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Pensieri nictemerali sulla Resistenza

..."Non fu la rivoluzione di un popolo in armi... ma l’azione di minoranze..., tenute assieme, nelle differenze, dall’afflato libertario”. "E per questo sfidarono la morte... . Ecco... il valore adamantino e identitario della Resistenza! Il resto è storia politica di partiti diversi"...

di Gaetano Sgalambro - lunedì 29 aprile 2024 - 709 letture

Pensiero della notte (sul post del 26 aprile di Giambattista Totis -vedi-).

".... Non fu la rivoluzione di un popolo in armi – neanche il Risorgimento lo fu – ma l’azione di minoranze più o meno estese, tenute assieme, nelle differenze, dall’afflato libertario.” ... E per questo sfidarono la morte, esplicito io. Ecco il valore adamantino e identitario della Resistenza! Il resto è storia politica di partiti diversi.

Pensiero del giorno.

Ora che l’atmosfera dai picchi roventi sulla “festa del 25 aprile” si sta stemperando, si può avanzare qualche riflessione (discutibile) sul perché ogni sua ricorrenza, nonostante la considerevole distanza dalla prima, fa esplodere tante passioni contrastanti.

Se con il “25 aprile” si celebra la Resistenza è naturale che richiami ogni volta tutte le contraddizioni che in essa convivevano. Lo storico Claudio Pavone afferma che la Resistenza fu un insieme di guerra patriottica, di guerra di liberazione, di guerra civile e di lotta di classe.

Se con il “il 25 aprile” si celebra la proclamazione per decreto del CLNAI (su proposta del suo ristretto raggruppamento rivoluzionario) dell’insurrezione generale, armata e civile (sciopero generale), nei territori occupati dai nazifascisti, si celebra l’evento decisivo di vittoria contro il nazifascismo che non fu, perché non poteva essere. Mentre si nasconde la vera importanza dell’evento collegato alla proclamazione: quello di conseguire il titolo per assumere il governo del Nord Italia, in maniera politicamente unitaria, autonoma e dialettica, rispetto alle forze di occupazione americane, che, risalenti dal centrosud, sarebbero entrati a Milano due giorni dopo, e con le quali bisognava trattare la riorganizzazione dello Stato e del paese.

Purtroppo lungo questa opportuna linea strategica i partiti si sono proiettati troppo in avanti. Per aumentare la loro caratura morale e storica, ben oltre i meriti acquisiti, all’unanimità hanno esaltato l’antifascismo, fino a farne una perenne bandiera. Ciò facendo, sono stati costretti a tenere sulla scena un fascismo storicamente abbattuto sul terreno militare, il quale, svuotato dal passare del tempo d’attualità e di emotività cruenta, è ridotto a un fatuo ectoplasma, assimilabile alla generica metafora del male sempre incombente sul bene, del quale si sono proclamati difensori ad aeternum. E’ questo il solido leitmotiv della nostra politica. Laddove, trascura del tutto l’etica della Costituzione Italiana, non cogliendo che supera l’antifascismo dei partiti con due valori pregnanti: il valore primario del bene della collettività, entro il quale ogni cittadino può attingere il proprio, ma non come principio enunciato, bensì come progetto realizzativo; il pieno ed informato esercizio elettorale della volontà politica dei singoli cittadini, concordanti sul suddetto valore primario.

Concludo contraddicendo i sostenitori del teorema che il nostro problema politico di fondo consista nel non avere fatto bene i conti con il nostro passato di fascisti, così come hanno ben fatto i tedeschi. E’ una supposizione infondata. Noi abbiamo colpa di essere provinciali e approssimativi, ma non di essere razzisti (nonostante le leggi razziali del governo fascista) o ariani; né abbiamo mai dovuto fare massa critica su interessi geopolitici da recuperare con i carrarmati.

Laddove abbiamo la seria colpa di avere fatto con imprecisione i nostri conti con la storia della Resistenza e, soprattutto, di non averli fatti del tutto con la Costituzione Italiana: ancora sconosciuta ai più nella sua lettera e tanto più nella sua etica.


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