Il realismo narrativo in Italia dopo il 1945

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Il realismo narrativo in Italia dopo il 1945

Il (neo)realismo

La guerra con la sua crudezza, e la guerra civile con la lotta antinazifascista, portano a nuove istanze realistiche in letteratura. Prima con quella che viene definita "letteratura resistenziale": gli esiti maggiori sono dati da Elio Vittorini molto legato a una certa lettura di romanzieri nordamericani (sua l'antologia "Americana", 1941), Cesare Pavese e Beppe Fenoglio. Il realismo di Pavese e di Vittorini è di tipo lirico più che oggettivista, e tuttavia la loro scrittura ebbe una enorme influenza e servì a svecchiare i moduli espressivi della produzione narrativa italiana, individuando nella retorica, nell'enfasi espressiva (dannunziana e crociana), nella pesantezza accademica un nemico da eliminare.
Tra la seconda metà degli anni '30 e la metà degli anni '50 gli ambienti culturali italiani sono interessati da forme realistiche di espressione letteraria. E' un intrecciarsi di varie istanze e influenze. Essere realisti significava contrapporsi ai gruppi di letterati dominanti, i vari gruppi vociani e dannunziani. Era un fattore generazionale oltre che culturale. Il riferirsi a determinati autori e modelli invece che ad altri portava a scelte culturali, sociali, di modi di vivere e particapazioni e frequentazioni politiche diverse. Prima della guerra, il realismo ha ancora forti elementi naturalisti, con un predominio di modelli culturali di provenienza francese. Per questo un giovane autore come Moravia può scrivere un romanzo 'esistenziale' come "Gli indifferenti". Ma si pensi anche al realismo lirico di Vittorini di "Conversazioni in Sicilia". La guerra e soprattutto la guerra civile, porta nuove correnti ideologiche. La generazione dei Vittorini, Pavese ecc. giunge nelle case editrici a imporre scelte, gusti, sensibilità diverse da quelle delle generazioni precedenti. La vittoria nella guerra di USA e URSS contribuisce a stimolare gli intellettuali a una maggiore attenzione anche verso le realtà culturali di questi paesi. E in entrambi i paesi gli intellettuali della nuova generazione ritrovano filoni letterari realistici: Vittorini e gli "americani", mentre in URSS il filone del realismo stalinista. Il neo-realismo letterario degli anni '45-55 diventa così parte dei nuovi equilibri che si compongono nel dopoguerra, tra forti istanze di rinnovamento sociale e politico e i segni della guerra fredda. La fine del neorealismo letterario (oltre che cinematografico e in pittura ecc.) è parte della sconfitta dei partiti della sinistra politica, legati ai venti nuovi provenienti dall'est europeo. Dalla metà degli anni '50 il realismo viene riassorbito all'interno della funzione recessiva propria della cultura borghese, funzione di denuncia e testimonianza di ciò che non va all'interno della società - e come tale osteggiata dalla cultura dominante -, più nelle forme della satira che della descrizione sociologica. Non è più parte di un movimento politico e sociale di massa.
A partire dagli anni '50 influisce molto la lezione postuma di Gramsci, teorico dell'intellettuale organico alla classe operaia. E' un bisogno di realismo, nato con la guerra e che si riversa in opere di narrazione e soprattutto in films cinematografici. Sono le opere di Carlo Levi, Giuseppe Dessì, Carlo Bernari, Francesco Jovine, Domenico Rea, il primo Calvino.

Il realismo assume forme sociologiche attraverso la produzione di alcuni scrittori che partono dal mestiere giornalistico e di cronisti, per parlare dei problemi del proprio tempo: Ermanno Rea.

© Antenati, 1995-6


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