari
Ordine del giorno accolto come raccomandazione
La Camera,
premesso che:
la nuova normativa prevede per i cittadini che debbano assolvere
all'obbligo
della difesa della patria il diritto soggettivo all'obiezione
di coscienza
quando per motivi personali non intendano collaborare a
una difesa armata;
la nuova normativa prevede, accanto alla leva armata, l'istituzione
di un
servizio civile per gli obiettori di coscienza, l'istituzione
di una Agenzia
per il Servizio Civile e la possibilita' per gli obiettori
di coscienza di
partecipare a missioni di Pace all'estero; la nuova normativa
pone sullo
stesso piano giuridico la difesa armata e la difesa nonviolenta;
gia' dal
1982 alcune migliata di cittadini che per motivi personali
non intendono
collaborare attraverso la propria contribuzione fiscale
alla difesa armata,
reclamano il rispetto della personale scelta di coscienza;
fin dalla X
legislatura sono state presentate alla Camera e al Senato
proposte di legge
per rendere possibile l'opzione fiscale da parte di quei
cittadini che
intendono fare obiezione alle spese militari; rispondendo
all'interrogazione
a prima firma Valpiana e in un successivo incontro con i
rappresentanti
della Campagna per l'obiezione fiscale alle spese militari,
il Ministro
delle Finanze si e' detto disponibile a studiare forme che
permettano al
contribuente nell'ambito della dichiarazione annuale dei
redditi di
esercitare obiezione di coscienza alle spese militari; la
legge n. 2/97 sul
finanziamento dei partiti conferma il sistema dell'opzione,
gia' introdotto
nel nostro ordinamento in relazione al finanziamento delle
confessioni
religiose, dalla n. 222/85 alla n. 637/96, garantendo il
diritto del
cittadino di finanziare, attraverso il vincolo di una parte
del gettito
IRPEF, alcune rilevanti formazioni sociali; la Facolta'
di Giurisprudenza
dell'Universita' di Roma "La Sapienza" ha tenuto
nel mese di marzo '98 un
seminario di studi dal titolo "Dall'obiezione fiscale
all'opzione del
contribuente" proprio in ragione dei fondamenti costituzionali
dell'opzione
fiscale e sulle ipotesi di una sua previsione nella normativa;
impegna il
Governo a studiare forme per rendere possibile ai cittadini
contribuenti,
analogamente a quanto previsto per i cittadini sottoposti
all'obbligo di
leva, il diritto soggettivo all'obiezione di coscienza,
prevedendo forme di
finanziamento al servizio civile e alla difesa non armata
e nonviolenta
previste dalla nuova legge sull'obiezione di coscienza.
* Sull'istituzione dei Caschi Bianchi
Ordine del giorno accolto come raccomandazione
La Camera,
premesso che:
i recenti fatti nella regione del Kossovo hanno evidenziato
ancora una volta
la necessita' che le organizzazioni intemazionali intervengano
nelle
situazioni di crisi in funzione umanitaria a difesa dei
piu' deboli con
contingenti civili adeguatamente formati; l'invio di contingenti
civili di
volontari in funzione umanitaria oltre a dare un aiuto concreto,
assume un
valore simbolico positivo e puo' contribuire a creare le
condizioni piu'
idonee al dialogo ed alla gestione pacifica del conflitto;
l'Assemblea
Generale delle Nazioni Unite ha approvato negli ultimi anni
diverse
risoluzioni sull'impiego nelle situazioni di crisi di un
particolare tipo di
contingente denominato "Caschi Bianchi", con funzioni
di peacemaking,
peacebuilding e peacekeeping, tra cui la risoluzione A/491139
B del 20
dicembre 1994 e il rapporto del Segretario Generale dell'ONU
all'Assemblea
Generale ed al Consiglio Economico e Sociale del 27 giugno
1995; i Caschi
Bianchi istituiti da alcuni Paesi, tra cui Spagna, Austria
ed Argentina sono
stati impiegati in diverse regioni del mondo, quali Angola,
Armenia, Gaza,
Haiti e Rwanda; l'Italia ha aderito, con altri ventuno Paesi,
al progetto
Caschi Bianchi impegnandosi a costituire un contingente
nazionale che
potrebbe essere attivato in tempi rapidi con organizzazioni
non governative
ed associazioni di volontariato per la pace, la solidarieta'
ed i diritti
umani; tali contingenti possono quindi essere un elemento
importante sia per
il mantenimento che per la costruzione della pace ma anche
per il
monitoraggio del rispetto dei diritti umani nelle aree di
crisi; sarebbe,
quindi opportuno anche in Italia costituire al piu' presto
un contingente di
Caschi Bianchi da mettere a disposizione dell'ONU o dell'Unione
Europea per
essere impiegato nelle aree di crisi; tale contingente potrebbe
essere
costituito anche da obiettori che lo richiedano, ai sensi
dell'articolo 9,
commi 7, 8 e 9 della proposta di legge in esame; impegna
il Governo a
studiare forme atte alla creazione ed alla formazione operativa
di un
contingente italiano di Caschi Bianchi.
3. RIFLESSIONE. JEREMY BRECHER: LA FOLLE
CORSA ALLA GUERRA GLOBALE [Questo
articolo di Jeremy Brecher e' apparso sul quotidiano "Il
manifesto" del 28
dicembre, che presenta l'autore con la seguente nota: "Jeremy
Brecher e'
uno storico del movimento operaio americano. Suo e' il volume
Strike
(recentemente ripubblicato dalla casa editrice DeriveApprodi),
un'appassionata analisi della formazione della classe operaia
americana
dalla fine dell'Ottocento agli anni d'oro dell'era fordista.
Impegnato nei
sindacati di base, ha scritto assieme a Tim Costello il
volume Contro il
capitale globale (Feltrinelli), dove ha gettato le basi
di quella che in
seguito e' stata chiamata la strategia lillipuziana, cioe'
la costituzione
di una rete transnazionale di associazioni e gruppi di base
per contrastare
le politiche neoliberiste. Con lo stesso Costello e Brendan
Smith ha poi
scritto Come farsi un movimento globale (DeriveApprodi),
un "manifesto" a
favore di una globalizzazione dal basso"] L' amministrazione
Bush sta
conducendo gli Usa verso una conflagrazione globale. Attualmente
non c'e'
alcuna forza - movimento sociale, esponente o partito politico,
gruppo di
pressione - all'interno degli Stati Uniti che possa fermarla.
Tocca al resto
del mondo, e specialmente agli amici e agli alleati dell'America
- sia i
governi che i loro cittadini - porre un freno alla sua corsa
al disastro. I
suoi alleati europei e arabi, e i suoi amici in tutto il
mondo, hanno
chiesto all'amministrazione Bush di evitare:
- Una lunga campagna di bombardamenti in
Afghanistan con perdite
significative tra i civili.
- La presa di Kabul da parte dell'Alleanza del Nord.
- Il bombardamento dell'Afghanistan durante il Ramadan.
- Il mancato ripristino del processo di pace israeliano-palestinese.
- Il ritiro dal trattato sui missili anti-balistici.
Tali consigli sono state ignorati dal primo all'ultimo.
E il risultato
derivante da queste e simili scelte dell'amministrazione
Bush e' una vasta
destabilizzazione globale la cui portata travalica di molto
le risposte
all'11 settembre. Come riferisce il New York Times, "nuovi
campi di
battaglia" si sono aperti "dai territori palestinesi
fino al Kashmir" (David
E. Sanger, "On a Roll, But Where?", 7/12/01).
Che la guerra in Afghanistan
fosse o no giustificata, il punto non e' piu' la distruzione
di Al Qaeda o
la rimozione del repressivo regime Taliban, e neppure se
gli Usa
attaccheranno l'Iraq. Il punto e' ora l'emergere di una
crisi mondiale
provocata dall'amministrazione di una superpotenza che agisce
senza prendere
in considerazione razionalmente le conseguenze delle sue
azioni. Il numero
di guerre, civili e internazionali, che questa puo' ulteriormente
provocare
e' semplicemente incalcolabile - e certamente l'amministrazione
Bush non ne
sta tenendo conto razionalmente. Quello attuale e' un livello
ulteriore di
verifica su cosa significhi essere l'unica superpotenza
al mondo. Come ha
sostenuto un funzionario tedesco in un articolo del New
York Times, in
passato Washington perseguiva i suoi interessi nazionali
modellando
istituzioni, comportamenti e regole internazionali. "Adesso
sembra che
Washington voglia perseguire il suo interesse nazionale
in modo piu'
strettamente definito, facendo cio' che vuole e costringendo
gli altri ad
adattarsi". (Steven Erlanger, "Bush's Move on
ABM Pact Gives Pause To
Europeans", 13/12/01). L'amministrazione Bush ha un
elenco con dozzine di
paesi in cui potrebbe intervenire, e attualmente sta valutando
quale sara'
il prossimo. "I funzionari del Pentagono hanno apertamente
ventilato la
possibilita' di fare fuori [Saddam] Hussein... Recentemente
una delegazione
americana del Dipartimento di Stato e' stata nel nord dell'Iraq,
dove ha
discusso con i leader kurdi iniziative in quella parte dell'Iraq...
Alcuni
funzionari dell'amministrazione riferiscono che potrebbe
essere il Pakistan
il luogo in cui dovra' dispiegarsi la prossima fase della
guerra" (New York
Times, 7/12/01). Somalia, Sudan, Filippine... la lista della
spesa potrebbe
continuare a lungo. La destabilizzazione globale attuata
dall'amministrazione Bush non si limita alla guerra al terrorismo.
Il ritiro
degli Usa dal trattato sui missili anti-balistici sta avviando
una nuova
corsa alle armi nucleari. Joseph Biden Jr., presidente della
commissione per
le relazioni internazionali del Senato Usa, cita le conclusioni,
ampiamente
riportate dai media, dell'intelligence americana secondo
cui "ritirarsi dal
trattato sui missili anti-balistici spingerebbe i cinesi
a decuplicare il
loro arsenale nucleare, al di la' della modernizzazione
prevista comunque...
E quando lo faranno loro, gli indiani faranno altrettanto,
e quando lo
faranno gli indiani, altrettanto faranno i pakistani. E
per che cosa? Per un
sistema del cui funzionamento nessuno e' convinto".
("U.S. Offers China
Talks on Arms as It Pulls Out of ABM Pact", The New
York Times, 14/12/01).
Credere che gli Usa controllino in qualunque modo gli eventi
significa
illudersi. Si consideri il processo di pace in Medio Oriente.
Proprio mentre
Bush e Powell annunciavano un'importante iniziativa di pace,
questa veniva
sabotata dall'effetto combinato dei partiti della guerra
in Israele e in
Palestina. Gli Usa hanno poi assurdamente appoggiato le
stesse forze
presenti in Israele che avevano sabotato la loro iniziativa.
L'attacco al
parlamento indiano - che la nostra nuova amica, l'India,
ritiene sia stato
organizzato con la connivenza del nostro vecchio amico,
il Pakistan -
minaccia di provocare una guerra in mezzo alla quale ora
si troveranno gli
Usa. La giustificazione scelta dagli Stati Uniti per il
loro attacco
all'Afghanistan, cioe' l'accusa di "dare ospitalita'
ai terroristi", e'
stata ripresa quasi parola per parola da India, Israele,
Russia e Cina per i
loro obiettivi di politica interna e estera. Il ricorso
al "diritto
all'autodifesa" per giustificare la decisione unilaterale
di attaccare
qualunque paese accusato di ospitare terroristi fornisce
un pretesto a cui
qualunque leader nazionale puo' ora ricorrere per fare la
guerra contro
chiunque voglia, nel piu' completo disprezzo del diritto
internazionale.
C'e' qualcosa che i popoli e i governi in tutto il mondo
devono capire:
attualmente non ci sono limitazioni interne efficaci a cio'
che
l'amministrazione Bush puo' fare. In seguito alla risposta
popolare agli
attacchi dell'11 settembre, l'amministrazione sente - correttamente,
almeno
per il momento - di poter fare qualsiasi cosa senza dover
temere il dissenso
o l'opposizione di una parte consistente degli americani.
Gli Stati Uniti si
sono ritirati dal trattato sui missili anti-balistici senza
quasi un fiato
da parte dell'opinione pubblica. Il loro avallo agli attacchi
di Sharon
contro l'Autorita' palestinese ha ottenuto il sostegno schiacciante
del
Congresso. Prospettare apertamente l'attacco e l'occupazione
militare
dell'Iraq non fa battere ciglio a quasi nessun intellettuale,
esponente
politico o religioso. Il movimento pacifista, che e' critico
nei confronti
delle politiche dell'amministrazione Bush, potrebbe diventare
in futuro un
freno significativo alla politica estera e interna statunitense,
ma
attualmente non lo e'. Ne' vi e' neppure un qualche tipo
di contrappeso
istituzionale. Il Congresso Usa ha concesso quasi all'unanimita'
all'amministrazione una delega in bianco che le consente
di condurre
qualunque operazione militare essa voglia. Le preoccupazioni
pratiche di
alti ufficiali del Pentagono, a quanto pare, sono ignorate
dal ministro
della difesa Donald Rumsfeld e dai suoi onnipresenti sostenitori.
Il
segretario di stato Colin Powell, considerato da molti ragionevole
e
moderato, non e' riuscito a fare in modo che l'amministrazione
tenesse conto
di alcuna delle raccomandazioni sopra elencate. Difficile
individuare dunque
una qualche forma di strategia alternativa a quella dell'amministrazione
Bush proveniente da una "istituzione" che metta
un limite all'esplosione
della potenza Usa. La cosa piu' grave e' la mancanza di
una valutazione
razionale delle conseguenze a lungo termine delle scelte
fin qui fatte dal
presidente Bush. Come ha detto recentemente un "esuberante
aiutante di campo
alto in grado", l'amministrazione Bush "va a gonfie
vele"; la sua "piu'
grande preoccupazione" e' "come utilizzare al
massimo il vantaggio militare
e diplomatico che si e' costruita all'estero e il capitale
politico che ha
accumulato nel paese". (The New York Times, 7/12/01)
Come recita un articolo
apparso su The Guardian del 17/12/01, intitolato "Washington
hawks get power
boost: Rumsfeld is winning the debate",
"Per il momento almeno, a Washington
c'e' poco che possa impedire a Rumsfeld di dare la caccia
ai nemici
dell'America fino a Baghdad". Nell'era della guerra
fredda, se non altro,
gli Usa dichiaravano di voler proteggere i loro alleati.
Ma oggi che gli
Stati Uniti esprimono la loro potenza militare senza incontrare
contrasti
significativi, i loro amici e alleati sono quelli che hanno
le maggiori
probabilita' di subire il contraccolpo della destabilizzazione
sotto forma
di terrorismo, profughi, recessione e guerra. Dipende dai
governi e dalla
societa' civile esterni agli Usa imporre dei limiti a cio'
che questi fanno:
per il loro bene e per il bene dell'America. Durante la
crisi di Suez del
1956, gli eserciti di Gran Bretagna, Francia e Israele invasero
l'Egitto e
cominciarono ad avanzare sul Canale di Suez. Gli Usa, sotto
la presidenza
Eisenhower, intervennero non per sostenere gli invasori
ma per contenerli.
E' tempo che il mondo restituisca il favore. Ad
esempio:
- Una formula attraverso cui gli Usa dettano legge e' una
"coalizione" in
cui il Golia americano stringe un accordo separato con ciascun
"partner
della coalizione". Prima di promettere qualunque sostegno,
i partner della
coalizione devono pretendere che gli Usa dichiarino apertamente
le loro
intenzioni in modo che il mondo possa discuterle.
- I partner della coalizione con gli Usa,
con poche eccezioni, si oppongono
agli attacchi Usa contro l'Iraq, la Somalia, il Sudan o
qualunque altro
paese. Tuttavia non e' un segreto che a Washington la pianificazione
di tali
attacchi e' in corso. I partner della coalizione devono
smettere di
lamentarsi in privato e costituire un fronte unito, pubblico,
concertato
contro tali azioni.
- Le Nazioni Unite possono fungere da arena
di discussione sulla supremazia
della superpotenza e fornire alternative ad essa. Come minimo,
gli Usa
possono essere costretti a isolarsi ponendo il veto a risoluzioni
che vanno
contro il loro unilateralismo. (Il Consiglio di sicurezza
recentemente ha
votato per 12 a 1, con l'astensione di Gran Bretagna e Norvegia,
a favore di
una risoluzione che chiede una forza di interposizione [international
monitors] nel conflitto israeliano-palestinese. Gli Usa
hanno posto il veto
alla risoluzione, isolandosi cosi' da molti dei loro stessi
"partner della
coalizione"). A questo punto un appoggio forte, unito,
pubblico alla
campagna del segretario generale Kofi Annan contro un eventuale
attacco
all'Iraq avrebbe un grosso impatto negli Stati Uniti.
- I media negli Usa hanno ampiamente riferito
che le persone che all'estero
erano critiche verso la guerra in Afghanistan sarebbero
giunte alla
conclusione di essersi sbagliate perche' la guerra e' stata
breve e ha
liberato l'Afghanistan, in particolare le donne, dalla tirannia
dei Taliban.
A Washington si sta usando questa argomentazione per dimostrare
che
l'opinione pubblica all'estero non va considerata un impedimento
per
ulteriori attacchi in altri paesi. E' necessario che a Washington
arrivi il
messaggio chiaro che cosi' non e'.
- Ci sono modi concreti in cui la gente e
i governi possono cominciare a
mettere un freno a Washington. Il rifiuto dei paesi europei
di estradare i
sospetti che possono essere soggetti ai tribunali militari
o alla pena di
morte costituisce un esempio eccellente. Questa sara' una
battaglia lunga,
che riguarda non una singola politica, ma una tendenza storica
fondamentale
dell'unica superpotenza mondiale. E' triste ma vero che
a breve termine il
resto del mondo puo' non avere la forza sufficiente per
impedire agli Usa di
attaccare qualunque paese questi decidano di prendere di
mira. Ma e' tempo
di cominciare a gettare le basi per una strategia di contenimento
a lungo
termine. Tale pressione internazionale puo' servire come
deterrente per le
azioni piu' folli che l'amministrazione Bush sta considerando.
Per esempio,
secondo alcuni articoli apparsi sulla stampa, l'opposizione
della Russia,
dell'Europa e dei paesi arabi potrebbe almeno spingere i
consiglieri di Bush
a rimandare l'attacco all'Iraq con la motivazione che "l'appoggio
internazionale e' insufficiente". (Warren P. Strobel,
"The Next Phase: Iraqi
leader may be spared from U.S. campaign", Detroit Free
Press, 19/12/01. Vedi
anche Thomas L. Friedman, "U.S. may be alone if next
aim is Iraq", Detroit
Free Press, 20/12/01). Se gli amici e i partner degli Stati
Uniti nella
coalizione faranno suonare il campanello d'allarme, questo
comincera' a
provocare risposte diverse da parte del Congresso, del Pentagono,
delle
elite finanziarie, e anche dell'opinione pubblica americana,
specialmente
mentre diventano visibili le conseguenze nefaste del meccanismo
messo in
moto dall'amministrazione Bush. Senza una spinta dall'esterno,
attualmente
queste forze sono pronte a gettarsi nell'abisso, con la
mente vuota e in
stato di trance. Mettere un freno all'amministrazione Bush
e' tutto meno che
antiamericano. E' la cosa migliore che gli amici dell'America
possono fare
per noi in questo momento. Qui abbiamo un proverbio: "gli
amici non
permettono agli amici di guidare ubriachi". Per favore:
gli amici
dell'America portino via le chiavi della macchina finche'
a questa
superpotenza ubriaca di potere non sara' passata la sbornia.
4. DOCUMENTI. STEFANO LEVI DELLA TORRE ED
ALTRI: UN APPELLO PER LA RIPRESA
DEL NEGOZIATO PER LA PACE FRA ISRAELIANI E PALESTINESI [Questo
appello,
sottoscritto da illustri personalita', e' stato pubblicato
da "La
Repubblica", noi lo abbiamo ripreso dalla utilissima
"Newsletter di Critica
Liberale"] Siamo solidali con il popolo israeliano
cosi' duramente colpito
dal terrorismo palestinese, che punta all'eliminazione dello
Stato di
Israele. Siamo solidali con il popolo palestinese che da
decenni soffre
sotto occupazione israeliana e aspira al riconoscimento
dei propri diritti,
all'indipendenza, alla terra, alla dignita'. Noi pensiamo
che la dirigenza
palestinese, rompendo le trattative nell'inverno 2000-2001
e ricorrendo
all'intifada, abbia distrutto nella maggioranza degli israeliani
la speranza
nel processo di pace, e abbia favorito l'ascesa di Sharon,
propenso a
liquidare l'autonomia palestinese. Noi pensiamo che l'ininterrotta
politica
israeliana di espansione degli insediamenti nei territori
occupati abbia
minato tra i palestinesi la speranza nel processo di pace
come via per la
propria indipendenza territoriale e statuale. Le rappresaglie
e il blocco
militare dei territori hanno, con alto prezzo di vite umane,
costretto
Arafat a intervenire finalmente contro il terrorismo. Ma
questo risultato
rischia di vanificarsi senza una svolta da entrambi i
lati: da parte palestinese l'impegno nei
fatti per sconfiggere il
terrorismo, da parte israeliana il blocco degli insediamenti
in vista della
loro evacuazione ci sembrano le condizioni per ricostruire
la fiducia nel
negoziato. Ora le forze della pace in Israele e tra i Palestinesi
sono in
terribile difficolta'. Tanto piu' riteniamo necessario appoggiarle:
non c'e'
alternativa a che due popoli e due stati convivano nella
sicurezza e nella
dignita'. Ci riconosciamo nell'azione coraggiosa di esponenti
politici come
Iossi Beilin, Iossi Sarid, Yael Dayan da parte israeliana,
Yasser Rabbo,
Ziyad Abu Ziyad, Hannan Ashrawi da parte palestinese, che
hanno riconfermato
l'impegno per un'azione comune di pace. Dopo l'11 settembre
le ripercussioni
globali del conflitto israeliano-palestinese si sono moltiplicate.
Ci uniamo
a quanti si appellano all'Ue, agli Usa, alla Russia, perche'
intervengano
con piu' decisione per interporsi alla violenza e per spingere
le due parti
a riprendere il negoziato. Stefano Levi Della Torre, Giorgio
Gomel, Guido
Fubini, Lia Montel Tagliacozzo, Pupa Garribba, Giovanni
Levi, Silvio Ortona,
Paul Ginsborg, Carlo Ginzburg, Marina Morpurgo, Gabriele
Nissim, Gavriel
Segre, Andrea Ginzburg, Andrea Levi, Aldo Zargani, Gloria
Arbib, Sivia Finzi
Levi, Stuart Woolf , Emilio Jona, Emanuele Fiano, Lia Pergola,
Roberto
Bassi, Valerio Fiandra, Bice Fubini
5. ESPERIENZE. UNA BREVE STORIA DELLE DONNE
IN NERO
[Questo testo abbiamo ripreso dal sito femminista "Iemanja'".
Per contatti:
www.ecn.org/reds/donne.html] Le donne in nero nascono nel
gennaio del 1988
in una piazza di Gerusalemme ovest dall'incontro di sette
donne israeliane;
manifestano in silenzio per un'ora ogni venerdi con cartelli
che dicono
"Stop the occupation", basta alla occupazione
militare del governo
israeliano della Cisgiordania e di Gaza. L'Intifada era
appena agli inizi.
Da quel momento le donne hanno cominciato tutti i venerdi
a manifestare in
silenzio, vestite di nero, contro la violenza del loro governo,
per chiedere
delle soluzioni politiche pacifiche e per testimoniare la
speranza della
pace. Le iniziative delle donne in nero si sono moltiplicate
in altre
ventiquattro citta' fra le quali Tel Aviv, Haifa, Londra,
Amsterdam, New
York, Roma. Nell'estate dell'88 la casa delle donne di Torino,
il centro di
documentazione di Bologna e le donne dell' Associazione
per la Pace
organizzano un'iniziativa dal titolo "Visitare i luoghi
difficili" a
Gerusalemme; scopo del viaggio era "tentare di realizzare
qualcosa di
concreto, mettere in pratica la solidarieta', lo scambio
tra le donne di
diverse parti del mondo per tessere una tela di fili invisibili
fatta di
relazioni umane, riconoscere le disparita' di vita, cominciare
ad essere
consapevoli di poter costruire una politica internazionale
delle donne,
superare confini, barriere e nazionalismi pur essendo radicate
nella nostra
realta'. Una ricerca comune, intendendo con cio' qualcosa
di piu' ampio dei
semplici luoghi fisici, visitare i luoghi difficili della
mente, della
coscienza, quello che e' nascosto dalle nostre paure e dai
pregiudizi,
affrontare i nodi della violenza e della guerra, del dolore
e dell'odio,
dell'estraneita' e' della passivita', per conoscere e conoscersi,
per
cambiarsi". Le 68 donne italiane nel mese di agosto
'88 hanno manifestato
insieme alle donne in nero e si sono incontrate a Gerusalemme
e nei
territori occupati con centinaia di donne palestinesi ed
israeliane per
costruire insieme iniziative di pace e solidarieta'. Al
ritorno in Italia
vari sono stati i progetti realizzati dai gruppi promotori
dell'iniziativa o
dalle singole per dare continuita' alle relazioni avviate
con le donne
israeliane e palestinesi. Le donne dell'Associazione per
la Pace tra le
varie attivita' hanno deciso di dare visibilita' e voce
alle donne
palestinesi ed israeliane contro l'occupazione militare
costituendosi come
gruppo di donne in nero in Italia. A partire da venerdi
primo settembe 1988
le donne che hanno assunto queste modalita', quindi donne
in nero, hanno
manifestato nelle varie piazze d'Italia attraverso l'adesione
spontanea ai
contenuti del pacifismo, della nonviolenza e della ricerca
del superamento
del conflitto materiale ed emotivo. Le donne sono state
presenti con i loro
corpi le loro menti ed i loro sentimenti per dare visibilita'
alle donne dei
luoghi difficili e per una soluzione pacifica dei conflitti
fra Israele e
Palestina, per i Balcani, per l' Iraq, per l' Algeria, per
il Kosovo, a
sostegno delle donne in Afghanistan e per le donne Kurde,
promuovere una
diplomazia dal basso delle donne e per una politica internazionale
delle
donne come sostenuto a Pechino, insieme alla marcia mondiale
delle donne per
essere libere da guerra violenza e poverta'. Le donne in
nero hanno la
modalita' di tessere la rete della solidarieta' e della
diplomazia dal
basso, quindi di sostenere le donne che vivono nei luoghi
difficili entrando
in relazione con loro e creando ponti di solidarieta' e
di sorellanza
attiva. "Il nostro pensiero e' legato al rifiuto della
violenza, di ogni
nazionalismo e militarismo, contro quella cultura e quel
linguaggio
bellicista presente nella vita di tutti noi, pacifisti e
non; con la
volonta' di cercare di capire le ragioni degli uni e degli
altri pur
assumendo una ferma e chiara posizione contro le guerre"
- Luisa Morgantini
chiarisce in maniera esplicita la posizione delle donne
in nero - "Creare
connessioni, relazioni, scambio e solidarieta' per costruire
una
soggettivita' politica di donne e una identita' radicata
nel nostro essere
capaci di appartenenze e superamento di queste, visione
di un mondo che ha
la possibilita' di scegliere di poter e voler cambiare questa
societa'
fondata sulla sopraffazione e il dominio, sull'ingiustizia
economica e
sociale. La volonta' di essere protagoniste di questo cambiamento".
Il modo
di esserci e' sempre lo stesso nel tempo, con la presenza
dei corpi, vestite
di nero, in silenzio. Il nostro silenzio non e' rassegnazione
ed impotenza,
ma protesta e riflessione, e' urlo al di la' del suono.
Bene ci rappresenta
una delle frasi che le donne di Belgrado hanno scelto di
scrivere sui loro
striscioni, basandosi sul libro "Cassandra" di
Crista Wolf, in occasione del
quinto anniversario della loro protesta (12 ottobre
1996): "Solo in seguito appresi anche
l'arte di tacere. Che utile arma". Il
nostro nero e' il colore che aiuta i nostri corpi ad esprimersi.
I nostri
corpi, la loro presenza, i nostri occhi si muovono, non
sfuggiamo gli
sguardi delle persone che passano, vogliamo che sappiano
perche' siamo li',
siamo nelle piazze, partecipiamo alle manifestazioni, informiamo
la gente,
facciamo appello perche' non si partecipi alle operazioni
di guerra,
aderiamo e organizziamo la campagna di obiezione alle spese
militari. La
mano di Fatima, figlia prediletta di Maometto, che fermava
gli eserciti e i
malintenzionati opponendo la mano davanti ai loro sguardi,
come simbolo
nella speranza di poter fermare tutte le guerre. Questa
mano, utilizzata
nella cultura ebraica e palestinese, e' il ponte che unisce
le realta' che
all'apparenza sembrano divise, ma che sono frutto della
stessa radice, la
condivisione. Ci siamo, ci siamo state, ci saremo sempre,
ancora nelle
strade, donne, in silenzio, in nero, in marcia per vivere,
fino a che la
guerra non sara' fuori dalla storia.
6. MATERIALI. UMBERTO SANTINO: STATI-MAFIA
[Il seguente testo di Umberto Santino abbiamo estratto da
un suo piu' ampio
scritto dal titolo "I crimini della globalizzazione.
Voci per un glossario",
disponibile integralmente nel sito del Centro siciliano
di documentazione
"Giuseppe Impastato". Umberto Santino, fondatore
e presidente del Centro, e'
il piu' grande studioso del fenomeno mafioso e fondamentale
figura di
riferimento del movimento antimafia. Per contatti: Centro
Siciliano di
Documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa
Sperlinga 15, 90144 Palermo,
e-mail: csdgi@tin.it, sito: www.centroimpastato.it]
L'espressione
Stati-mafia e' stata impiegata negli ultimi anni per designare
alcuni Stati
direttamente impegnati in attivita' criminali. Si tratta
in particolare di
Stati balcanici, come la Serbia e l'Albania, nati dopo la
dissoluzione dei
regimi socialisti. In questi paesi le organizzazioni mafiose
locali, dedite
al traffico di droghe e di armi e con un ruolo di primo
piano nelle guerre
che hanno insanguinato l'area balcanica, si sono annidate
ai vertici delle
istituzioni, dando vita a regimi criminocratici. Situazioni
sostanzialmente
omologhe si sono registrate in altri paesi ex socialisti,
a cominciare dalla
Russia, dove le organizzazioni criminali si sono sviluppate
dal seno stesso
del Kgb e del Pcus e le borghesie in ascesa sono espressione
di gruppi
criminali, mentre pratiche illegali e corruzione allignano
ai vertici del
potere, come nel caso della famiglia Eltsin, coinvolta in
operazioni di
riciclaggio di capitali attraverso banche di vari paesi.
* Narcocrazie e criminocrazie
L'espressione Stati-mafia e' nuova ma il fenomeno non lo
e' e non si puo'
dire che sia limitato ai paesi ex socialisti. Di criminocrazia,
piu'
esattamente di narcocrazia, si e' parlato per vari paesi,
i cui governanti
sono risultati direttamente coinvolti nel traffico di droghe,
e tra i casi
piu' eclatanti si citano la dittatura del generale Garcia
Meza in Bolivia,
il regime di Noriega a Panama, il regime militare in Birmania.
Nella storia
della mafia siciliana il rapporto con le istituzioni si
puo' considerare un
dato costitutivo e si inscrive all'interno dei processi
di formazione delle
classi dominanti e della concreta configurazione della forma
Stato.
Nell'esperienza storica italiana il monopolio statale della
forza
formalmente non e' mai venuto meno, ma di fatto, per quanto
riguarda i
rapporti con la mafia, si e' dato luogo a una duplice dualita'.
Per un verso
c'e' la doppiezza della mafia, che e' insieme fuori e contro
lo Stato, in
quanto non riconosce il monopolio statale della forza, ha
un suo codice e un
suo sistema di giustizia, ma e' pure dentro e con lo Stato
per le sue
attivita' legate all'uso del denaro pubblico e la sua partecipazione
attiva
alla vita pubblica. Anche lo Stato e' doppio, nel senso
che esso ha
rinunciato parzialmente al monopolio della forza delegando
alla mafia
compiti repressivi quando il conflitto sociale non era regolabile
attraverso
le vie legali (si veda in particolare tutta la storia del
movimento
contadino) e legittimando la violenza mafiosa attraverso
l'impunita', e
quando ha dovuto rispondere all'incremento della delittuosita'
mafiosa che
colpiva anche uomini delle istituzioni, come negli anni
'80 e '90, lo ha
fatto in un'ottica di emergenza, cioe' di risposta contingente
alla sfida
mafiosa, ripristinando ben presto condizioni di convivenza.
Il discorso non
va limitato alla mafia. All'interno dello Stato italiano
si sono verificati
processi di criminalizzazione del potere e si sono formate
delle vere e
proprie istituzioni criminali. Tali possono essere considerati
i cosiddetti
"poteri occulti" (come i servizi segreti "deviati"
, i cui dirigenti erano
iscritti alla loggia massonica P2) che hanno avuto un ruolo
nelle stragi, da
Piazza Fontana alla stazione di Bologna, in collaborazione
con gruppi
neofascisti e altri soggetti interessati a respingere con
ogni mezzo partiti
e movimenti che mettevano in forse l'assetto di potere.
Anche in paesi come
gli Stati Uniti ci sono stati fenomeni di criminalita' del
potere, come nel
caso dell'assassinio del presidente Kennedy, volutamente
non chiarito in
sede giudiziaria. Gli Stati-mafia, pertanto, non sono soltanto
nei Balcani o
in paesi dittatoriali (dalla Grecia dei colonnelli all'America
Latina) ma
l'espressione puo' essere usata per rappresentare un duplice
fenomeno: le
connessioni tra organizzazioni criminali e istituzioni,
spesso rappresentate
da uomini incriminati per corruzione o per mafia, come in
Turchia, dove sono
al governo uomini della banda politico-criminale dei Lupi
grigi, e
nell'Italia berlusconiana, e l'uso, continuativo o anche
episodico, di
pratiche criminali da parte delle istituzioni stesse.
* Bibliografia
AA.VV., Gli Stati mafia, quaderno speciale di "Limes",
maggio 2000. U.
Santino, La mafia come soggetto politico, Centro Impastato,
Palermo 1994.
7. PROPOSTE. UN APPELLO DI ALCUNI INSEGNANTI
ITALIANI PER UN DIALOGO DI PACE
CON LE SCUOLE DEI VICINI PAESI ARABI E ISLAMICI [Nuovamente
diffondiamo
questo appello che riceviamo da Federico Repetto
(e-mail: logos@teleion.it). Per contatti:
e-mail: mediatori@didaweb.net,
sito: www.didaweb.net/mediatori/]
Agli studenti e ai colleghi delle scuole medie inferiori
e superiori, alle
associazioni di volontariato che si occupano di educazione:
aderite
all'iniziativa di pace, proposta da un gruppo di insegnanti
che collaborano
al sito cooperativo www.didaweb.net Intendiamo lanciare
un messaggio di pace
alle scuole dei paesi arabi e islamici on line (rivolgendosi
in primo luogo
al mondo arabo e islamico mediterraneo che ci e' piu' affine).
La scuola,
noi pensiamo, deve essere un veicolo di pace e di rassicurazione
reciproca
tra le culture. Certo, esiste gia' un dialogo on line tra
scuole nostre e
loro (piu' i vari gemellaggi, non solo on line e per iscritto,
ma con visite
e conoscenza diretta); tuttavia ci sembra che questo sia
un momento speciale
in cui la fiducia reciproca e' scesa ai minimi storici.
Dichiarazioni di
Bush e Berlusconi (con smentite che sicuramente l'opinione
pubblica araba e
islamica non si e' bevuta), caccia all'arabo in grande in
America, ma in
piccolo anche in Europa e in Italia, sono fatti che richiedono
una smentita
da parte della gente comune, dei giovani in particolare.
Dobbiamo
rassicurare gli islamici dell'altra sponda del mediterraneo,
nonche'
dell'Albania e della Bosnia, del fatto che almeno alcuni
di noi non ce
l'hanno a priori con loro. La lettera dovrebbe essere firmata
da classi, da
singoli studenti e insegnanti, da associazioni di volontariato
che si
accupano dei giovani e da associazioni di categoria degli
insegnanti e dei
genitori. Tutte queste persone e gruppi potranno mandare
la loro adesione a
mediatori@didaweb.net Le scuole on line probabilmente sono
ben poco
rappresentative delle societa' cui ci rivolgiamo. Bisognerebbe
partire on
line, ma poi arrivare a creare il caso e a dargli risonanza,
ed arrivare a
scrivere a giornali di paesi islamici o a scuole non on
line. Insomma,
l'iniziativa potrebbe avere due generi di ricadute: far
arrivare a molta
gente un messaggio di pace (tra l'altro invitando i nostri
corrispondenti on
line a comunicare in giro la versione araba del nostro messaggio);
specificamente, contribuire a promuovere ancora il dialogo
interculturale on
line tra studenti e classi dell'una e dell'altra "sponda"
(in inglese o
francese, on line o per posta ordinaria). Il gruppo del
didaweb/mediatori
*
Ecco il testo dell'appello, che abbiamo gia' comunicato
a diverse
associazioni. Ai fratelli e alle sorelle di religione musulmana
impegnati
nella scuola come studenti e come insegnanti Noi firmatari,
che insegnamo o
studiamo in numerose scuole sparse per l'Italia o che apparteniamo
ad
associazioni che si occupano dei problemi dell'educazione,
vogliamo
assicurarvi che nutriamo fiducia nel dialogo con voi e vi
consideriamo amici
e fratelli. Alcuni dei nostri media, dei nostri governanti
e dei nostri
concittadini italiani o europei, hanno mostrato, dopo l'attentato
terroristico delle Torri Gemelle, un atteggiamento di diffidenza
- e qualche
volta di superiorita' o di ostilita' - nei confronti del
mondo musulmano,
che noi non condividiamo affatto. Egualmente riteniamo ingiusto
e
inaccettabile che nella punizione dei colpevoli del fatto
criminale siano
coinvolti numerosissimi innocenti e che le potenze occidentali
abbiano
continuato a condurre questa guerra contro gli innocenti
nel mese del
Ramadan, consacrato alla preghiera e al digiuno per i musulmani.
I
pregiudizi nei confronti dei musulmani ci sembrano tanto
piu' ingiustificati
in quanto vengono dall'occidente, che ha conquistato e colonizzato
in tempi
recenti gran parte dei paesi islamici e del mondo intero.
Inoltre non si
puo' dimenticare che il Fondo Monetario Internazionale,
i governi e le
grandi multinazionali dell'occidente da tempo hanno fortemente
condizionato
i prezzi e i mercati di tutto il mondo. Tuttavia la diffidenza
e i
pregiudizi della gente comune nei nostri popoli nascono
anche dall'ignoranza
e dalle esagerazioni o distorsioni dei media. L'uomo comune
del nostro paese
(e cosi' anche noi che vi scriviamo), non sa veramente come
voi pensiate,
ne' come voi preghiate Dio, ne' come voi viviate nella vita
quotidiana, o
come viviate l'esperienza della scuola. Questo messaggio
e' quindi un invito
al dialogo tra le singole scuole, le singole classi, gli
insegnanti e gli
studenti, nella convinzione che la conoscenza ci affratelli.
Chi vuole
entrare nella nostra rete per scambiare notizie, opinioni,
immagini, o anche
semplici saluti, puo' farlo scrivendo all'indirizzo elettronico
mediatori@didaweb.net Ci fara' piacere se ci direte che
cosa pensate del
nostro messaggio. Eventualmente potrete dirci se siete interessati
a
proseguire il dialogo con una classe (e di quale eta' e
tipo di scuola), o
con singoli insegnanti o studenti. Vi suggeriamo, per cominciare,
i grandi
temi seguenti:
1) opinioni sul problema dei rapporti tra
i popoli e le civilta';
2) vita quotidiana nei rispettivi paesi;
3) la scuola e i suoi problemi;
4) navigazione internet e impiego dell'informatica a scuola;
5) insegnamento delle lingue straniere;
6) altri temi da voi proposti.
Vi invitiamo infine a diffondere nelle scuole - e ovunque
lo riteniate
opportuno - il messaggio che vi inviamo in lingua araba.
A quanti volessero
entrare in contatto con noi per posta ordinaria in lingua
inglese, francese
o italiana, potrete dare gli indirizzi postali che sono
disponibili in
www.didaweb.net/mediatori/. Siamo desolati di non capire
l'arabo e di poter
offrire solo una corrispondenza nelle lingue occidentali.
Tuttavia sappiamo
che la grande tradizione culturale araba ha permesso agli
europei di
leggere non solo i grandi filosofi Ibn Sina e Ibn Rushd,
ma perfino il greco
Aristotele. Speriamo che in un futuro non lontano tutti
conoscano almeno un
po' le lingue e le culture di tutti gli altri. Con amicizia,
un gruppo di
insegnanti, di studenti e di volontari appartenenti a diverse
scuole
italiane, e ad associazioni non governative.
8. LETTURE. TAHAR BEN JELLOUN: L'ISLAM SPIEGATO
AI NOSTRI FIGLI Tahar Ben
Jelloun, L'Islam spiegato ai nostri figli, Bompiani, Milano
2001, pp. 110,
lire 12.000. Il grande scrittore, sollecitato dalle domande
della figlia e
di altri bambini, racconta l'Islam con la chiarezza e la
sensibilita' che
gli sono proprie.
9. RILETTURE. CARMELA BAFFIONI: STORIA DELLA
FILOSOFIA ISLAMICA Camela
Baffioni, Storia della filosofia islamica, Mondadori, Milano
1991, pp. 448,
lire 16.000. Un lavoro notevole, prezioso anche per i molti
brani originali
tradotti ed inclusi nella trattazione.
10. RILETTURE. GIULIO BASETTI SANI: L'ISLAM
NEL PIANO DELLA SALVEZZA Giulio
Basetti Sani, L'Islam nel piano della salvezza, Edizioni
cultura della pace,
S. Domenico di Fiesole (FI) 1992, pp. 360, lire 20.000.
Un islamologo
francescano riflette sull'islam da una prospettiva cristologica,
un libro di
grande interesse per il dialogo interreligioso.
11. RILETTURE. OLIVIER CARRE': L'ISLAM LAICO
Olivier Carre', L'Islam laico, Il Mulino, Bologna 1997,
pp. 136, lire
18.000. Uno studio agile ma ben documentato, utile per una
discussione
necessaria.
12. RILETTURE. HENRY CORBIN: STORIA DELLA
FILOSOFIA ISLAMICA Henry Corbin,
Storia della filosofia islamica, Adelphi, Milano 1973, 1991,
pp. 420, lire
20.000. Una monografia classica, una lettura appassionante.
13. RILETTURE. AUGUSTO ILLUMINATI (A CURA
DI), AVERROE' E L'INTELLETTO
PUBBLICO Augusto Illuminati (a cura di), Averroe' e l'intelletto
pubblico,
Manifestolibri, Roma 1996, pp. 224, lire 18.000. Un'antologia
degli scritti
del grande filosofo sull'anima, quasi tutti per la prima
volta qui tradotti
in italiano, con un'ampia ed assai interessante introduzione
del curatore.
14. RILETTURE. KHALIDA MESSAOUDI: UNA DONNA
IN PIEDI
Khalida Messaoudi, Una donna in piedi, Mondadori, Milano
1996, 1997, pp.
180, lire 14.000. Intervistata da Elisabeth Schemla, la
testimonianza della
militante ed intellettuale democratica algerina condannata
a morte dai
fondamentalisti islamici.
15. RILETTURE. RASHID MIMOUNI: DENTRO L'INTEGRALISMO
Rashid Mimouni, Dentro l'integralismo, Einaudi, Torino 1996,
pp. 136, lire
20.000. Un intellettuale algerino, deceduto nel 1995, con
grande chiarezza e
lucidita' descrive e denuncia l'integralismo islamico. E'
un libro che
raccomandiamo particolarmente.
16. RILETTURE. TASLIMA NASREEN: VERGOGNA
Taslima Nasreen, Vergogna, Mondadori, Milano 1995, 1996,
pp. 250, lire
14.000. Il romanzo che denuncia il fanatismo religioso in
Bangladesh; per
averlo scritto l'autrice ha subito persecuzioni ed e' stata
condannata a
morte da un gruppo fondamentalista islamico.
17. RILETTURE. BIANCAMARIA SCARCIA AMORETTI:
TOLLERANZA E GUERRA SANTA
NELL'ISLAM Biancamaria Scarcia Amoretti, Tolleranza e guerra
santa
nell'Islam, Sansoni, Firenze 1974, pp. 128. Un'agile ma
rigorosa messa a
punto da parte di una delle piu' illustri studiose italiane.
18. RILETTURE. GIULIANA SGRENA (A CURA DI):
LA SCHIAVITU' DEL VELO Giuliana
Sgrena (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri,
Roma 1995, 1999,
pp. 128, lire 12.000. Una raccolta di voci di donne contro
l'integralismo
islamico.
19. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO
NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza
individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello
locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di
potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento
persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi
che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali
direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione
integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento
economico e le
ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma
di autoritarismo,
di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate
alla razza, alla
provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo
sviluppo della vita
associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione
di organismi
di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione
da parte di
tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la
salvaguardia dei
valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio
prezioso per
il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione
sono
un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento
opera con il solo
metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione
e della lesione
fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del
dialogo e della
liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti
di lotta
nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione,
la propaganda, la
protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio,
la
disobbedienza civile, la formazione di organi di governo
paralleli.
20. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org
;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale
della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta
presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it
;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della
rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti
sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it
. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro
di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile:
Peppe
Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel.
e fax:
0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it