Vogliamo iniziare a ripercorrere le tue
esperienze editoriali, partendo dalla stagione del "Male"
Stiamo parlando della fine degli anni settanta,
del settantasette in particolare. In quel periodo collaboravo
come giornalista presso il quotidiano "Lotta Continua",
un'esperienza anche quella davvero molto importante perché
espressione diretta di quegli anni duri e contraddittori
in cui il livello dello scontro politico e anche quello
della militanza erano sonoramente avvertiti. Tutto fino
a quando non mi venne proposto di metter su una nuova esperienza
editoriale che trattasse della società guardando
da un punto di vista veramente particolare, la satira. In
quegli anni il panorama editoriale italiano era veramente
povero e non credo che esistessero, allora più di
adesso, iniziative giornalistiche davvero indipendenti e
capaci di offrire punti di vista "alternativi"
alla solita coralità dei giornali che, nonostante
alcune differenze nel linguaggio, riportavano, tutto sommato,
le stesse cose.
Allora possiamo dire che nasce la "satira"
in Italia?
Non voglio assolutamente dire che la satira
come strumento espressivo nasce con e grazie al "Male",
ma, ed è un dato di fatto, fino a quel momento l'importanza
data dagli editori ai fumettisti ed illustratori era sostanzialmente
inesistente. Forse questo è anche uno dei motivi
di successo del "Male" che, proprio per il suo
linguaggio assolutamente innovativo, quello satirico dei
fumetti e delle vignette, riusciva facilmente a identificarsi
con le esigenze di una buona fetta della popolazione italiana
che, stanca di leggere sempre le stesse cose, scritte spesso
in un linguaggio articolato e difficile, si affezionò
subito al giornale sin dalle prime uscite, facendo in modo
che ogni tiratura andasse pressoché esaurita.
Nasce un caso "editoriale",
una voce fuori dal coro?
Beh, diciamo che l'attenzione ricevuta dal
Male non poteva passare inosservata, anche perché
rappresentava un'esperienza assolutamente indipendente,
e questa era la vera forza del giornale. Ovviamente la presenza
dei migliori illustratori italiani quali Jacopo Fo, Andrea
Pazienza, Angese e molti altri, che allora iniziavano a
muovere i primi passi, e, quindi, la conseguente qualità
delle illustrazioni di cui potevamo disporre, ci catapultò
addosso molte attenzioni, positive e negative, una normale
conseguenza di ogni cosa.
Rileggendo appunti sparsi sulla storia
de "Il Male" ho notato che siete stati oggetto
di "censura" in più di un'occasione; come
vi ponevate verso questo problema?
(sorride) Guarda. ehm... la censura
era per noi una cosa un po' strana, davvero. Il Male aveva
una tiratura da permetterci di avere una buona distribuzione,
ma sicuramente non potevamo permetterci il lusso di avere
rese, capirai . Quindi non appena il Male usciva e
arrivava presso le edicole veniva spesso esaurito in tempi
davvero brevi. Conseguentemente all'uscita, il giornale
arrivava sul tavolo di "qualcuno" che, quasi regolarmente,
presentava delle denunce contro. Ora col passare del tempo
si venne a configurare una situazione assolutamente paradossale.
I carabinieri, quando andavano nelle edicole e presso la
distribuzione per bloccare le vendite, difficilmente riuscivano
a trovare copie disponibili, quindi non potevano far altro
che andar via e lasciar stare. Ti assicuro che questo avveniva
spesso, anzi, gli stessi carabinieri si erano stufati di
questa situazione al punto che, dopo le prime volte che
ciò accadde, e a seguito di nuovi esposti, non ci
facevano neanche un pallido tentativo di provarci; forse
si rendevano conto anche loro dell'assurdità della
situazione. Fatto sta che il giornale arrivava regolarmente
in edicola, anzi spesso erano necessarie ristampe, talmente
era forte la richiesta.
Rappresentavate molto bene le esigenze
del lettore italiano, come si concluse quell'esperienza
e perché?
Come ti dicevo prima, in quegli anni la satira
ed il fumetto non godevano di particolare attenzione presso
i quotidiani nazionali, gli editori consideravano uno spreco
lasciare spazio alle vignette. La situazione iniziò
pian piano a cambiare, in seguito all'esperienza del Male.
Si iniziarono a vedere sempre più illustrazioni sui
giornali e in varie altre pubblicazioni, segno che avevamo
fatto breccia nel panorama editoriale italiano di quell'epoca.
La maggior parte delle illustrazioni che iniziarono a comparire
sui giornali di allora era prodotta da autori che provenivano
dal Male. Quello era il periodo della formazione dei grossi
gruppi editoriali che potevano disporre di risorse molto
superiori alle nostre, permettendosi di pagare anche profumatamente
gli autori che disegnavano per loro. Quindi, fra le numerose
vignette che ogni autore produceva settimanalmente, le migliori
venivano date agli altri giornali e poi, sul Male, insomma,
iniziarono ad arrivare "gli scarti". Poi oltre
ciò, che rimane comunque uno dei motivi principali
della fine di quell'esperienza, è chiaro che anche
la creatività espressa in quegli anni dagli "indiani
metropolitani" andava pian piano scemando, e anche
il Male, in questo senso, visto che era espressione e punto
di riferimento di quegli anni, così come il quotidiano
"Lotta Continua", si avviava man mano a chiudere
la propria esperienza.
Il Male si chiude, se non sbaglio, nell'82,
sicuramente il primo tratto di creatività all'interno
del panorama editoriale Italiano, ma la tua esperienza non
finisce qui, anzi. Dopo la parentesi romana ritorni a Catania
e, poco dopo tempo, ti ritroviamo protagonista di uno nuovo
progetto editoriale non meno difficile ed impegnativo; sto
parlando de "I Siciliani" di Giuseppe Fava, ti
imbarchi in una nuova esperienza.
Il motore di tutta quell'esperienza è
stato indubbiamente Giuseppe Fava, dopo gli anni difficili
passati come direttore al Giornale del Sud. Molti giornalisti
giovani come Riccardo Orioles, Claudio Fava, Roccuzzo, Michele
Gambino, Rosario Lanza, Eliano Brancati, Nello Pappalardo,
accettarono la strada che indicava Giuseppe Fava. Bisogna
sottolineare che Fava era un uomo molto forte, prima di
essere un bravo giornalista per cui, da parte nostra, c'era
la massima disponibilità nei suoi confronti, sia
per le idee che aveva, che per ciò che voleva fare;
i Siciliani sono quindi una diretta espressione di questo
carattere. Noi, io in prima persona, abbiamo accettato di
seguire una strada che era molto difficile e piena di ostacoli.
Lo stesso assassinio di Fava è stato emblematico,
poteva immediatamente creare difficoltà al giornale
e provocare la sua non più uscita. Però, nonostante
tutto, si decise, con una forte dose emotiva di continuare
finchè si riuscì a tenere in piedi il giornale.
"I Siciliani" ha rappresentato una pietra miliare
nella lotta contro la Mafia, ma non solo nella lotta contro
la Mafia, ma anche su altri argomenti come la qualità
della vita, l'ambiente, temi che in quel periodo stonavano
rispetto al panorama editoriale esistente in Sicilia. Per
me personalmente, aver conosciuto Fava mi ha emozionato
molto, avendo avuto anche la fortuna di avere un rapporto
particolare con lui. Parlavamo molto, andavamo spesse volte
assieme nei viaggi ed in molte altre occasioni. Quindi,
dopo il suo omicidio, ci è venuto a mancare qualcosa,
la cerniera che teneva in piedi tutto; però siamo
riusciti ad andare avanti. Il giornale "I Siciliani"
ha rappresentato un punto di riferimento per chi vedeva
nella lotta contro la mafia la priorità in Sicilia.
Nello stesso tempo, bisogna pur dire che quel movimento
che si cercava di stimolare, non è stato in grado
di supportare e mantenere quell'esperienza. Le divisioni
sorte all'interno del fronte antimafia hanno fatto sì
che esso si indebolisse pesantemente. Ovviamente anche il
giornale ne risentì fortemente; le vendite non erano
più quelle che erano all'inizio, l'attenzione veniva
a scemare. Questa, oltre alla causa economica ovviamente,
è stata la causa della chiusura de "I Siciliani".
Comunque un'esperienza che ha segnato molto la mia vita.
La "nota stonata" "I Siciliani",
faceva breccia all'interno del panorama giornalistico siciliano,
rappresentava un'avanguardia anche sul piano nazionale.
Come è cambiato secondo te il giornalismo in Sicilia
in seguito a quell'esperienza, se è cambiato?
Appunto, se è cambiato. I giornali
siciliani, parlo dei tre quotidiani, non credo che abbiano
cambiato molto. Sicuramente qualche attenzione in più
rispetto al problema Mafia c'è stata e c'è,
però l'informazione è cessata in Sicilia,
perché i tre quotidiani non offrono alternative,
né la società civile ha capito che era importante
muoversi per creare una nuova prospettiva. Il Giornale del
Sud, così come lo faceva Fava, poteva essere un'alternativa,
ma anche lì, dovette subire molti boicottaggi. La
proprietà non era "sensibile" agli articoli
e alle inchieste che Fava faceva, per cui anche quell'esperienza
andò a morire. Però ciò che mi preme
sottolineare è il fatto che in quegli anni la società
civile non ha capito che bisognava creare un'alternativa
dal punto di vista dell'informazione, o comunque, se non
lo capiva, non si pose realmente il problema di cercare
di fare qualcosa di concreto. Al di là dei numerosi
convegni e tante chiacchiere l'unica cosa concreta erano
"I Siciliani". "I Siciliani", dopo la
morte di Fava, hanno sì avuto la solidarietà
delle istituzioni e altri soggetti, ma è durata il
tempo di un fiammifero, facendo le dovute proprorzioni.
Dopodiché tutto è tornato a quello che era
anti-Fava. Lo dico in modo abbastanza crudo ma, realmente
questo è stato. Siamo sostanzialmente rimasti soli,
dovevamo mandare avanti un giornale con i pochissimi mezzi
a nostra disposizione, fino a quando non abbiamo dovuto
chiudere. Anche la chiusura è passata sotto silenzio.
Da qui voglio collegarmi a tutti i tentativi fatti in seguito
per far rinascere i Siciliani; tutti, a mio avviso, molto
deleteri, perché non avevano nessuna base concreta
e servivano solamente, forse, a far andare avanti alcuni
personaggi che avevano fatto I Siciliani. Il solo sentire
per alcuni anni che "I Siciliani" usciva addirittura
come quotidiano è stato davvero deleterio, frustrante,
credo che abbia incrementato ancora di più, quel
senso di debolezza che avvolgeva la società civile.Non
so se si riuscirà mai a creare un'alternativa, che
non deve essere un'alternativa contro La Sicilia, Il Giornale
di Sicilia o La Gazzetta del Sud, questo sarebbe uno sbaglio,
ma è chiaro che c'è bisogno di un'informazione
più libera che parli di cose che la gente non riesce
a leggere su questi quotidiani. Ci sono altre esperienze
significative, in Sicilia ed in giro per l'Italia, che però
guardano più ad un'elite che alla società
in quanto tale. Non so realmente a cosa possono servire
esperienze del genere.
Qualcuno da ricordare, qualche compagno
di viaggio che ti piacerebbe rivedere?
Hai ragione, prima che lo dimentico. Mi piace
ricordare l'amico e compagno Riccardo Orioles perché
credo che sia l'unico "fedele" all'idea originaria
tutt'ora e che continua a lavorare cercando di portare avanti
quest'idea da solo, purtroppo accompagnato da mille difficoltà.
Riccardo avrebbe potuto scegliere di lavorare con grandi
giornali, infatti, nonostante sia un giornalista eccezionale,
molto creativo, ha fatto una sua scelta di vita, a differenza
di altri che hanno intrapreso strade diverse a costo, credo,
di molti compromessi. Io non so se ha ragione Riccardo o
gli altri, però, mi sembra giusto ricordare che Riccardo
Orioles è ancora così com'era ai tempi dei
Siciliani.
Mi viene in mente una parola difficile
da trovare oggigiorno, "coerenza", è molto
bello quello che hai appena detto. Ti immagino camminare
per le vie di Catania con un grosso bagaglio emotivo ed
esperienziale alle spalle, anni di silenzio giornalistico
fino a quando, circa undici anni fa nasce Lapis, appare
un piccolo foglio di informazione a Catania.
Finita l'esperienza "Romana", finita
l'esperienze "Catanese", ho passato alcuni anni
in cui mi sono occupato d' altro. Però nel frattempo
avvenne l'incontro con i miei attuali collaboratori e soci,
e la loro seguente entrata nella cooperativa che avevo precedentemente
fondato, la cooperativa ARCA. Abbiamo discusso molto in
quegli anni, un periodo, tra l'ottantasette e l'ottantotto,
in cui Catania era caratterizzata dalla "morte civile".
In Sicilia, ed a Catania in particolare, si discute molto
delle cose da fare, ma molto, però si concretizza
poco. Allora abbiamo deciso di rendere praticabile la nostra
idea. Lapis sta per matita, segnatura. E' chiaro che l'uscita
in campo di questo foglio a distribuzione gratuita, che
doveva vivere solo della pubblicità, non era molto
facile; dovevamo inizialmente mantenere il giornale, non
noi, prima il giornale. Le difficoltà iniziali sono
state parecchie, ci è voluto del tempo per far capire
ai catanesi cos'era Lapis, far capire cos'era Lapis e come
potevano utilizzarlo. Però con molta caparbia c'è
l'abbiamo fatta. Dopo qualche anno di vita l'esperienza
di Lapis si intreccia con i nuovi fermenti del centro storico
catanese, la nascita di nuovi pub e di una ritorno alla
vita sociale. Posso dire che i pub sono cresciuti insieme
a Lapis e Lapis è cresciuto assieme ai Pub, perché
ogni locale che apriva voleva la presenza sul giornale.
Le ritrosie però restavano, soprattutto dai commercianti
tradizionali, fino a quando non sono iniziate ad apparire
sul giornale le pubblicità istituzionali, che hanno
contribuito a consolidare la presenza sul territorio del
giornale. Ciò ci ha permesso poi di crescere con
le altre pubblicazioni che la cooperativa cura, fatte solo
con i nostri sforzi, cercando pubblicità e con pochi
interventi pubblici. La mia soddisfazione, ma anche quella
degli altri credo, è che il giornale si pone come
un punto di riferimento sicuro per i tantissimi che ci seguono.
In questi anni abbiamo avuto modo di assistere a numerosi
cambiameti, è innegabile che Catania è molto
più viva rispetto a molti anni fa, pur con le moltissime
contraddizioni che la caratterizzano. Qual è il tuo
punto di vista su questo tema.
Non voglio correre il rischio di fare
della facile sociologia; viviamo in una società molto
complessa sulla quale da tempo ho smesso di ragionare. Una
mia scelta personale. Credo che i catanesi amino molto divertirsi
ma, d'altra parte, sono pronti anche a rinchiudersi facilmente.
In fin dei conti il nostro ruolo è stato quello di
informare i catanesi, e non solo, del fatto che esiste un'attività,
chiamiamola culturale in modo molto ampio, che è
anche divertente. Non per forza la cultura deve essere qualcosa
di serio e noioso. Credo che abbiamo contribuito a far capire
che potevano scegliere tranquillamente un posto dove passare
la serata senza troppi patemi d'animo; nei pub si fa della
musica, non mancano i gruppi teatrali e numerosi altri che
cercano di andare avanti in questo magma. In questi anni
è cresciuta una vita culturale da parte dei giovani
e per i giovani che fa di Catania una delle realtà
più vive d'Europa. Certo non bisogna lasciarsi illudere
dalle apparenze, ci sono altri problemi che giornalmente
ci accompagnano, legati alla qualità della vita,
alla pulizia della città, alla qualità dei
servizi, problemi, certamente, riscontrabili anche in altri
contesti, non lo nego. Purtroppo però, forse quello
che manca è un progetto unificante per la città
che abbracci i vari settori della società e, soprattutto,
l'individualismo imperante che caratterizza questi anni.
Credo che sia molto, ma molto deleterio e può causare
molti danni a questa città. Credo che in questo momento
stiamo vivendo una piccola fase di regressione, non lo dico
per critica all'amministrazione attuale, ma credo davvero
che troppo individualismo sia deleterio sotto molti punti
di vista. Non posso accettarlo perché non sono mai
stato un individualista. Personalmente ho sempre cercato
di costruire sinergie con gli altri operatori culturali
presenti a Catania. Alcune volte ci sono riuscito altre
no, però non posso sicuramente rimproverarmi di non
averci tentato.