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Una guerra culturalmente blindata. Perché?

"La insana decisione di Putin di entrare in Ucraina per una "speciale operazione militare", che altro non è che un’azione di guerra camuffata, va correttamente inquadrata nel contesto dei tesi rapporti etnico-politici tra russi, ucraini e russofoni, quali quelli riportati nel video-documentario ("Non Mi Arrendo La Pazienza E’ finita") del giornalista Mazzucco."

di Gaetano Sgalambro - lunedì 25 aprile 2022 - 3512 letture

La insana decisione di Putin di entrare in Ucraina per una "speciale operazione militare", che altro non è che un’azione di guerra camuffata, va primariamente inquadrata nel contesto dei tesi rapporti etnico-politici tra russi, ucraini e russofoni, quali quelli correttamente riportati nel video-documentario ("Non Mi Arrendo La Pazienza E’ finita") del giornalista Mazzucco. Questi riferimenti a me appaiono inoppugnabili, in quanto sono documenti storici che chiunque sia interessato alla ricerca della verità può sottoporre a validazione. Anche il perturbato equilibrio del contesto geopolitico, in cui detti rapporti ovviamene sono inscritti, è plausibile che abbia avuto un peso sulla decisione. L’equilibrio era fondato sulle reciproche garanzie di sicurezza (nel tempo aggiornate con dedicati accordi relativi all’evoluzione delle arme termonucleari), pattuite a Yalta tra le tre superpotenze vincitrici del II° Conflitto mondiale, ormai divenute impraticabili per scompaginamento delle parti contraenti. Nel 1991-2 si è avuta l’implosione dell’URSS, dalla quale è residuata una Federazione Russa depotenziata economicamente, politicamente, e poi auto-amputatasi anche fisicamente, ma ricca di testate termonucleari. Mentre la mancanza di queste testate aveva già determinato l’abbandono del ruolo di potenza militare egemone del secondo contraente, l’Inghilterra. Solo gli USA, dei tre contraenti, rimangono integri sulla scena geopolitica e in posizione nettamente predominante. Fatto che da se stesso significa disfacimento delle pattuite fondamenta sulle quali poggiava l’equilibrio dell’ordine mondiale e conseguente messa in pericolo della pace che ne era derivata.

Tale situazione è stata poi intricata, agli albori del secondo millennio, dall’affermarsi sulla scena geopolitica di un grosso antagonista con il quale USA e Russia dovranno fare i conti circa la riconfigurazione di un nuovo ordine mondiale, la Cina: già superpotenza demografica ed economica e molto presto anche militare. Inoltre occorre considerare che essa è la capofila di tanti paesi dell’area del Pacifico, i quali una volta facevano parte di quel “Terzo mondo” privo di una consistente rappresentanza internazionale e che oggi non dimostrano tanta compatibilità con le posizioni geopolitiche dei paesi dell’area atlantica (alcuni dei quali sono stati loro colonizzatori). A me sembra chiaro che in questo quadro d’incertezza le due superpotenza storiche, le quali non vogliono abbandonare il loro ruolo egemonico, siano costrette a riconfigurare radicalmente, anche e soprattutto in considerazione della prestante presenza della Cina, le loro strategie politiche, economiche e soprattutto militari del medio-lungo periodo. In ciò non possono evitare di confliggere, come mi pare che stia avvenendo ora, sia pure indirettamente in Ucraina. E’ ragionevole auspicare che dopo averle assestate, ciascuna al massimo livello possibile, vorranno sedersi, insieme alla Cina, attorno a un tavolo per discutere il nuovo Patto di Yalta.

Ed è in questa incerta prospettiva storica che io colloco sia la guerra scatenata dalla Russia all’Ucraina, sia la possibilità di una sua difficile soluzione di pace. Purtroppo, qui casca l’asino per i dotti mass media e per i molti intellettuali italiani, la posizione culturale “schierata” dei quali non consente loro di riconoscere come oggettiva e dovuta la distinzione dell’inquadramento storico della guerra in atto (di se stessa indiscutibile evento storico) da quello morale. Non capisco in base a quale ratio logica chi osa porla debba essere accusato apoditticamente di complicità morale con l’aggressore Putin. Cui prodest il trattare a-culturalmente un evento di portata storica, la guerra in Ucraina, alla guisa di un fatto di cronaca nera quotidiana, la cui valutazione debba portare solamente a come soccorrere la vittima e a condannare il criminale non solo per la violenza compiuta, ma arbitrariamente anche per tutte le altre violenze che si pensa che potrebbe compiere?

Ergo, per schivare l’accusa mi vedo costretto, "a posteriori", a rinforzare la mia valutazione etica sulla guerra di Putin in premessa e a dichiarare "orsinianamente": condanno moralmente l’aggressione di Putin al popolo libero dell’Ucraina, perché ritengo sacra sia la libertà fisica e di pensiero dell’uomo, che la vita vissuta in pace di un popolo. Ecco, ora da reo confesso “paraculo” (quelle finesse dantesque, non è vero dott. Gramellini? Era dai lontani tempi della leva militare –quand’ero in caserma- che non sentivo questo sostantivo, che lei ha usato, mi pare, come aggettivo de- qualificativo), mi permetto di esprimere delle pesanti contro-valutazioni culturali e morali sulla dissacrazione che si sta compiendo del tragico dramma umano della guerra in Ucraina, alimentandolo e lasciandolo consumare in armi per meri fini geopolitici, camuffati sotto la bandiera di sostegno alla libertà e alla democrazia. Chi, in risposta a tale fine, rinchiude il giudizio sulla guerra in atto entro i confini invalicabili di una semplice differenziazione dell’aggressore, la Russia, dall’aggredito l’Ucraina, cui deve conseguire l’instancabile condanna dell’aggressore, dimostra di avere una cultura non solo di livello banale (ogni guerra è iniziata da un aggressore e ogni aggressore è esecrabile), ma propria dei tempi dell’”homo homnis lupus”, ovverosia della primitiva condizione naturale dell’uomo. E poi? Come facciamo a passare alla condizione civile dell’uomo, quale quella di cui ci sentiamo interpreti? Solo sostenendo civilmente e militarmente gli aggrediti, continuando ad accusare di aggressione Putin, e nello stesso tempo continuando a contare i morti? O cercando, in tutti i modi, di fermare la guerra con una strategia diplomatica seria (che non ha nulla a che vedere con i pour parler di persona o telefonici dei vari capi di governo con Putin) e di arrivare a un compromesso di pace?

Purtroppo, stante l’attuale stato dell’arte del contesto geopolitico, una vera azione diplomatica di pace non può che partire da una chiara e decisa richiesta di un’opinione pubblica organizzata, estranea ad interessi geopolitici e scevra da condizionamenti culturali negativi di organi d’informazione schierati, alle massime autorità internazionali, quale l’ONU, o alle tre superpotenze, quali Cina , Russia e USA


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