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Sicilia, Lega e “spending review” fanno suonare le campane a morte per il Federalismo

In questi vent’anni il Federalismo sembrava la panacea dei mali che affliggevano da decenni l’Italia. Ed invece…

di Emanuele G. - martedì 24 luglio 2012 - 3150 letture

Quante cose stanno cambiando negli ultimi tempi. Posizioni, pensieri, comportamenti, atteggiamenti, opinioni che parevano immutabili si sfaldano con una velocità inusitata. La reazione a tali “cambiamenti” è duplice. Ci vengono, in primis, seri dubbi sulla reale solidità di quanto è in via di scomparsa. Inoltre, nutriamo forti dubbi su che cosa li sostituirà. Ecco forse il dato più significativo dei tempi che stiamo vivendo. Viviamo essenzialmente un periodo che non si può definire. Allo stesso tempo, infatti, osserviamo che la distruzione è in fieri, mentre il nuovo non appare. Prendiamo il caso del Federalismo. Una delle parole simbolo del ventennio berlusconiano. In tutti questi anni ci hanno ripetuto fino alla nausea che avrebbe costituito la panacea di tutti i mali che affliggono da tempo il nostro paese. Attualmente non ci sono notizie in merito. Il Federalismo è uno degli illustri assenti nel presente dibattito politico italiano. Eppure, l’anno prossimo partono i c.d. “costi standard” che rappresentano uno dei suoi snodi principali.

Tre avvenimenti – a mio avviso – hanno determinato il crescente silenzio sul Federalismo: la crisi del modello autonomista siciliano, la bufera giudiziaria sulla Lega e la famosa “spending review”.

I. Quanto sta accadendo in Sicilia non è certamente un bel biglietto da visita per il Federalismo. La gente sta assistendo allibita su come vengono spesi i soldi alla Regione Siciliana e tira delle conclusioni amare. Nel senso che se l’autonomia si esplica in un mero sperpero di soldi pubblici è allora molto più sensato tenerci il rigido statalismo sabaudo. Perché il problema del Federalismo, e comunque del decentramento, risiede proprio nel grado di responsabilità con cui si gestiscono le risorse finanziarie. E’ responsabilità l’aver acquistato nel 1984 due orche per l’acquario del centro turistico di Sciacca che sono rimaste sempre a Londra con un carico sulle casse della regione di ben 3.000 al mese? E’ responsabile aver costituito un’Agenzia regionale incaricata di vendere il patrimonio demaniale regionale che non ha venduto neanche un mattone? Oppure come possiamo definire lo spaventoso buco nella gestione dei rifiuti che assomma all’incredibile cifra di un miliardo e duecento milioni di euro? Pura irresponsabilità. La gente magari sarebbe ben più che disposta a servirsi dello strumento federale per migliorare la propria qualità di vita, ma intende vederci chiaro sul rapporto tassazione e spesa. Elementi che devono contribuire a costruire un modello virtuoso di Regione che fa dell’autonomia finanziaria la motivazione basilare del suo esistere.

II. La Lega ha rappresentato dagli anni ottanta in poi il movimento politico che ha fatto del Federalismo il centro della propria proposta politica. Il movimento fondato dal Sen. Bossi ero riuscito a porre all’attenzione generale questo tema come una possibilità di rilancio della politica e di uno Stato fin troppo ingessato. Il Federalismo per la Lega assumeva il significato di una ventata moralizzatrice della spesa pubblica. In pratica, grazie al federalismo i rapporti fra lo Stato centrale, le regioni e gli enti locali si sarebbero basati su procedure di assoluta trasparenza e certezza. Purtroppo le recenti inchieste giudiziarie che hanno colpito in maniera più che pesante la Lega hanno inferto un colpo mortale al processo federativo e all’intera impalcatura politica professata dal movimento bossiano. Gli sconsiderati comportamenti di esponenti della Lega hanno avuto il risultato paradossale di affossare la Lega in corrispondenza con il punto snodale del suo credo politico. Eppure il Federalismo rimane uno dei modi con cui spegnere il vento dell’antipolitica che sta facendo bruciare il nostro paese.

III. E’innegabile che la c.d. “spending review” stia comprimendo pesantemente i poteri locali. In che senso? Le regioni sono oggetto di un drastico piano di rientro sul fronte della sanità imposto dallo Stato che le sta di fatto esautorando dall’avere piena podestà in tale delicato settore. Come non sottacere il piano del Governo di dimezzare il numero delle provincie? Per non parlare del fatto che lo Stato ha utilizzato una falsa imposta municipale (l’IMU) per rimpinguare le sue casse esangui? Con buona pace dei discorsi afferenti ai sindaci considerati dei “sovrani locali” secondo la felice espressione del Prof. Diamanti. In sintesi il governo Monti sta utilizzando lo strumento della “spending review” per centralizzare nuovamente i processi decisionali relegando il tanto declamato Federalismo nel comparto oggetti smarriti della politica e del dibattito civile.

Ma c’è un dato di fatto questo sì preoccupante e che dovrebbe far riflettere tutti. Non solo la classe politica. Il venir meno del Federalismo è sinonimo di una crisi dei territori. Ossia della dimensione locale del nostro paese. E’ ciò è un fatto gravissimo. Se i territori entrano in crisi l’Italia si priva di uno strumento fondamentale per riprendere un discorso di crescita e progresso che al momento sembra farsi sempre più evanescente e flebile. Alla crisi dei territori è tuttavia speculare la crisi dello Stato centrale che imprigionato fra i meandri di una casta tesa alla difesa dei propri privilegi e una burocrazia asfissiante e reale ostacolo a qualsiasi progetto di rilancio del paese rischia di perdere la capacità di essere lo strumento di governo dell’Italia. La questione di fondo è allora questa: che Italia abbiamo se non è “localistica” o “centralista”? Abbiamo certamente un’Italia in profonda crisi di identità. L’identità è un altro “tool” imprescindibile del diuturno lavoro che abbiamo necessità di compiere al fine di dare un senso alla parola Italia. Almeno il Federalismo indicava un orientamento che va recuperato nel più breve tempo possibile.


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